[Cerchio] Una chiaccherata informale sul Karl Marx di Maximi…

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Aihe: [Cerchio] Una chiaccherata informale sul Karl Marx di Maximilien Rubel ...
Il "militare" oltre che costituirne l'eventuale "prosecuzione", non può che
rappresentare l'ammutolimento e la surdeterminazione del "politico".

Quando poi, come nella tragedia che si sta consumando in questi giorni in
Palestina, la "guerra globale permanente" scatenata da Monsieur le Capital,
a preventiva tutela del proprio dominio, giunge a coniugarsi con la logica
disumana dello sterminio genocida, allora ci si trova costretti, volenti o
nolenti, entro l'orizzonte semantico dell'etica, ove qualsiasi rimando a
parametrazioni su scala politica è destinato a un oggettivo distorcente
annichilimento. Di fronte alla perversione del "male assoluto", per giunta
oggi "rappresentata" dalla progenie di chi ne ha già conosciuto su di sé
l'assurda e pur "banale" devastazione atroce, il lessico della politica
perde di incisività, la critica tende inevitabilmente ad annebbiarsi, come
lasciando doverosamente il passo ad un istintuale moto di solidarietà
immediata e totale per chi di quel male è vittima. La "coscienza" da
razionale si fa emozionale e induce a schierarsi subito, qui ed ora,
tralasciando, nell'immediatezza del rifiuto e dell'impegno solidaristico,
l'articolazione di quei pur indispensabili percorsi di analisi puntuale che
solo in un secondo momento essa saprà e dovrà riattivare, tornando a farsi
critica e tensione progettuale, finalisticamente orientata: cimentandosi
cioè nuovamente su quel terreno della politica, che solo può proporsi non
già di meramente contrastare gli effetti di quel "male", ma di aggredirne ed
abolirne le cause.

Per questo ordine di valutazioni, pur avendo da più di un mese preventivato
la presentazione della prima edizione italiana di "Karl Marx. Saggio di
biografia intellettuale. Prolegomeni per una sociologia etica" di Maximilien
Rubel, abbiamo ritenuto di "abbassare il tono" di tale iniziativa,
riconducendola negli ambiti di una sorta di chiaccherata informale fra pochi
intimi, piuttosto che nella dimensione, originariamente prevista, di un
effettivo momento pubblico di confronto e dibattito collettivi, su cui
sollecitare la maggior possibile attenzione.

E' così che circa una quarantina di "volenterosi aficionados", ieri
pomeriggio ha trascorso qualche ora nei locali della libreria "Odradek" di
Roma, a discutere del testo sopra accennato, sulla traccia delle poche
noterelle che qui di seguito accludo, e nella comune consapevolezza che esso
comunque offre la chiave di lettura di un Marx che ha trovato ben scarsa
udienza nella storia di quel "marxismo" che tanto ha segnato le vicende del
movimento operaio nel corso del XX secolo. Un Marx che, vedi caso, ha
sempre approcciato con massimo sospetto, se non con aperto disprezzo,
concettualizzazioni come quella di "popolo" o di "patria" o di "religione" .
concettualizzazioni che, malauguratamente, troppo spesso ritornano invece a
connotare, in modo aberrante, le quotidiane cronache dei tragici accadimenti
in terra di Palestina. Concettualizzazioni che si dovrà essere in grado di
demistificare, nella loro intrinseca valenza distorcente e perversa, senza
permettere che la solidarietà più totale con il proletariato palestinese (la
vera vittima del mercenario Sharon) possa giungere a trasformarsi in un
nefasto schermo dietro cui interdire l'individuazione dell'unica vera causa
del cancro che oggi va devastando l'intera umanità, nonchè dell'unica vera e
definitiva soluzione per questo universale ma ben specifico "male":
l'abbattimento della società del capitale totale! ... en passant, si
potrebbe forse ricordare che il barbone di Treviri ebbe modo di scrivere, da
"figlio di ebreo" qual'era, un testo intitolato "La questione ebraica", cui
di 'sti tempi non sarebbe male tornare a dare un'occhiata, in merito a
ipotetiche quanto "parziali" liberazioni di "popoli", "patrie", "religioni"
...

M.M.



Maximilien Rubel: "Karl Marx. Saggio di biografia intellettuale. Prolegomeni
per una sociologia etica."


