...ecco il pensiero laterale
>From: marina <fe11408@???>
>Reply-To: cerchio@???
>To: digi8 <cerchio@???>, no ocse <noocse-bo@???>
>Subject: [Cerchio] FW: [OilemGoilem] Desmond Tutu e Naomi Klein
>Date: Thu, 02 May 2002 10:37:01 +0200
>
>inoltro
>marina
>
>----------
>
>Risposta: OilemGoilem@???
>Data: Thu, 02 May 2002 09:28:26 +0800
>A: Oilem Goilem <OilemGoilem@???>
>Oggetto: [OilemGoilem] Desmond Tutu e Naomi Klein
>
>Manifesto:
>
>INTERVENTO
>Apartheid in Palestina
>DESMOND TUTU*
>Nella nostra lotta contro l'apartheid, abbiamo sempre potuto godere del
>grande sostegno del popolo ebraico. Quasi instintivamente gli ebrei si sono
>trovati ad essere dalla parte degli esclusi, dei senza voce, lottando
>contro
>l'ingiustizia, l'oppressione e il male. Ho sempre avuto stretti rapporti
>con
>gli ebrei. Sono il patrocinatore del centro per l'Olocausto in Sudafrica.
>Ritengo che Israele abbia diritto a vivere all'interno di frontiere sicure.
>Quello che invece non è comprensibile, nè giustificabile, è quello che
>Israele ha fatto ad un altro popolo per garantire la propria esistenza.
>Sono
>rimasto profondamente afflitto dalla mia visita in Terrasanta; mi ha
>ricordato ciò che è successo a noi, neri nel Sudafrica. Ho visto
>l'umiliazione dei palestinesi ai check point, soffrendo come noi quando un
>giovane ufficiale di polizia bianco ci impediva di passare. (...) Ho visto
>i
>palestinesi indicare quelle che erano le loro case, ora occupate dagli
>ebrei
>israeliani. (...)
>Mi piange il cuore. Mi chiedo perché la nostra memoria sia così labile. I
>nostri fratelli e le nostre sorelle ebree hanno forse dimenticato le
>umiliazioni subite? Hanno forse dimenticato così presto la punizione
>collettiva, la distruzione di case che hanno dovuto provare nel corso della
>loro storia? Hanno forse voltato le spalle alle loro profonde e nobili
>tradizioni religiose? Hanno forse dimenticato che Dio ha a cuore la sorte
>degli oppressi?
>Israele non otterrà mai la propria sicurezza opprimendo un altro popolo.
>Una
>vera pace può essere definitivamente costruita solo su basi di giustizia.
>Condanniamo la violenze degli attentatori suicidi, e condanniamo la
>corruzione di giovani menti cui viene insegnato l'odio; ma condanniamo
>anche
>la violenza delle incursioni militari nei territori occupati, e la
>disumanità con cui viene impedito alle ambulanze di prestare soccorso ai
>feriti.
>Posso prevedere con certezza che l'operazione militare di questi giorni non
>garantirà la sicurezza e la pace auspicate dagli israeliani, ma provvederà
>solo ad intensificare l'odio.
>Israele ha tre opzioni: tornare alla precedente situzione di stallo;
>sterminare i palestinesi; o - come spero - battersi per una pace basata
>sulla giutizia, sul ritiro dai territori occupati e sulla costituzione di
>uno stato palestinese funzionante su quei territori, accanto alla stato di
>Israele.
>Noi in Sudafrica abbiamo avuto una transizione relativamente pacifica. Se
>la
>nostra guerra è potuta finire, lo stesso può avvenire in qualunque altro
>posto nel mondo. Se in Sudafrica si è potuta fare la pace, perché non la si
>può fare anche in Terrasanta? (...)
>Ma voi sapete megli di me che il governo israeliano è in una posizione
>privilegiata [negli Stati uniti] e che chi lo critica viene immediatamente
>accusato di anti-semitismo, come se i palestinesi non fossero essi stessi a
>loro volta semiti. (...) La gente ha paura negli Stati uniti a dire che è
>sbagliato ciò che è sbagliato perché la lobby ebraica è potente -molto
>potente. Ma viviamo in un universo morale. Il governo dell'apartheid era
>molto potente, ma oggi non esiste più. Hitler, Mussolini, Stalin, Pinochet,
>Milosevic e Idi Amin erano potenti, ma sono tutti finiti a mordere la
>polvere.
>L'ingiustizia e l'oppressione non prevarranno mai. (...) Dobbiamo fare un
>fervido appello al governo della gente di Israele e al popolo palestinese e
>dire: la pace è possibile, una pace basata sulla giustizia è possibile.
>*Desmond Tutu, ex arcivescovo di Città del Capo e presidente della
>Commissione per la verità e la riconciliazione sudafricana, ha letto questo
>intervento, di cui pubblichiamo alcuni stralci, a Boston (Massachusetts)
>all'inizio di questo mese.
