[Cm-crew] catalogo mostra provos

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Aihe: [Cm-crew] catalogo mostra provos
allora
razza di ciclist* arrugginiti della domenica
vi giro sto pezzullo in occasione dell'uscita
del catalogo della mostra sui provos tenutasi
qualche mese fa a milano, non compratelo, fotocopiatelo.

(camere d'aria gratis)


Catalogo stampato in occasione della mostra:
SENZA MANI! PROVOS E BICICLETTE BIANCHE



Stili di vita ribelli su due ruote da Jarry ai bike
messenger di Matteo Guarnaccia
“Verso le 3 decido di non obbedire e vado in
bicicletta per scongestionarmi” (Henry Miller)

Pedalare è sinonimo di “andare via”, affrancarsi dalla
condizione di bipede, infrangere la legge di gravità
ed entrare nel fluttuante e ritmico mondo della
tubolarità. È pura magia, la meraviglia di sentire il
corpo entrare in automatica, dopo aver superato la
goffaggine iniziale. È un atto programmato nel nostro
DNA - come nuotare o fare l’amore - che ci aiuta a
comprendere che il vero equilibrio è insito nel
movimento e non nella stasi. Un atto gratuito,
un’iniziazione in piena regola, con tanto di prove e
perdita di sangue (le ginocchia sbucciate e le mani
scartavetrate). La partecipe attenzione di un
“anziano” che risveglia nel neofita una rinnovata
confidenza con il proprio sistema neuromuscolare. Un
rito accompagnato dal mantra cigolante della catena
che, pedalando, viene sgranata e fatta ruotare come un
rosario. Andare in bicicletta non implica alcuna
stupida esibizione di potenza, non riduce brutalmente
lo spazio vitale di chi ci vive accanto, non ha
ricadute negative sull’ambiente, richiede solo
ottimismo e sfrontato coraggio (dare le spalle alle
automobili è un vero atto di fede affrontato dal
nostro guerriero interiore). I popoli precolombiani
usavano la ruota per i giocattoli dei loro bambini, i
tibetani come mezzo di propulsione per le loro
preghiere, ma la ignoravano per il trasporto di cose o
persone; la bicicletta è la splendida sintesi dei
possibili usi della ruota: è insieme gioco, trasporto
e preghiera. Il “magnifico scheletro esterno che
permette alla razza umana di superare di gran carriera
i limiti imposti dall’evoluzione biologica”, cantato
da Alfred Jarry, padre della patafisica e terrore
delle strade della Belle Epoque, è da sempre uno
strumento fondamentale di iniziazione e di libertà, un
modello insuperato di veicolo socialmente
responsabile, egualitario, silenzioso e sensuale.
(Avete mai portato nessuno in canna?). È sintomatico
che la due ruote, sin dalla sua comparsa, abbia goduto
del favore delle minoranze creative. Anche la
bicicletta ha dato vita a vere e proprie subculture
fondate su uno stile di vita fuori dalle regole,
sebbene a prima vista possa apparire meno esotica del
surf, meno trendy dello snowboard, meno giovanilista
dello skate e meno appariscente della motocicletta. Un
legame, quelli tra bicicletta e culture antagoniste
che, con l’acuirsi della dipendenza psico-sociale nei
confronti dell’automobile, non solo non si è
interrotto, ma è diventato ancora più forte. Una lunga
teoria di rivolta ed eccentricità semovente, che va
dalle coraggiose suffragette ai mistici Bauls del
Bengala, dai vietcong sulla pista di Ho Chi Minh alla
bici fatata di Albert Hofmann, dalle bici pacifiste
dei Provos a quelle imbottite di esplosivo della Rote
Arme Fraktion tedesca, dagli anarcociclisti britannici
ai bike messengers newyorkesi, dalla musa warholiana
Nico alla svizzera ribelle Annemarie Schwarzenbach. La
scelta di chiamare questa mostra “Senza mani!”
riflette l’urlo di battaglia,
l’esclamazione-affermazione attraverso cui l’individuo
esprime con orgoglio (ed una punta di brivido)
l’acquisizione del potere magico creativo di andare in
bicicletta senza dover stringere il manubrio. È un
gesto inequivocabile di ribellione e di indipendenza,
un preciso segnale di avvertimento e sfida rivolto ai
controllori (“guarda mamma, senza mani!”).


