[Cm-crew] l'ideologia sociale dell'automobile

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Autore: Graziano Predielis
Data:  
Oggetto: [Cm-crew] l'ideologia sociale dell'automobile
la scorsa mail di Graziano Predielis
dal soggetto: "cosI' i giochi sono fatti?... No!"
mi sembra toccare un punto fondamentale su cosa sto facendo.
e' su questo sostanziale livello che si dovrebbe partire
per unirsi alla massa critica.
che la massa venga sfruttata per cambiarci la testa
e non per lo scopo di bloccare il traffico.
a proposito vi butto su un testo fun-da-menthal
che va oltre l'analisi urbanistica moderna...
da far leggere ai presidi all'inaugurazione di ogni anno scolastico

risi e bisi
--
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|          _`\<,_

|_________(B)L (F)__________Bike Liberation Front


L'IDEOLOGIA SOCIALE DELL'AUTOMOBILE
di André Gorz

La cosa peggiore delle automobili è che sono come castelli o ville sul
mare: beni di lusso inventati per il piacere esclusivo di una
ricchissima minoranza e che, per concezione e natura, non furono mai
indirizzate al popolo. A differenza dell'aspirapolvere, della radio o
della bicicletta, che mantengono il loro valore d'uso quand'anche
ciascuno ne possegga uno, l'auto, come le ville al mare, è desiderabile
solamente e utile sin tanto che le masse non le posseggano. Questo è il
motivo per cui - tanto per concezione quanto per lo scopo originale -
l'auto fosse un bene di lusso. E l'essenza del lusso risiede nel non
poter essere democratizzato. Se ciascuno può avere il lusso, nessuno se
ne avvantaggia. Al contrario, tutti fregano, imbrogliano e frustrano
tutti gli altri, e ciascuno è fregato, imbrogliato e frustrato parimenti

da tutti gli altri.
Questo è di facile comprensione nel caso delle ville sulla costa. Nessun

uomo politico ha finora osato sostenere che democratizzare il diritto
alle vacanze significhi una villa con spiaggia privata per ciascuna
famiglia. Capiscono tutti che se ciascuna delle 13 o 14 milioni di
famiglie avesse l'uso di soli 10 metri di costa sarebbero necessari
140.000 Km di coste per dare a ciascuno il suo! Per dare a ciascuno la
sua parte si dovrebbero lottizzare le spiagge in lotti così piccoli - o
addossare le ville così tanto le une alle altre - che il loro valore
d'uso sarebbe nullo e il loro vantaggio rispetto a un complesso
alberghiero scomparirebbe. In breve, democratizzare l'accesso alle
spiagge punta a una sola soluzione: il collettivismo. E questa soluzione

cozza fatalmente col lusso della spiaggia privata, che è un privilegio
che una piccola minoranza pretende come diritto alle spese di tutti.
Allora, perché ciò che è perfettamente ovvio nel caso delle spiagge non
è generalmente accettato nel caso dei trasporti? Come le case sulla
spiaggia un'auto non occupa uno spazio, per sua natura, limitato? Non
toglie qualcosa agli altri che usano le strade (pedoni, ciclisti,
utenti di tram e autobus)?
Non perde il suo valore d'uso quando ciascuno usa la sua? E pur tuttavia

v'è un'infinità di politici che insistono che ogni famiglia ha il
diritto di possedere almeno un'auto e che è dovere del "governo" rendere

possibile per ciascuno posteggiare in modo conveniente, guidare
speditamente in città, andare in vacanza nello stesso periodo di tutti
gli altri e guidare a 140 Km/h sulle strade che conducono alle mete
vacanziere.
La mostruosità di questo nonsenso demagogico è immediatamente manifesto,

e tuttavia neppure la sinistra non disdegna di farne ricorso. Perché
allora l'auto è considerata una vacca sacra? Perché, a differenza di
altri beni "privativi", non è riconosciuta come un lusso antisociale? Le

risposte dovrebbero essere ricercate nei due seguenti aspetti della
guida:

1) La motorizzazione di massa costituisce un trionfo assoluto
dell'ideologia borghese nella vita quotidiana. Dà a ciascuno l'illusione

che ciascun individuo possa cercare il suo proprio beneficio alle spese
di tutti gli altri. Prendete il crudele e aggressivo egoismo del
guidatore che in ogni istante sta figurativamente uccidendo gli "altri"
che gli appaiono unicamente come ostacoli alla sua velocità.
Questo egoismo aggressivo e competitivo marca l'arrivo del comportamento

universalmente borghese ed è venuto ad essere fin da quando è divenuto
comune guidare. ("Non avrete mai il socialismo con questo tipo di gente"

mi disse un amico tedesco orientale infuriato dallo spettacolo del
traffico parigino).

