Libertà personale
LUIGI FERRAJOLI
L'ordinanza del Tribunale del riesame che ha
disposto la scarcerazione degli otto poliziotti
incriminati per le violenze contro 83 persone
nella caserma Raniero solleva una questione che
va ben al di là del processo napoletano. Dopo
aver riconosciuto la fondatezza dell'intera
ricostruzione dei fatti operata dall'accusa, il
Tribunale ha escluso che questi costituiscano -
oltre ai reati di abuso d'ufficio, violenza e
lesioni personali - anche il reato di sequestro
di persona. La questione non è dunque di fatto,
ma di diritto: se in Italia sia lecito alla
polizia limitare la libertà personale di un
cittadino al di fuori dei casi, come la flagranza
o il fermo per gravi reati, espressamente
previsti dalla legge. La motivazione con cui è
stata esclusa la qualificazione di questi fatti
come sequestro di persona è stupefacente.
L'articolo 605 del codice penale dice che
commette «sequestro di persona» («semplice»,
ovviamente, e non già a scopo di estorsione)
«chiunque priva taluno della libertà personale».
E aggiunge che il reato è aggravato se «è
commesso da un pubblico ufficiale, con abuso dei
poteri inerenti alle sue funzioni». E' insomma
una sobria ma inequivoca definizione, violenze e
sevizie a parte, dell'operato della polizia
napoletana nella giornata del 17 marzo 2001. Il
Tribunale, invece, ha ritenuto che «l'operazione
possa essere inquadrata nella fattispecie di cui
all'articolo 4 della legge 152 del 1975, peraltro
richiamata in quasi tutti i verbali di
perquisizione».
Ora, questo articolo 4 è stato abrogato dal
codice di procedura penale del 1989, le cui norme
di coordinamento lasciano in vita solo pochissime
delle vecchie disposizioni, tra le quali esso non
è affatto compreso. E' la stessa legge 152 del
1975 del resto, la famigerata legge Reale, che
stabilisce espressamente, nel suo articolo 35,
che «le disposizioni processuali della presente
legge», tra le quali rientra certamente
l'articolo 4, «si applicano sino all'entrata in
vigore del nuovo codice di procedura penale».
Ma ammettiamo che questo articolo 4 sia ancora in
vigore, come il Tribunale ha arditamente ritenuto
sulla base di un richiamo operatone in una legge
del 1990. Che cosa dice questo articolo? Esso non
prevede affatto la possibilità dell'arresto da
parte della polizia, ma solo, «in casi
eccezionali di necessità e di urgenza,
l'immediata perquisizione sul posto, al solo fine
di accertare l'eventuale possesso di armi,
esplosivi e strumenti di effrazione, di persone
il cui atteggiamento o la cui presenza... non
appaiono giustificabili». Di queste
perquisizioni, esso aggiunge, «deve essere
redatto verbale su apposito modulo, che va
trasmesso entro quarantotto ore al Procuratore
della Repubblica» e «consegnato all'interessato».
Dunque, anche se si ammette l'attuale validità di
questo articolo 4, ciò che le forze di polizia
potevano fare in base ad esso era solo la
perquisizione «sul posto» delle persone che si
trovavano negli ospedali, consegnandone agli
interessati, cosa dalla quale si sono ben
guardati, i relativi verbali. Che si possa invece
«inquadrare» nella figura della «perquisizione
sul posto» il pestaggio in caserma delle 83
persone, prelevate a forza dai Pronto soccorso,
trattenute per ore, denudate e costrette, come
afferma l'ordinanza, a restare inginocchiate con
la faccia al muro e le mani dietro la testa
mentre venivano percosse e ingiuriate dagli
agenti, è talmente assurdo da superare qualunque
acrobazia interpretativa. Evidentemente il
Tribunale ha fatto propria, richiamando questo
articolo 4, la pezza d'appoggio invocata, in
mancanza di meglio, dalla polizia.
Ma la questione va al di là di quel che hanno
detto e di quel che diranno i giudici in questo
processo: ieri i giudici del riesame, domani i
giudici di merito e la Cassazione. Essa riguarda
il futuro delle nostre libertà. Vogliamo sapere
se ha ancora qualche valore, in un paese come
l'Italia dove tutti si professano "liberali", la
garanzia dell'habeas copus stabilita
dall'articolo 13 della Costituzione. La Casa
delle libertà - solidarizzando dapprima con i
poliziotti sotto giudizio e poi reintegrandoli
nelle funzioni, all'indomani dell'ordinanza che
proprio sulla base della loro sospensione ne
aveva revocato gli arresti domiciliari - ci ha
informato che per il governo questa basilare
libertà, sulla cui tutela dagli arbitri
polizieschi è nato storicamente lo stato
liberale, non vale assolutamente nulla. E' questo
l'aspetto più grave della vicenda. Non gli abusi
della polizia, che purtroppo accadono in tutti i
paesi, ma la loro legittimazione politica: il
fatto che essi, anziché essere nascosti o negati,
siano stati rivendicati come leciti e si sia
invece fatto scandalo sul processo diretto a
sanzionarne l'illiceità. Ricordiamo il processo
di quasi venti anni fa contro gli agenti dei
Nocs, accusati di violenze e torture nei
confronti dei brigatisti che avevano sequestrato
il generale americano Dozier. Erano gli anni
dell'emergenza terroristica. I poliziotti
incriminati erano considerati degli eroi,
insigniti, per la liberazione di Dozier, di
medaglie al valore. Eppure, fatta eccezione per
il piccolo gruppo dei socialdemocratici, nessuno
pensò di aggredire i giudici e il pubblico
ministero Vittorio Borraccetti per le
incriminazioni e gli arresti disposti contro di
loro. E il presidente della Repubblica Sandro
Pertini si recò a presiedere il Csm per difendere
l'indipendenza dei magistrati dagli attacchi di
una parte insignificante della maggioranza.
Oggi non è stato solo il governo, ma anche, a
gran voce, il coro delle televisioni e della
stampa governativa che ha difeso l'operato della
polizia. Nei giorni successivi all'arresto degli
otto poliziotti, in una trasmissione di Porta a
porta Bruno Vespa chiedeva candidamente ai
difensori degli imputati se è «normale», per la
polizia, andare a prelevare negli ospedali
persone ferite e perciò sospettate di essere
state coinvolte in scontri di piazza; se fa parte
della «procedura» sottoporle a ispezioni
corporali; se rientra nella routine poliziesca
trattenerli per ore in una caserma contro la loro
volontà. Normalissimo, rispondevano gli
intervistati, confortati dal silenzio degli
invitati dell'opposizione. La percezione come
«normali» delle violazioni dell' habeas corpus è
stata così suggerita a milioni di telespettatori.
E' in questo modo che i diritti svaniscono, nel
senso comune e nello spirito pubblico, ben prima
che nelle leggi e nelle sentenze.
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francoppoli@???
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