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Vis-à-Vis: sullo sciopero generale del 16 aprile
Una rondine non fa primavera ma 300.000 fanno autunno caldo
Ancora una volta il movimento ha saputo rispondere con una presenza
massiccia e capillare dal nord al sud dell'Italia: oltre 300.000
lavoratrici/tori sono scesi nelle piazze del sindacalismo autorganizzato e
di base.
Ancora una volta il movimento ha saputo lucidamente scegliere da che parte
stare: dalla "sua" parte, sostanzialmente.
E questa parte incomincia sempre più chiaramente a definirsi sul crinale
della contraddizione che fonda il nostro sistema: la contraddizione tra
capitale e lavoro.
Oggi, a dieci anni dall'autunno dei bulloni, il mondo del lavoro ha rimesso
definitivamente in moto il conflitto. Allora, un moto di schifo nei
confronti di una dirigenza sindacale votata alla peggiore logica del
compromesso sin dalla politica dell'Eur del 76, sempre e comunque al
ribasso, si era manifestato con violenza da parte di una classe atomizzata e
sconfitta che per un breve periodo aveva rialzato la testa. Ma nel deserto
di quegli anni, in cui le dinamiche della ristrutturazione avevano già
inciso in profondità sul corpo della classe, la protesta si era per lo più
limitata ad una contestazione, sebbene in forme estreme, dei vertici da
parte di quella che rimaneva la "loro" base.
Grazie a dieci anni di concertazione, la ristrutturazione della vecchia
composizione di classe è stata seguita da una profonda ridefinizione del
quadro legislativo che ha precarizzato in modo estensivo i rapporti di
lavoro. Confidustria e Governo si sono infine decisi a superare i limiti
posti dalla concertazione stessa, in sostanza per procedere senza "lacci e
lacciuoli" ad ulteriori massacri sociali. L'attacco all'articolo 18 non è
che un punto di partenza, materiale e simbolico ad un tempo, di un vasto
progetto che trova nel Libro Bianco alcune sue fondamentali articolazioni.
La battaglia nata per la difesa dello Statuto dei lavoratori potrebbe invece
rivelarsi come l'inizio di una nuova stagione di antagonismo che vivrà del
protagonismo dei nuovi segmenti del proletariato universale. Oggi, a
differenza di dieci anni fa, le grida di protesta dei lavoratori più o meno
precarizzati non sono più voci che si disperdono nel deserto dell'atomismo
sociale. Un immaginario collettivo, quasi un nuovo senso comune che si
espande a livello planetario, si sta materializzando davanti a noi. E'
questo il grande merito del movimento che da Seattle fino a Genova ha urlato
in faccia ai potenti che un altro mondo è possibile. Ora il grido delle
coscienze sta finalmente trovando le gambe materiali per continuare ad
espandersi e a radicarsi nei gangli vitali del processo di valorizzazione
del capitale.
La ricomposizione della classe degli sfruttati ha fatto il 16 aprile un
decisivo passo in avanti. Chi ha deciso di giocare questa scommessa ha
potuto vedere che nei cortei del sindacalismo di base era presente in grande
numero, senz'altro di più che durante il 15 febbraio, proprio la categoria
dei "giovani lavoratori precari", proprio quella categoria che per tutti gli
anni '80 era stata ammaliata dall'ideologia della professionalità e
dell'autoimprenditorialità e che dopo lunghi anni di selvaggio sfruttamento
senza prospettive alcune di promozione sociale ha lentamente imparato a
riconoscersi come parte della classe dei lavoratori.
Ma l'evocazione di questa categoria ha spesso la mera funzione di segnare il
territorio, quasi si tratti di una esclusiva riserva di caccia per
"politicanti in movimento" in cerca di un nuovo soggetto da rappresentare
per costruire una propria forza contrattuale da spendere sul tavolo della
piccola e della grande politica. Il partito della Rifondazione Comunista, il
"movimento" dei Disobbedienti e molti social forum hanno pensato di
depotenziare le manifestazioni del sindacalismo di base con il non tanto
segreto intento di giocare di sponda con la Cgil (e domani, chissà, con il
centrosinistra). Chi ha giocato la carta della rappresentanza separata del
lavoro precario ed "intellettuale" come corpo a sé stante della classe è
però tornato a casa con le mani vuote.
Se confrontati con gli oltre 300.000 lavoratrici/tori reali scesi in piazza
con i sindacati di base, i Disobbedientisono riusciti soltanto a vagare in
piccoli gruppi per le metropoli dando vita, nella mattinata, a "picchetti
globali delle aziende, del lavoro precario, delle scuole, delle università,
delle strade e della mobilità", mentre nel pomeriggio hanno animato alcune
piazze con cortei non certo oceanici seppur gioiosi. Ciò nonostante i
disobbedienti, sono riusciti ad ottenere una sproporzionata copertura da
parte dei mass media, indipendenti o meno che siano (cfr. le copiose foto
sul sito di indymedia dedicate alle poche centinaia di partecipanti ai
picchetti romani a fronte dell'unica immagine riservata al corteo del
sindacalismo di base della capitale, cui, casualmente, vengono attribuiti 25
mila partecipanti, invece dei 70 mila effettivi - cifre al ribasso sono
riportate anche per il corteo del sindacalismo di base di Milano).
Bertinotti, dopo un generoso saluto nei confronti del corteo del
sindacalismo di base, ha virato con scatto felino ed abile mossa verso la
sfilata confederale ove ha proceduto "a braccetto" con D'Alema, Marini ecc.
cui ha potuto promettere in dote non "il movimento dei movimenti", che a
lui tanto piace, ma solo le misurate iniziative di cui sopra.
Insomma, nonostante i giochi di una parte consistente del ceto politico del
movimento , nuovi e vecchi segmenti della classe si sono trovati uniti nei
cortei del sindacalismo di base che hanno attraversato l'intera penisola.
Occore ora consolidare questo "appuntamento metropolitano": l'incontro dei
diversi segmenti del proletariato dovrà diventare pratica quotidiana e
trovare i propri luoghi di autorganizzazione, anche attraverso l'apertura
delle sedi del sindacalismo di base al territorio e alle figure sociali che
lo attraversano .
16 Aprile 2002
La Redazione
di
Vis-à-Vis
Quaderni per l'autonomia di classe
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