2) L'automobile è l'esempio paradossale di un oggetto di lusso che è
stato privato del suo valore dalla sua stessa diffusione. Il mito del
piacere e del beneficio dell'auto persistono nonostante che - qualora
fosse diffuso il trasporto di massa - la superiorità di quest'ultimo sia

palese. La persistenza del mito è facilmente spiegabile. La diffusione
dell'auto privata ha rimpiazzato i trasporti di massa e alterato la
pianificazione cittadina e urbana in modo tale che vengono trasferite
all'auto funzioni che la sua stessa diffusione ha reso necessarie. Una
rivoluzione ideologica ("culturale") sarebbe necessario che rompesse
questa spirale. Ovviamente questo non ce lo si dovrebbe aspettare dalla
classe dirigente (sia di destra che di sinistra).

Ma osserviamo ora più da vicino questi due punti.
Quando l'auto fu inventata, doveva fornire a pochi dei ricchissimi un
privilegio completamente senza precedenti: viaggiare più veloci di
qualsiasi altro. Nessuno fino ad allora l'aveva neppure mai sognato.
La velocità di tutti i carri era essenzialmente la stessa, sia per i
ricchi che per i poveri. I calessi dei ricchi non andavano molto più
veloci dei carri dei contadini, e i treni portavano tutti alla stessa
velocità (questi non avrebbero iniziato ad avere velocità differenziate
finché iniziarono a competere con le automobili e gli aeroplani). Così,
fino al cambio di secolo, l'élite non viaggiava a una velocità diversa
dal popolo. L'auto a motore stava per modificare tutto. Per la prima
volta differenze di classe si sarebbero estese alla velocità e ai mezzi
di trasporto.

Questo mezzo di trasporto dapprincipio sembrò irraggiungibile per le
masse - era così diverso dai normali mezzi di trasporto. Non c'era
paragone tra l'auto e il resto: il carro, il treno, la bicicletta o il
calesse. Esseri eccezionali uscivano con veicoli a propulsione autonoma
che pesavano almeno una tonnellata e i cui meccanismi erano tanto
misteriosi quanto nascosti alla vista. Un aspetto importante del mito
dell'automobile era che per la prima volta c'era della gente che stava
guidando veicoli privati i cui meccanismi operativi erano completamente
sconosciuti, anche a loro stessi, ed il cui mantenimento e cura dovevano

essere affidati a specialisti. Qui è il paradosso dell'automobile:
sembra conferire ai suoi proprietari libertà senza limiti, permettendo
loro di viaggiare quando e dove avessero scelto alla velocità uguale o
maggiore di quella del treno. Ma, di fatto, questa parvenza di
indipendenza ha come suo lato nascosto una dipendenza radicale. A
differenza dei carrettieri, dei ferrovieri, dei ciclisti,
l'automobilista dipendeva per il rifornimento di carburante, così come
per la più piccola riparazione, da fornitori e specialisti di motori,
lubrificanti, carburanti, e sull'intercambiabilità delle parti.
A dispetto di tutti i precedenti proprietari di mezzi di locomozione, la

relazione tra l'automobilista e la sua auto era quella di utente e
consumatore e non quella di proprietario e padrone. Questo veicolo, in
altre parole, avrebbe obbligato il proprietario a consumare ed usare un
insieme di servizi commerciali e prodotti industriali che gli sarebbero
potuti essere forniti solo da terzi.
L'apparente indipendenza del proprietario dell'automobile stava solo
nascondendo la sua effettiva dipendenza radicale.

I magnati del petrolio furono primi a percepire il guadagno che si
sarebbe potuto ricavare da un'ampia diffusione delle automobili. Se la
gente avesse potuto essere indotta a viaggiare in auto essi avrebbero
venduto loro il combustibile necessario per muoversi. Per la prima volta

nella storia la gente sarebbe divenuta dipendente per la sua locomozione

da una fonte di energia commerciale. Ci sarebbero stati tanti acquirenti

per l'industria petrolifera quanto il numero di automobilisti e -
giacché ci sarebbero stati tanti automobilisti quante sono le famiglie -

l'intera popolazione sarebbe divenuta acquirente dei mercanti del
petrolio. Stava per realizzarsi il sogno di ogni capitalista.
Tutti stavano per dipendere per i loro bisogni quotidiani su un bene di
cui una sola industria aveva il monopolio.

