Lähettäjä: blanca Päiväys: Aihe: [Forumlucca] In risposta a Mario Ciancarella
Non è semplice digerire e rispondere a questa lettera.
Ma credo che non vada persa l'occasione di fare una riflessione sui
contenuti di cui è portatrice.
Intanto comincio a dire la mia. La prima cosa che mi viene da pensare è il
fastidio con cui ho subìto slogan che non mi appartenvano.
"Palestina libera, Palestina rossa" non è il mio stile di pensiero. E credo
di rappresentare una buona fetta del movimento.
Non perchè perbenisticamente mi disturba la parola "rossa". Ma piuttosto
perchè è limitativo, troppo poco rivoluzionario. Piuttosto "Palestina
libera, Palestina araba". Che magari dal punto di vista dell'impatto è uno
slogan meno eclatante, ma sicurante rispecchia un pensiero più conforme alla
libertà di espressione e di autorganizzazione proprio del popolo di cui
vogliamo essere sostenitori.
Ovviamente non sto parlando solo di uno slogan, cosa che in fondo può essere
anche una questione banale. Ma da qualche parte dovevo pur iniziare.
Se fosse solo quello, la cosa più semplice sarebbe lasciar dire. Ed evitare
una discussione indubbiamente spinosa.
Ma qui il problema è sostanziale. E a questo punto non si può lasciar
perdere.
A volte ho l'impressione che all'interno del Social Forum si giochi, da
parte di alcuni, un giochino un pò ambiguo: chi è a più sinistra di chi.
Il forum NON è lo spazio per stabilire le posizioni reciproche e per
stabilire chi è più antagonista tra gli antagonisti.
Cosa che non ha nessunissimo senso perchè non stiamo qui a misurare il grado
di rosso che ci caratterizza, ma piuttosto per amplificare il più possibile
l'onda d'urto di un pensiero che vuol essere innovativo, antagonista e
propositivo.
Qui sta la vera sfida, qui dobbiamo dimostrare di avere le proverbiali
"palle".
Il movimento è frutto di un patto tra realtà diverse che hanno accettato di
mettersi alla prova nello sperimentare una convivenza.
Questa è la ricchezza del movimento. A partire da Genova in poi è stato
questo lo sforzo.
Di far convivere componenti diversissime sulla base di un patto comune che è
quello di "lavorare insieme per..."
Questo non ci rende obbligatoriamente sposati gli uni agli altri. Ma ci
richiede uno sforzo di superamento che non possiamo aggirare.
Ora, se continuiamo a trinceraci dietro vecchi slogan e dietro vecchie
barricate, non vedo come si possa sostenere di essere innovativi e
propositivi.
L'antagonismo non è mai fine a sè stesso: pena il diventare autoreferenziale
ed autocelebrativo.
E sinceramente io non ci tengo a diventare un esemplerare da museo, da
esibire nella bacheca delle glorie di passate battaglie.
L'antagonismo reale è frutto di un cammino più complesso di quello
consistente nel lanciare parole d'ordine sempre più "spinte".
Ha ragione Mario quando parla di rabbiosa impotenza e frustrazione.
E quando dice che la diversita' non risiede nelle analisi delle ragioni e
delle cause dirette e remote dei conflitti in atto.
Non prendiamo la sua riflessione come spunto per aizzare i pregiudizi
reciproci.
Perchè si, un'altro dei problemi che voglio sollevare è proprio quello.
Diciamocelo senza peli sulla peli sulla lingua: non ci stiamo proprio tutti
simpatici reciprocamente.
Ma questa convivenza difficile è possibile se crediamo nel valore di essere
diversi e di essere convergenti.
E' possibile se crediamo nella potenzialità rivoluzionaria di un cammino
comune.
La capacità di credere in questo esperimento di convivenza secondo me è
l'unica condizione senza la quale NON può essere possibile il LSF.
Chi non crede in questo si taglia fuori da solo.
E non è solo una questione di convivenza, ma anche di strategia.
Io personalmente non ci tengo a vincere una battaglia simbolica fine a sè
stessa.
Che mi rimane dopo se non la soddisfazione breve di essermi sentita per un
attimo "guerrigliera" di una guerra che non posso fisicamente combattere?
Certo è una bella sensazione, magari ti da un senso di appartenenza. Ma
risulta sempre una scelta a metà. Non posso essere là, allora disloco qui la
battaglia.
Io rispetto varie forme di lotta. Ma per ognuna c'è il suo tempo e il suo
luogo.