“Una bicicletta non è nulla ma è già qualcosa”
(slogan provo)
Il movimento antagonista più famoso per il suo legame
con la bicletta è stato sicuramente quello dei Provos
(ossia “provocatori”) olandesi, antesignani dei
movimenti giovanili di protesta sorti nel mondo
occidentale negli anni ‘60 del secolo scorso. La
percezione di “muoversi nel mondo come ciclisti su
un’autostrada” (1), li spinse a scegliere come proprio
simbolo totemico una bicicletta dipinta di bianco,
allo stesso tempo geniale reincarnazione del
cavalluccio a dondolo dadaista e arma contro la
proprietà privata capitalista. I Provos sono stati
un’inedita confraternita di artisti, teppisti e
visionari, che tra il 1965 e il 1967, è riuscita ad
instaurare per le strade e i canali di Amsterdam una
fugace e illegale repubblica anarchica fondata
sull’happening e la burla. Maestri nella manipolazione
dei media, cultori della trasformazione dell’arte da
decorazione a espressione di indipendenza e di gioia
di vivere, i Provos hanno costantemente agito in rotta
di collisione con l’autorità costituita. Prototipo
perfettamente riuscito dell’homo ludens teorizzato da
Huizinga, figli illegittimi del situazionismo, hanno
tra l’altro brillantemente interpretato e reintrodotto
lo sciamanesimo nella cultura occidentale (2). Nel
cosiddetto “provotariato”, gruppo fluttuante, senza
gerarchie, non-violento, antiautoritario, ecologista
ante-litteram, felicemente disorganizzato, confluivano
diverse stravaganti eresie che in maniera più o meno
chiassosa stavano preparando Amsterdam al ruolo
esaltante di Città Magica - inaffondabile bastione
controculturale, laboratorio per arditi esperimenti
sociali ed evolutive - che avrebbe assunto nei decenni
a venire. Anagrammando la parola Amsterdam si ottiene
“Mad Stream”, ed è stato proprio il flusso pazzo di
esperienze portate in dote dai partecipanti alla scena
provo che la rese così particolare e affascinante. Tra
i suoi ispiratori-fiancheggiatori, accanto ad anonimi
“nottambuli, arrotini, avanzi di galera, semplici
simoni stiliti, maghi, pacifisti, mangiatori di
patatine fritte, ciarlatani, filosofi, portatori di
germi, stallieri reali, esibizionisti, vegetariani,
sindacalisti, babbi natale, maestri d’asilo,
agitatori, piromani, assistenti dell’assistente, gente
che si gratta e sifilitici, polizia segreta e altra
plebaglia del genere”(3), troviamo personaggi come
Constant (fondatore del gruppo COBRA, ex-membro
dell’Internazionale Situazionista, autore del
fantasmagorico progetto sociale e architettonico New
Babylon) Bart Hughes (pioniere delle ricerche con
l’LSD e autore delle famigerate sedute di trapanazione
cranica) Robert Grootveld (ex-lavavetri, eroe di
strada, mago antifumo e Scemo del Villaggio in
servizio attivo) Marijeke Koger e Simon Posthuma
(spogliarellisti, inventori della Pot-Art, animatori
dell’happening “Stoned in the Street” e in seguito,
emigrati a Londra, artisti di corte dei Beatles col
nome di Fool) Simon Vinkenoog (scrittore e attivista
psichedelico) Roel Van Duijn e Rob Stolk (anarchici,
ammiratori di De Sade, del dadaismo e marciatori
antinucleari). I Provos con il loro teatro
dell’assurdo hanno messo alla prova il concetto stesso
di democrazia rivelandone i limiti; hanno affumicato
in diverse occasioni i membri della casa regnante; si
sono attivati contro il proibizionismo della
marijuana; hanno ridicolizzato il conformismo
equamente condiviso da tutti gli strati della società
olandese e fatto perdere ogni autorevolezza alle
autorità. Usando l’immaginazione e la magia contro il
potere, hanno reclamato il diritto al gioco e alla
creatività. Ligi ai dettami del marxismo (non quello
di Karl ma piuttosto quello di Groucho) hanno agito
sul sociale, lanciando i loro famosi “piani bianchi”
volti a rendere le città più umane e vivibili, e i
rapporti tra gli individui più tolleranti e aperti.
Dal piano delle galline bianche (i poliziotti - in
slang galline - trasformati in assistenti sociali con
la mansione di offrire a richiesta cosce di pollo,
arance, contraccettivi, fiammiferi e di portare a
riparare le bici scassate) a quello delle biciclette
bianche (soluzione finale contro il terrorismo del
traffico). Bici bianche, anarchiche e collettivizzate,
date in libero uso alla cittadinanza per contrastare i
comportamenti antisociali di bande di psicopatici
aggressivi rinchiusi dentro rumorose e puzzolenti
scatole di ferro, che agiscono indisturbati contro
l’ambiente e la collettività, coperti dalla grande
industria e dalla polizia. Il successo dell’operazione
è tale che venne ripreso e riproposto da gruppi che si
ispiravano ai Provos da Stoccolma a Berkeley, da Praga
a Oxford. Ma il segnale più evidente della buona
riuscita del piano biciclette bianche fu la risposta
della polizia. Le autorità reagirono col solito tatto,
sequestrando le bici bianche perché non essendo chiuse
col lucchetto, rappresentavano un istigazione al
furto. La polizia è sempre stata per i Provos un
elemento insostituibile per la buona riuscita dei loro
happening. Al culmine del loro “carriera”, dopo una
serie ininterrotta di provocazioni e dopo esser
persino riusciti a far eleggere uno di loro nel
consiglio comunale (slogan elettorale “Votate Provo
per Avere Bel Tempo”), i Provos decisero
improvvisamente di sciogliersi per evitare di
diventare una caricatura di loro stessi - degli
imbarazzanti sovversivi a cui ormai tutti davano
ragione - lasciando sgomenti media e autorità. Note:
(1) Da un volantino distribuito simultaneamente dai
Provos ad Amsterdam, Bruxelles, Goteborg, Stoccolma,
Milano nel 1966. (2) Non a caso i loro documenti sono
stati inseriti nell’epocale mostra sulle civiltà
sciamaniche, “From Siberia to Cyberspace”, tenutasi al
Tropenmuseum di Amsterdam nel 1997. (3) Elenco tratto
dal primo bollettino PROVO, giugno 1965.