Quello che rimaneva da fare era far in modo che la popolazione guidasse
le auto. Sarebbe stata necessaria ben poca persuasione. Sarebbe stato
sufficiente abbassare i costi delle auto per mezzo della produzione di
massa e della catena di montaggio. La gente si sarebbe precipitata a
comprarle.
Tutti ci cascarono, non accorgendosi che venivano presi per il naso.
Infatti, che offriva loro l'industria automobilistica? Semplicemente
questo: "da ora in poi, come l'aristocrazia e la borghesia, anche tu
avrai il privilegio di guidare più veloce di tutti. In una società
motorizzata il privilegio di una élite è reso raggiungibile anche da
te."

La gente si precipitò a comprare automobili finché, quando iniziò a
comprarle anche la classe lavoratrice, gli automobilisti si resero conto

di quanto fossero stati frodati. Era stato loro promesso un privilegio
borghese, avevano fatto debiti per acquisirlo, e ora realizzavano che
anche tutti gli altri potevano averlo. Che vantaggio ha un privilegio se

tutti lo possono avere? È una presa per i fondelli.
Peggio: contrappone l'uno contro l'altro. La paralisi generale è
destinata a produrre un cozzo generale. Infatti quando ciascuno reclama
il diritto di guidare alla privilegiata velocità della borghesia, tutto
si ferma e la velocità del traffico cittadino precipita - a Boston come
a Parigi, Roma o Londra - al di sotto di quella di un carro a cavalli, e

nelle ore di punta la velocità media nelle strade principali va sotto la

velocità di un ciclista.
Non si scampa: tutte le soluzioni sono state tentate. Tutte finiscono
rendendo la situazione peggiore.
Non importa se aumentano il numero delle tangenziali, dei raccordi
anulari, degli svincoli sopraelevati, delle autostrade a sei corsie: il
risultato è sempre lo stesso: più strade saranno in servizio più saranno

le auto che le intaseranno, e il traffico urbano diverrà ancor più
congestionato da paralizzarsi. Fintanto che ci sono città i problemi non

saranno risolti. Non importa quanto ampie e veloci siano le autostrade,
la velocità alla quale i veicoli ne potranno uscire per entrare in città

non potrà essere superiore alla velocità media delle strade urbane. E
fintanto che la velocità media a Parigi è da 10 a 20 Km orari, a seconda

del momento del giorno, nessuno sarà in grado di lasciare i raccordi e
gli svincoli autostradali attorno e dentro la capitale a più di 10/20 Km

orari.

La stessa cosa è vera per tutte le città. È impossibile guidare a più
della media di 20 Km/h nel fitto reticolo di strade, corsi e vicoli che
caratterizzano le città tradizionali.
L'introduzione di veicoli più veloci inevitabilmente devasta il traffico

cittadino causando imbottigliamenti ed infine la paralisi completa.
Se l'auto deve prevalere c'è ancora una soluzione: liberarsi delle
città.
Ovvero espanderle all'esterno, per centinaia di Km, lungo strade enormi,

trasformandole in periferie autostradali. Questo è ciò che è stato fatto

negli Stati Uniti. Ivan Illich riassume gli effetti in queste
impressionanti cifre: "L'americano tipico spende più di 1500 ore
all'anno (cioè 30 ore la settimana, 4 ore al giorno domeniche comprese)
per la sua auto. Questo include sia il tempo speso dietro il volante,
sia in moto che fermo, sia le ore di lavoro per pagarsela e pagare per
la benzina, copertoni, pedaggi, assicurazioni e tasse. Così servono 1500

ore per percorrere 6000 miglia (all'anno). Per 3 miglia e mezzo serve
un'ora. In paesi privi di industria dei trasporti la gente viaggia
esattamente a questa velocità a piedi, col vantaggio aggiunto che
possono andare ovunque e non solo dove è asfaltato"

È vero, sottolinea Illich, che nei paesi non industrializzati il viaggio

occupa solo il 3-8% del tempo libero (cioè da 2 a 6 ore la settimana).
Questo fa sì che un pedone copra tante miglia quante una in auto, ma
impiega da 5 a 10 volte meno tempo. Morale: più si diffondono veicoli
sempre più veloci in una società, più tempo - oltre un certo punto - la
gente spenderà e perderà viaggiando. È un dato di fatto matematico.