>
>
>
>
>la Stampa:
>LA LEADER DEI NO GLOBAL PARLA AL MOVIMENTO DOPO LE VIOLENZE IN MEDIO
>ORIENTE
>Antisemitismo, l¹arma da togliere a Sharon
>
>1 maggio 2002
>
>di Naomi Klein
>
>
>Sapevo da notizie giuntemi per posta elettronica che qualcosa di nuovo
>stava
>succedendo a Washington. Una dimostrazione contro la Banca Mondiale e il
>Fondo Monetario Internazionale si è incrociata, sabato 20 aprile, con una
>marcia contro la guerra, e anche con una dimostrazione contro l'occupazione
>israeliana del territorio palestinese. Alla fine, tutte le marce si sono
>fuse insieme in quella che gli organizzatori hanno descritto come la più
>grande manifestazione di solidarietà con la Palestina nella storia degli
>Stati Uniti. Secondo i calcoli della polizia, c'erano 75 mila persone.
>
>Domenica 21, di sera, ho acceso il televisore nella speranza di cogliere un
>barlume di questa protesta di portata storica. Mi sono imbattuta invece in
>qualcosa di diverso: un trionfante Jean-Marie Le Pen che celebrava il suo
>nuovo status di secondo leader politico francese nella gerarchia della
>popolarità. E da quel momento mi chiedo se la nuova alleanza che ha preso
>forma nelle strade sia in grado di far fronte anche a quest'ultima
>minaccia.
>
>A me, che critico tanto l'occupazione israeliana quanto la globalizzazione
>sotto il segno delle corporations, sembra che la convergenza verificatasi a
>Washington sia venuta incontro a un bisogno antico. Malgrado le facili
>etichette tipo «antiglobalizzazione», le proteste legate al commercio
>mondiale degli ultimi tre anni hanno riguardato tutte l'autodeterminazione:
>ossia il diritto degli esseri umani, ovunque nel mondo, di scegliere da sé
>la maniera migliore di organizzare le loro società e le loro economie, si
>tratti di introdurre la riforma agraria in Brasile o di produrre farmaci
>anti-Aids generici in India, o magari di resistere a una forza di
>occupazione in Palestina.
>
>Quando centinaia di attivisti antiglobalizzazione cominciarono ad affluire
>a
>Ramallah per fare da «scudi umani» tra i carri armati israeliani e i
>palestinesi, la teoria che era andata sviluppandosi in opposizione ai
>vertici sul commercio mondiale si è trasformata in azione concreta.
>Riportare questo spirito coraggioso a Washington, il luogo dove si fa tanta
>parte della politica mediorientale, era il logico passo successivo. Ma
>quando ho visto in tv Le Pen raggiante, le braccia levate in trionfo, una
>parte del mio entusiasmo è svanito.
>
>Non c'è nessun legame tra il fascismo francese e i dimostranti di
>Washington
>che gridavano «Palestina libera!» (in effetti, se c'è qualcuno che i
>sostenitori di Le Pen sembrano detestare più degli ebrei, sono gli arabi).
>Eppure, non potevo fare a meno di pensare a tutti gli eventi recenti cui ho
>partecipato nei quali si condannava - giustamente - la violenza
>antimusulmana, si flagellava - doverosamente - Ariel Sharon, ma non si
>diceva una parola sugli attacchi alle sinagoghe, ai cimiteri e ai centri
>comunitari ebraici.
>
>Né potevo scacciare il pensiero che ogniqualvolta visito siti di attivisti
>come indymedia.org, che praticano l'open publishing, mi trovo davanti a una
>sfilza di teorie sull'11 settembre come prodotto di una cospirazione
>ebraica
>e a stralci dei "Protocolli degli savi anziani di Sion". Il movimento
>antiglobalizzazione non è antisemita; è solo che non ha fatto i conti con
>tutte le implicazioni dell'intervenire nel conflitto mediorientale.
>
>A sinistra ci si limita in genere a fare una scelta di campo, e nel Medio
>Oriente, dove uno dei contendenti è sotto occupazione e l'altro ha
>l'appoggio militare Usa, la scelta sembra chiara. Ma è possibile criticare
>Israele e insieme condannare vigorosamente l'ascesa dell'antisemitismo. Ed
>è
>egualmente possibile essere favorevoli all'indipendenza palestinese senza
>per questo pensare nei termini di una semplicistica dicotomia «palestinesi
>buoni/israeliani cattivi», che è l'immagine speculare di formule tipo «il
>bene contro il male» tanto care al presidente George W. Bush.
>
>Perché preoccuparsi di sottigliezze del genere? Perché chiunque sia
>interessato a combattere il fascismo stile Le Pen o la brutalità stile
>Sharon deve guardare in faccia la realtà dell'antisemitismo. L'odio
>antiebraico è una potente arma politica nelle mani della destra sia europea
>sia israeliana. Per Le Pen l'antisemitismo è un vero regalo, che ha
>contribuito a far impennare i suoi consensi dal 10 al 17% in una settimana.