PER GUIDARE UNA BICICLETTA (CANTO DELLA CONFRATERNITA
MISTICA BENGALESE DEI BAULS)
Se tu, o mente, vuoi guidare una bicicletta Per prima
cosa solleva e annoda per bene la tua veste Poi se ti
muovi con sincerità Sarai sicura di farcela. Muoviti
in avanti Mettendo un piede sul pedale Tutti i rituali
svaniranno Tieni la visione davanti a te Tieni fermo
il manubrio. Stai ben seduta sul sellino, o mente
Mantieni l’equilibrio Inspira, trattieni il respiro
Senza guardar né a destra né a sinistra Pedala
recitando il tuo mantra. Cerca delle buone strade
Lasciati alle spalle tutti i pensieri inutili. Per
diventare un Maestro devi fare un giro in bicicletta!
Quanto l’interno e l’esterno sono una cosa sola
Diventerai un adepto. Poi suona il campanello, o
mente, Il campanello del discernimento. Il saggio
Madhavananda fluisce senza sforzo, Tu, Bahavani, per
colpa del tuo karma, non ti accorgi che Mentre vai a
tutta velocità stringi troppo i freni E finirai col
cadere. Oh stupido!

LA PISTA DI HO CHI MINH di Matteo Guarnaccia

Un reticolo di 3500 km di strade, stradine, sentieri
impossibili tra giungle, fiumi e montagne, dal Nord al
Sud Vietnam, attraverso cui passavano i rifornimenti e
i combattenti dell’Esercito di Liberazione in lotta
contro l’occupazione coloniale, francese prima e
statunitense poi. La pista che prendeva il nome
dall’omonimo eroe della lotta antimperialista
vietnamita, correva parallela alla frontiera con il
Laos e la Cambogia. Sulle sue strade sconnesse passava
un flusso continuo e inarrestabile di uomini e merci,
che gli americani cercarono vanamente di contrastare
sul terreno e dal cielo (più di un milione di
tonnellate di bombe e agenti defolianti sganciati nel
corso della guerra; furono persino gettati grossi
quantitativi di birra in lattina con la speranza che i
vietcong si ubriacassero). Il mezzo di locomozione
principale sulla pista erano delle vecchie biciclette
coi telai rinforzati, caricate in maniera inverosimile
e in grado di arrampicarsi ovunque. Oggi, a quasi
trent’anni dalla fine del conflitto, vengono
organizzate delle escursioni turistiche in mountain
bike sul vecchio tracciato della pista.

CICLOGUERRIGLIERI di Marco Cingolani

Matteo Guarnaccia é il vero curatore della mostra,
perché ha scritto un libro sui Provos e possiede tutto
il materiale editoriale che presentiamo. E poi é un
vero beat psichedelico, mentre io sono un ex punk,
anche ingrassato. Però vado in bicicletta,
rigorosamente solo a Milano, incurante delle rotaie
dei tram, e sono un appassionato di ciclismo in tv.
Perciò, quando Matteo mi presentò il suo progetto,
raccontandomi storie di ribellione in bicicletta gli
dissi: "Capperi, é tosta questa storia della pista
nella giungla, o jungla. Non ci andrei nemmeno pagato,
ma i guerriglieri ciclisti possono eccitare gli
spiriti degli artisti amici. Potresti commissionare
dei disegni ispirati ai guerriglieri ciclisti". Matteo
sorrise e disse: "Potresti chiamarli tu visto che é
una bella idea". Incastrato ed assunto, anche se il
vero lavoro l'hanno fatto Aloisia e Daniela. Il
risultato é eccezionale, perché in breve tempo, sono
arrivati disegni e piccoli quadri veramente belli e
intensi. Per non parlare del resto della mostra e di
questo librettino. Insomma, grazie Matteo per avermi
fatto partecipe al tuo progetto e ad Antonio Colombo
che continua a far andare l'Arte sempre più veloce.



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