[Cerchio] 16 Aprile sciopero generale - Comunicato di "Vis-à…

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著者: karletto
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題目: [Cerchio] 16 Aprile sciopero generale - Comunicato di "Vis-à-Vis, quaderni per lautonomia di classe"
SAN GIOVANNI LIBERA, SAN GIOVANNI ROSSA!

Chi c'è c'è .


Dopo lo sciopero generale indetto dal sindacalismo di base il 15 febbraio, e
dopo la manifestazione che dipinse di rosso Roma il 23 marzo, ancora una
volta il movimento è chiamato a un "appuntamento" le cui parole d'ordine
esplicitamente si riferiscono alla contraddizione capitale-lavoro.

Con lo sciopero generale del 16 aprile, cui obtorto collo sono stati
costretti i sindacati confederali, ci si trova di fronte a un altro
fondamentale passaggio verso l'ineludibile attraversamento e consolidamento
del movimento all'interno dei gangli vitali del processo della
valorizzazione capitalistica, vera struttura fondativa degli assetti di
potere dominanti. E' un passaggio ineludibile perché, come abbiamo in molte
occasioni affermato, solo immergendosi nella contraddizione tra capitale e
lavoro il movimento può assumere un effettivo potere di veto, può essere
portatore di una permanente e strategica alterità, può giungere ad
autodeterminarsi come autentico soggetto collettivo.

In questo senso, guardando retrospettivamente al percorso che il movimento
ha intrapreso a partire da Seattle, non vi sono dubbi sul fatto che la
scadenza del 15 febbraio abbia rappresentato un oggettivo salto di qualità.
In quella giornata infatti si è prodotto, per la prima volta in termini
reali e non solo di virtuale potenzialità, l'incontro effettivo tra il
"popolo no-global" (per usare una pessima e mistificante espressione
giornalistica) e ampi settori del mondo del lavoro: un risultato di
straordinaria importanza, un successo felicemente "spiazzante" anche per chi
quell'incontro aveva lungamente auspicato. E tuttavia, note stonate avevano
preceduto e accompagnato la grande manifestazione. In quell'occasione,
infatti, i "social-forum", sulla base di una scelta che speravamo derivasse
da mera miopia, non avevano granché puntato su tale scadenza (nel corteo
romano erano infatti assai scarsamente visibili); il PRC e la stampa più
vicina ai "no global" ("il manifesto" e "Liberazione"), dal canto loro,
avevano nei giorni precedenti in qualche misura sminuito la valenza della
mobilitazione stessa, tentando di depotenziarla. Tuttavia, il movimento si
mosse, in quell'occasione, ancora una volta senza seguire le concrete
indicazioni dei soggetti politici che pure potevano, e possono, essere
considerati "di riferimento": così come era già accaduto alla marcia
Perugia-Assisi, alla quale esso autonomamente aveva deciso di non aderire, e
come è poi accaduto il 9 marzo, per il corteo di Roma sulla Palestina
(corteo che, a dispetto dei tentativi di "boicottaggio" operati da vasti
settori del ceto politico, fece registrare ben oltre 100.000 presenze in
piazza, e fischiò sonoramente gli esponenti dei partiti che tentavano di
intervenire dal palco).

Ora, di fronte allo sciopero generale del 16 aprile, ancora una volta il
movimento si trova a dover esplicare quel proprio autonomo potere di scelta,
in merito agli "appuntamenti metropolitani" cui di volta in volta è
chiamato.