>Quanto a Ariel Sharon, il suo vero asso nella manica è la paura
>dell'antisemitismo, non importa se reale o immaginario.
>
>Sharon ama dire che combatte i terroristi per dimostrare che non ha paura.
>In realtà, dietro le sue scelte politiche sta proprio la paura. Il suo
>grande talento consiste nel comprendere pienamente la profondità della
>paura
>ebraica di un altro Olocausto. Egli sa come tracciare paralleli tra le
>angosce ebraiche riguardo all'antisemitismo e le paure americane del
>terrorismo. Ed è un esperto nello sfruttare tutto questo per i suoi fini
>politici.
>
>La prima, fondamentale e diffusa paura su cui Sharon fa leva, quella che
>gli
>permette di affermare che tutte le sue mosse aggressive hanno in realtà un
>carattere difensivo, è la paura che i vicini di Israele vogliano ricacciare
>in mare gli ebrei. La seconda paura oggetto delle manipolazioni di Sharon
>riguarda gli ebrei della Diaspora, ed è la paura che alla fine essi si
>troveranno a dover cercare un rifugio sicuro in Israele. Questa paura fa sì
>che milioni di ebrei in tutto il mondo, molti dei quali sono disgustati
>dall'aggressione israeliana, tacciano e firmino assegni: un acconto sulla
>protezione futura.
>
>L'equazione è semplice: quanto maggiore è la paura degli ebrei, tanto più
>potente è Sharon. Giunto al potere sulla base di un programma di «pace e
>sicurezza», il governo Sharon è riuscito a stento a celare il compiacimento
>per l'avanzata di Le Pen, chiedendo senza indugio agli ebrei francesi di
>fare i bagagli e trasferirsi nella Terra Promessa. Per Sharon, la paura
>ebraica è la garanzia che può continuare incontrastato per la sua strada,
>perché ne ricava l'impunità necessaria per fare l'impensabile: mandare i
>soldati nel ministero dell'Istruzione dell'Autorità palestinese a rubare e
>distruggere gli archivi; seppellire vivi i bambini nelle loro case;
>bloccare
>le ambulanze, impedendo il soccorso ai moribondi.
>
>Gli ebrei fuori di Israele si trovano oggi presi in una trappola: le azioni
>del paese che si suppone garantisca la loro salvezza futura mettono in
>pericolo la loro sicurezza presente. Sharon sta deliberatamente cancellando
>le distinzioni tra i termini «ebreo» e «israeliano», pretendendo di
>battersi
>non per il territorio d'Israele, ma la per la sopravvivenza del popolo
>ebraico. E quando, a causa almeno in parte delle sue azioni,
>l'antisemitismo
>cresce, è sempre lui, Sharon, che è destinato a incassare i dividendi
>politici.
>
>Funziona. La maggioranza degli ebrei è oggi talmente spaventata da essere
>disposta a qualunque cosa per difendere le politiche israeliane. Così nella
>sinagoga del mio quartiere, la cui modesta facciata era stata appena
>sfregiata da un incendio di origine sospetta, il cartello sulla porta non
>dice: «Tante grazie, Sharon». Dice invece «Appoggia Israele... Oggi più che
>mai».
>Eppure una via d'uscita esiste. Niente cancellerà l'antisemitismo, ma gli
>ebrei dentro e fuori Israele sarebbero probabilmente un po' più sicuri se
>ci
>s'impegnasse a distinguere tra le varie posizioni ebraiche e le azioni
>dello
>Stato israeliano. E qui un movimento internazionale può svolgere un ruolo
>cruciale.
>
>
>Già vanno prendendo forma le alleanze tra gli attivisti antiglobalizzazione
>e i refuznik israeliani, ossia i soldati che si rifiutano di servire nei
>territori occupati. E le immagini più potenti nelle dimostrazioni di
>Washington erano i rabbini che marciavano al fianco dei palestinesi. Ma
>bisogna fare di più. È facile per gli attivisti impegnati nella battaglia
>per la giustizia sociale dire che, siccome gli ebrei hanno già difensori
>così potenti a Washington e a Gerusalemme, l'antisemitismo è un nemico che
>non spetta a loro combattere. Si tratta di un errore fatale. Proprio perché
>l'antisemitismo è utilizzato da gente come Sharon, è necessario lottare
>contro di esso.
>
>Quando l'antisemitismo non sarà più considerato come una faccenda che
>interessa soltanto gli ebrei, come qualcosa di cui debbono occuparsi
>soltanto Israele e la lobby sionista, Sharon si troverà privo della sua
>arma
>più efficace nell'indifendibile e sempre più brutale politica di
>occupazione. E c'è un vantaggio supplementare: ogniqualvolta l'odio
>antiebraico diminuisce, diminuisce anche il numero di coloro che la pensano
>come Jean-Marie Le Pen.
>
>Autrice di "No logo"
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>(Traduzione del Gruppo Logos)
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