[CSSF] crisi del movimento?

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Autore: Antonella Mangia
Data:  
Oggetto: [CSSF] crisi del movimento?
da "LIBERAZIONE" del 7 giugno 2002


Dopo Genova, il movimento no-global è in crisi? Se ne
discute sui giornali, ma circolano anche i primi
documenti
Dibattito in movimento
Salvatore Cannavò

Fanno bella mostra sui quotidiani di ieri, i titoli
dedicati alla «crisi del movimento», allo «spirito di
Genova» che non c'è più, agli «errori fatti e che non
commetteremo più». A dare risalto a questa lettura
della fase, un documento del Movimento dei
disobbedienti (di cui pubblichiamo alcuni stralci) e
un forum promosso da Repubblica tra gli stessi
disobbedienti e un rappresentante genovese della Rete
Lilliput. Al di là delle forzature e delle
semplificazioni giornalistiche - come quella che
arriva a dire che «Genova è finita» - il documento in
questione prende evidentemente atto di una fase che si
è conclusa nella vita del movimento, più che generoso
nella sua capacità di uscire vivo dalle giornate di
Genova e di mantenere alta la sua forza e alteratità
anche contro la «guerra globale permanente» e poi
capace di arrivare fino alla seconda Porto Alegre.
«Poi non siamo stati più soli», dice il documento, è
esploso un conflitto sociale «sul terreno diretto
dello scontro capitale e lavoro». E il movimento si è
un po' disperso. E si è disperso in effetti
nell'identità e nel ruolo, ma anche nelle forme - la
piazza non è stata più un'esclusiva, i social forum,
quelli delle grandi città perlomeno, si sono avvitati.
Secondo Alberto Zoratti, che nel forum di Repubblica
rappresenta Lilliput, il movimento ha perso la
capacità «inclusiva» ha perso per strada «molti
interlocutori» e non è stato capace di spiegare molte
delle sue simbologie: «Cosa significa per esempio
disobbedienza?». Dal Globale al localeIl problema è
forse ancora più complesso e può essere rintracciato
in questa affermazione di Luca Casarini, anch'egli
intervistato dal quotidiano di piazza Indipendenza: «O
siamo e continuiamo a essere globali o non siamo». Qui
c'è un punto nevralgico. Il movimento nasce e si
sviluppa su un'identità e con una dinamica "globali";
attorno a queste costruisce i social forum, come
luoghi della partecipazione politica "globale"; ma
poi, quando esplode il conflitto sociale, non riesce
ad articolare le risposte giuste, a conciliare il
"globale" con il "politico". Le esperienze alla
Lilliput propongono di valorizzare un concetto come il
«glocalismo», possibile antidoto alla «sindrome di
Genova». Ma come si è davvero "Glocali" in una fase
dominata da un acuto scontro sociale, con un
protagonismo rinnovato della Cgil e del movimento dei
lavoratori, assente in larga parte a Genova? Come si
recupera una funzione dei social forum che non sia
solo la pratica del municipalismo o, peggio, la
«sperimentazione» elettorale? Gran parte della
salvaguardia dello «spirito di Genova» passa per la
risposta a queste domande. E su questa strada si muove
anche un altro documento, quello di Attac Italia,
messo in circolazione, casualmente, proprio ieri, in
apertura di una discussione che dovrà coinvolgere i
comitati locali della giovane associazione e quindi,
giocoforza, solo agli inizi. Una situazione di
"stallo"Anche Attac si muove da una constatazione di
«crisi», anzi di «stallo» del movimento, capace di
dare «risposte forti e avanzate» alla doppia tenaglia
repressione-terrorismo, ma poi in «crisi di identità e
ruolo» proprio nel momento in cui lo scontro sociale
si radicalizza. In questa difficoltà i social forum
non riescono a essere più luoghi di confronto e di
iniziativa politica, mentre le reti nazionali cedono a
una tendenza «centrifuga e autocentrata». E questo,
mentre l'esplodere del conflitto sociale induce le
forze sindacali e quelle della sinistra moderata a una
«ridislocazione» che, anche qui paradossalmente, può
costruire quel ponte necessario tra visione globale e
contraddizioni locali, ma anche a ricomporre la
dicotomia «tra l'autonomia del sociale e l'autonomia
del politico attraverso uno sbocco istituzionale
riformista». Come si vede le preoccupazioni, le
analisi, le osservazioni non sono molto distanti,
mentre sulle prospettive da darsi e sugli strumenti,
il dibattito è solo all'inizio. Nel documento dei
disobbedienti si individua questo prosieguo nella
pratica «degli esperimenti di disobbedienza sociale
facendo valere una soggettività di movimento capace di
sostenerle». I temi centrali divengono il reddito di
cittadinanza e la battaglia contro i centri di
permanenza temporanea, ma anche l'esperienza, finora
trascurata, del Forum sociale europeo. E' invece più
chiaramente quest'ultimo il terreno offerto da Attac
alla rivitalizzazione del movimento perché l'Europa «è
il luogo politico e terrirtorio di lotta fondamentale
per la costruzione di un orizzonte antiliberista». «La
partita che si gioca in Europa nei prossimi anni è lo
smantellamento delle basi sociali del solidarismo»
ovvero di quell'humus che permette a qualsiasi
sinistra di continuare a vivere. Per questo Attac
individua tre «chiavi di lettura» indispensabili:
«l'universalità dei diritti come elemento di coagulo
che unifichi lavoro e precariato»; il «primato della
politica sull'economia» ridefinendo, a partire dal
controllo delle risorse, il concetto «di economia
pubblica»; la crisi delle forme di democrazia,
proponendo non «ingegnerie istituzionali» ma un
concetto di «pubblico partecipato» che chiami, ad
esempio, «a una grande battaglia contro le
privatizzazioni e la mercificazione dei beni primari»,
sperimentando forme nuove e diffuse di «partecipazione
consapevole e decentrata». Una discussione appena
aperta, da alcuni forse banalizzata, ma sicuramente
utile.



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