Per la mattinata del 16, i sindacati di base hanno infatti già da diversi
giorni organizzato e promosso una presenza in piazza che possa essere in
grado di testimoniare in maniera qualificatamente "visibile" la propria
vasta adesione allo sciopero e un'effettiva, autonoma capacità di
aggregazione, non già intorno alla mera contestazione degli interventi in
materia di diritto del lavoro, promossi da Berlusconi e Maroni su mandato
della Confindustria, ma anche e soprattutto intorno a un'esplicita critica
del processo di implacabile precarizzazione della stessa "quotidianità
proletaria" che Monsieur le Capital va ininterrottamente articolando da
lunghi anni, nel continuo, totale asservimento di compagini governative
dalle più disparate composizioni partitiche. Contenuti, questi, affatto
"incompatibili" con la stessa razionalità del profitto e perciò del tutto
inconciliabili con le posizioni di quella "triplice sindacale" -
ostinatamente e prontamente ricompattata dal solito Cofferati, in una
ennesima strumentalizzazione della "spallata" di massa del 23 marzo - che,
facendo della "compatibilità con le esigenze dell'impresa" la propria stella
polare e perseverando nella pratica "concertativa", da decenni legittima di
fatto i continui attacchi alle condizioni di vita dei lavoratori e si
appresta oggi a "concertare" l'ultima svendita, di cui l'abolizione dell'
articolo 18 non è che un'articolazione settoriale.

Quella del sindacalismo di base sarà insomma una "piazza" caratterizzata dal
più netto rifiuto di qualsivoglia compromissione, all'insegna
dell'irremovibile consapevolezza che, oggi più che mai, la trincea del
conflitto capitale/lavoro va non solo difesa, ma rimessa al centro della
dialettica sociale, ormai riattivatasi su scala planetaria, come
fondamentale punto di forza da cui rilanciare l'attacco contro la guerra
globale permanente scatenata dal capitale totale contro il proletariato
universale (dal Kossovo a Kabul, da Jenin a Caracas .).

La piattaforma su cui il sindacalismo di base si è mobilitato e chiama a
schierarsi si articola su contenuti che sono stati fatti propri, sin da
Seattle, anche dal "movimento" e che, soprattutto dopo il 15 febbraio, hanno
lentamente iniziato a dotarsi di "gambe materiali"; gambe costituite dalla
ritrovata centralità della "questione lavoro" in tutte le sue molteplici
forme e articolazioni, al di là e contro ogni cedimento verso ipotesi di
"divisione funzionale dei compiti", oggettivamente assimilabili a tardive
riedizioni di quella mistificante "teoria delle due società" che il "77" ha
già liquidato una volta per tutte, e secondo cui al "sindacalismo"
spetterebbe la rappresentanza del lavoro "garantito" e delle figure
"tradizionali", mentre il "movimento" dovrebbe farsi carico della
rappresentanza del "precariato" e dei "nuovi lavori atipici".

La "piazza del sindacalismo di base" (che, tra l'altro, si è appropriato
della "storica spianata" di S.Giovanni, costringendo la triplice a radunarsi
in quella piazza del Popolo ultimamente sede delle manifestazioni
berlusconiane) non potrà perciò non diventare anche la "piazza del
movimento".

Il "ceto politico dei social forum" (ché per ora di questo sostanzialmente
si tratta) dovrà insomma "incrociarsi" con quella componente di ceto
politico che ha saputo non cedere verso pratiche compromissorie e che ha
continuato, anche nel deserto sociale degli anni ottanta e novanta, a porre
con forza la centralità della contraddizione capitale-lavoro, come unico
grimaldello in grado di forzare le maglie della rivoluzione restaurativa
scatenatasi sull'onda della sconfitta del ciclo di lotte del decennio rosso
'68/'77. Se tale confluenza non saprà articolarsi, superando logiche
settarie e/o politicistiche, il "movimento di Genova" saprà comunque, ancora
una volta, darsi appuntamento e riconoscersi di nuovo sul crinale più alto
del conflitto: la "Roma in Rosso" del 23 costrinse all'angolo la dirigenza
cigiellina, imponendo all'ordine del giorno i propri interessi di classe, ad
onta di qualsiasi unanimismo moraleggiante ed inciucistico, il 16
potrà/dovrà costituire un ulteriore passaggio verso l'autodeterminazione di
un soggetto collettivo infine saldamente incentrato sulla contraddizione
capitale-lavoro, vero fondamento per ogni "utopia" di trasformazione
radicale dell'esistente.


14 Aprile 2002


La Redazione

di

Vis-à-Vis

Quaderni per l'autonomia di classe



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