La ragione? L'abbiamo appena vista. Le città e i paesi sono stati
segmentati in infinite periferie autostradali, giacché questa era il
solo modo di evitare la congestione da traffico dei centri urbani. Ma
l'altra faccia di questa soluzione è altrettanto ovvia: alla fine la
gente non può passeggiare in modo conveniente perché è distante da
tutto. Per far posto alle auto le distanze si sono accresciute. La gente

ha cominciato a vivere distante dal luogo di lavoro, distante dalla
scuola, distante dai supermercati - che richiedono una seconda auto per
fare compere e portare a scuola i bambini.
Quattro passi fuori? Non se ne parli nemmeno! Amici? Ci sono i vicini...

e basta. Alla fine dell'analisi le auto fanno perdere più tempo di
quanto ne facciano guadagnare e creano più distanze di quante ne
accorcino. Ovviamente puoi andare a lavorare a 120 Km/h, ma solo se
lavori a 60 Km da casa e sei disposto a dare un'ora e mezza agli ultimi
10 Km. Per concludere: "una buona parte della giornata lavorativa se ne
va per pagare il viaggio necessario per andare a lavorare"

(Ivan Illich).

Forse ti starai chiedendo: "Ma almeno me la posso filare via da
quest'inferno cittadino quando il lavoro è finito". Già: la "città",
quella che per generazioni era stata considerata una meraviglia, il solo

posto dove contasse davvero vivere, ora è "un inferno". Tutti vogliono
scapparne, vivere nelle campagne.
Perché? Per solo un motivo: l'auto ha reso la città invivibile. L'ha
resa puzzolente, rumorosa, soffocante, polverosa, così congestionata che

la sera nessuno ci vuole più uscire. Così, poiché l'auto ha ucciso le
città, noi abbiamo bisogno d'auto più veloci per scappare in
superautostrade in periferie ancora più distanti. Che trovata davvero
impeccabile! Dateci più auto così da scappare alla distruzione causata
dalle auto.
Da bene di lusso e segno di privilegio l'auto è divenuta necessità
vitale.
Devi averne una per scampare dall'inferno urbano delle auto. Così
l'industria capitalista ha vinto la partita: il superfluo è diventato
necessario. Non occorre più persuadere la gente che voglia un'auto: è
una necessità vitale. Vero è che potrebbero venire dei dubbi guardando
gli esodi motorizzati: tra le 8 e le 9:30 e tra le 17:30 e le 19 e nei
fine settimana per 5 o 6 ore le vie in uscita allineano paraurti dopo
paraurti in una processione che va (a dire tanto) alla velocità di un
ciclista e avvolta in dense nuvole di fumi cancerogeni. Che rimane dei
vantaggi dell'auto? Che rimane quando - inevitabilmente - la velocità
massima di una strada è ridotta esattamente alla velocità dell'auto più
lenta?
A dirla tutta dopo aver ucciso le città ora l'auto uccide l'auto. Avendo

promesso a tutti che sarebbero stati capaci di andare più veloci,
l'industria automobilistica conclude coll'implacabilmente prevedibile
risultato che tutti vanno lenti quanto il più lento, alla velocità
determinata dalle semplici leggi della dinamica dei fluidi. Peggio
ancora: essendo state inventate per permettere ai proprietari di andare
dove e quando e alla velocità desiderata, l'auto è diventata, di tutti i

veicoli, il più schiavizzante, rischioso, dipendente e scomodo. Anche se

tu possedessi un'incredibile quantità di tempo, non saprai mai se gli
ingorghi ti faranno arrivare. Sei legato alle strade inesorabilmente
quanto un treno ai suoi binari. Non ti puoi fermare a scelta più di un
viaggiatore in treno, e come in treno, vai alla velocità decisa da
qualcun altro. Tirando le somme l'auto non ha nessuno dei vantaggi del
treno, ma tutti gli svantaggi, più le sue vibrazioni, lo spazio
ristretto, il pericolo di incidenti e la fatica necessaria per guidarla.

