[Cerchio] chiesa su bush

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Autor: VAMPIRE SHADOW - FRANZ
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Asunto: [Cerchio] chiesa su bush
Sono quasi pienamente daccordo con quanto esposto nella mail (tra l'altro
pochi giorni dopo l'attentato ero stato io stesso a scrivere una mail dove
avanzavo l'ipotesi di colpevolezza dei vertici USA).

Su un fatto vorrei ritornare: il motivo dell'attesa per l'attacco
all'Afganistan è, a mio avviso stato posticipato per permettere al Nasdaq di
creare un supporto (dal quale rimbalzare), dopo il crollo dovuto al "Panic
selling".

Bisogna anche mettere in evidenza che grazie alla guerra l'America ha
evitato (scolasticamente) una recessione clamorosa ed è riuscita a far
passare in secondo piano la vicenda Enron.

Come la storia ci insegna (già nel 1940 gli americani lasciarono morire
parecchi soldati a Pearl Habor, facendo sapere solo molto dopo che in realtà
erano a conoscenza dell'attacco giapponese), la patria ha lasciato morire
altri 4.000 esseri umani a soli scopi economici!!!

VAMPIRE SHADOW - FRANZ
----- Original Message -----
From: "Leonid Ilijc Brezhnev" <brezhnev@???>
To: "O di G8" <cerchio@???>
Sent: Wednesday, May 22, 2002 7:08 PM
Subject: [Cerchio] chiesa su bush


Casus belli

GIULIETTO CHIESA
Cosa sapeva l'Amministrazione di Washington prima dell'11 settembre?
Andiamo con ordine. Che la versione ufficiale del «siamo stati colti di
sorpresa» non stesse in piedi nemmeno alla più elementare delle verifiche,
non è sfuggito a molti osservatori. In pochi giorni, apparentemente, subito
dopo il disastro, Fbi e Cia riuscirono a individuare i nomi di diciannove
dei venti kamikaze (i nomi, sia ben chiaro, perché le vere identità
rimangono tuttora oscure), i luoghi dove alloggiarono alcuni di loro (per
esempio la cittadina di Fort Laudersdale, in Florida), in molti casi
perfino le fotografie, le carte di credito usate (stranezza delle più
inquietanti, che quei signori usassero per pagare il mezzo più facilmente
esposto a indagini). In pochi giorni non si ottengono questi risultati se
non esistono dei files precedentemente aperti.
Il fatto è che il ventesimo kamikaze lo avevano già in mano fin dal 16
agosto. Zacarias Moussaui, arrestato dall'Fbi a Eagan, Minnesota, 26 giorni
prima dell'11 settembre. Allievo pilota nella locale Pan Am Flight Academy.
Un solerte cittadino avvisa; il locale ufficio dell'Fbi fulmineamente
agisce, ma la pratica si ferma. Non si sa dove.
Se si torna indietro nel tempo si vede che l'arresto di Moussaui non poteva
passare inosservato. Per il semplice fatto che rappresentava la conferma di
quasi tutte le tracce precedentemente accumulate dai servizi segreti
americani. In particolare quella del 5 luglio (meno sessanta giorni
all'impatto) e quella del memorandum della Cia del 6 agosto (meno trentasei
giorni all'impatto). Nel primo caso fu Richard Clark, capo
dell'antiterrorismo, a riferire a tutti gli altri capi dello spionaggio che
«qualche cosa di terribile, di spettacolare sta per accadere» e che
l'obiettivo «sarà un edificio». Nel secondo caso furono allertate le
compagnie aeree civili. Evidentemente si erano ricordati del rapporto dei
servizi che Bill Clinton aveva ricevuto nel settembre 1999, dove si diceva
che «combattenti suicidi (...) potrebbero gettarsi con un aereo (...)
contro il Pentagono, la sede della Cia o la Casa Bianca». Anticipazione
quasi perfetta.
Parlare - come ha fatto Thomas Friedman sul New York Times - di «mancanza
d'immaginazione» da parte dell'Amministrazione non è possibile: tutto era
già stato «immaginato» da molto tempo.
La vera novità di questi ultimi giorni consiste nella rivelazione - questa
davvero sconvolgente - che il sabato immediatamente precedente la
catastrofe, cioè all'incirca tre giorni prima, il presidente Bush (o
qualcuno per lui) aveva già fatto compilare quello che la stampa usa
definisce un «ordine presidenziale», per la preparazione dell'offensiva
militare contro Al Qaeda in Afghanistan. In contemporanea, per giunta, con
l'assassinio, nella Valle del Panshr, di Ahmad Shah Massud.
Dunque il governo americano non era affatto distratto, non stava con le
mani in mano. Stava anzi preparando un'offensiva militare su larga scala.
Adesso sappiamo che «Infinite Justice» era stata preparata prima dell'11
settembre.
Ma - e non è chiaro per quale ragione - George Bush non diede corso e
rinviò tutto alla settimana successiva. In quei tre giorni fatali Al Qaeda
scatenò l'attacco. Naturalmente, su queste basi, non si può concludere
nulla.
Salvo che a Washington non stavano dormendo. Restano mille ipotesi sul
perché di quel rinvio. Tra queste mille ipotesi ce n'è una che merita di
essere presa in considerazione e che, stranamente, non è finora venuta in
mente quasi a nessuno. Che, cioè, l'Amministrazione (o qualcuno al suo
interno, che agiva con una certa libertà) avesse molte informazioni per
prevedere un attacco terroristico, e avesse ritenuto che una dura risposta
a un'offensiva terroristica contro l'America sarebbe stata di gran lunga
preferibile a un attacco a freddo degli Stati uniti. Come motivarlo,
infatti? Inoltre, in tal caso, un attacco terroristico contro gli Usa in
guerra, avrebbe potuto apparire come una ritorsione giustificata (o
giustificabile).
La scelta sarebbe stata, dunque, politica, e basata su una valutazione
errata delle dimensioni del possibile attacco terroristico. L'11 di
settembre fu altra cosa rispetto a ciò che ci si aspettava. Forse le cose
non sono andate esattamente così. Stiamo congetturando. Ma è certo che
questa teoria spiega molte delle cose inspegabili che stanno emergendo
adesso.