E tuttavia, potresti dire, la gente non prende il treno. Ovvio! Come
potrebbero? Hai mai provato ad andare in treno da Boston a New York? O
da Ivry a Treport? O da Treviso a Cuneo? Da Molfetta a Longarone? Mai
provato in un fine settimana estivo? Be', provaci e buona fortuna!
Scoprirai che il capitalismo automobilistico ha pensato a tutto. Proprio

quando l'auto sta uccidendo l'auto, fa in modo di far sparire le
alternative rendendo l'auto obbligatoria. Così prima lo stato
capitalista ha permesso che le connessioni ferroviarie tra città e paesi

fossero ridotte a "rami secchi" e poi le ha eliminate. Le sole
risparmiate sono state le connessioni intercity ad alta velocità, per
competere colle aviolinee per una clientela borghese. Questo è il
progresso! Benvenuto!
La verità è che non c'è scelta: non sei libero di avere un'auto o no
fintanto che il mondo della periferia è progettato per essere una
funzione dell'auto, e così via fino a comprendere il mondo urbano.
Questo il motivo per cui la soluzione rivoluzionaria - che è eliminare
le auto in favore di biciclette, tram, autobus, filobus, non è neppure
più applicabile in città come Los Angeles, Houston, Trappers o persino
Bruxelles, che sono state costruite da e per le auto. Queste città sono
state sfilacciate lungo vuote strade allineate con uno sviluppo
identico, e il loro panorama urbano ti sta a dire: "queste strade sono
fatte per guidare più veloce possibile da casa al lavoro e ritorno. Qui
tu solo attraversi, non ci vivi. Alla fine della giornata lavorativa
tutti devono starsene a casa, e chiunque trovato dopo il tramonto per
strada deve essere considerato sospetto o criminale". In alcune città
americane l'atto di passeggiare di notte per strada è fonte di sospetto
per le autorità di polizia.
Così i giochi sono fatti? No, ma le alternative all'auto devono essere
comprensive di tutto. Così, perché la gente sia in grado di rifiutare
l'auto, non sarà sufficiente offrire trasporti di massa più
confortevoli, ma dovranno riuscire a fare a meno del trasporto, perché
la gente si sente a casa nel proprio vicinato, nella propria comunità,
in città umane. E solo così ci sarà il piacere di andare a piedi, o in
bici, al lavoro. Nessun mezzo di trasporto rapido e di fuga compenserà
mai la tortura di vivere in una città invivibile in cui nessuno si sente

a casa o l'irritazione dovuta all'unica alternativa: andare al lavoro
in città o di stare solo e dormire.
"La gente" scrive Illich "romperà le catene del trasporto
sovrapotenziato solo quando ricomincerà ad amare il proprio territorio
col suo proprio ritmo e temerà di dover andare troppo distante". Ma per
amare "il proprio territorio" questo deve prima essere vivibile, non
trafficabile. Il vicinato, la comunità, deve tornare ad essere il
microcosmo costruito per tutte le attività umane, dove la gente possa
vivere, lavorare, rilassarsi, imparare, comunicare e bighellonare e in
cui tutti possano gestire la propria vita in comune. Quando qualcuno gli

chiedeva come la gente avrebbe passato il tempo dopo la rivoluzione,
quando il consumismo se ne fosse andato, Marcuse rispondeva:
"Abbatteremo le megalopoli e ne costruiremo di nuove: ci terrà occupati
per un po'".
Queste nuove città potrebbero essere federazioni di comunità, circondate

da zone verdi in cui i cittadini, e in special modo gli studenti,
passeranno parecchie ore la settimana a coltivare i prodotti freschi che

servono. Per andarsene in giro tutti i giorni ci si servirà di tutti i
mezzi di trasporto utili e adatti a città di medie dimensioni:
biciclette municipali, tram, filobus, taxi elettrici. Per viaggi più
lunghi, così come per gli ospiti, si renderanno disponibili un piccolo
numero di auto comuni in garage di
comunità. L'automobile non sarà più una necessità. Tutto dovrà cambiare:

il mondo, la vita, la gente.
E tutto questo non succederà da sé.
Nel frattempo, che si deve fare per renderlo possibile? Innanzi tutto
non lasciare il trasporto un tema a sé. Sempre connetterlo col problema
della città, con la divisione del lavoro nella società e il modo di
compartimentare le molte dimensioni della vita. Un posto per il lavoro,
uno per "vivere", un terzo per la spesa, un quarto per l'apprendimento,

un quinto per il divertimento. Il modo in cui lo spazio è organizzato
conduce alla disintegrazione della gente ed inizia con la divisione del
lavoro nella fabbrica.
Taglia a pezzi le persone, spezzetta il nostro tempo, la nostra vita, in

pezzetti in cui in ciascuno tu sei solo un consumatore passivo alla
mercé dei mercanti, così che non ti capita mai che lavoro, cultura,
comunicazione, piacere, soddisfazione dei bisogni e la tua vita
personale possano essere e siano la stessa cosa: una vita unitaria,
sostenuta dalla struttura sociale della comunità.

Le Sauvage Settembre/Ottobre 1973