Ipotesi sulla presentazione di un libro.

Potrà sembrare strano, ma gli ultimi anni, sul piano culturale, sono stati
segnati da un fenomeno tanto evidente, quanto inaspettato: il ritorno a Karl
Marx. Un fenomeno, peraltro, che ha lambito in modo assai marginale gli
ambienti politici comunque già impegnati in un'azione volta ad una critica
più o meno coerentemente radicale dell'esistente, riguardando invece, ed in
modo alquanto marcato, la comunità degli studiosi e i luoghi istituzionali
della produzione culturale, come le università.

Quali sono i motivi di tale riscoperta del lascito marxiano? Effettivamente,
la questione va sviscerata, poiché presenta aspetti che possono risultare
paradossali. Nel corso degli anni 80, non è stata forse l'intellettualità,
sia quella di consolidato "stampo accademico" che quella di più recenti
ascendenze "sessantottine", a dichiarare - in ogni angolo del mondo -
l'avvento del "post-moderno", teorizzando un "pensiero debole" inteso
anzitutto come definitivo rifiuto dell'assolutismo oscurantista di quelle
"meganarrazioni" di cui la teoria marxiana era sbrigativamente considerata
uno dei più nefasti capisaldi?

D'altronde, il crollo del muro di Berlino e con esso dell'esperienza del
cosiddetto "socialismo reale", giunse ad offrire la verifica definitiva di
tali assunti. E in forza di quegli esiti irrefutabili, il Moro di Treviri fu
definitivamente cassato, sotto il peso di una condanna che la storia stessa
pareva essersi incaricata di esprimere, tramite il tracollo del regime
statolatrico che di lui aveva fatto un'icona, una sorta di autentico "padre
fondatore". Il blocco dei paesi dell'Est, si diceva, non ha fatto altro che
applicare le ricette dell'autore de "Il Capitale", la cui "utopica teoria",
erroneamente fondata sulla presunzione di una "natura umana" assolutamente
immune da spinte egoistiche, non poteva che sfociare nel totalitarismo: nel
tentativo, cioè, di imporre all'uomo "il suo bene", forzandone le spinte e
le inclinazioni più profonde.

Il rifiuto delle meganarrazioni sul piano storico-filosofico, giungeva
infine a mettere in mora, come sterile e nefasta utopia, costitutivamente
inquinata del morbo totalitaristico, qualsiasi pulsione verso una critica
radicale dell'esistente e poneva, quindi, all'ordine del giorno
l'eternizzazione del presente, la stessa fine della storia. Come a dire che,
dal momento che ci si era liberati dal fardello costituito dalle promesse
irrealizzabili sostenute da Marx ed altri, l'umanità poteva godere la
concretezza di un benessere meno trascendente, ma alla portata di tutti. D'
altra parte, si pensava ad una realtà ormai pacificata, con un libero
mercato armonicamente messo in grado di dispiegare le proprie benefiche
virtù autoregolative ed includenti, su scala planetaria e senza contrasti.

Ovviamente, queste "teorie" hanno assai presto segnato il passo, non
sostenendo l'urto con la realtà. Certamente utili a legittimare una fase
contraddistinta dall'affermarsi del modello neo-liberista e dall'apologia
del sistema politico liberale, conseguenti all'epocale sconfitta del ciclo
di lotte degli anni sessanta/settanta, esse, già agli inizi dei novanta non
hanno saputo spiegare il lento ma progressivo riesplodere di conflitti in
tutto il pianeta, e il ri/evidenziarsi di contraddizioni sociali
sostanzialmente insanabili.

Il "pensiero unico" (diretto erede di quel "pensiero debole" che aveva
potuto godere della rendita di posizione di una controrivoluzione di parte
capitalistica di portata enorme) ha ben presto palesato la propria impotenza
analitica, di fronte al riattivarsi di una dialettica sociale che ci si era
illusi di aver esorcizzato definitivamente. E così, sia pure ob torto collo,
ci si è dovuti di nuovo rivolgere a Karl Marx, questa volta non più inteso
popperianamente come uno dei più acerrimi nemici della cosiddetta "società
aperta", ma come il più acuto profeta della globalizzazione, lo "scienziato"
che per primo ha saputo intravedere l'attuale direzione dello sviluppo
sociale: uno sviluppo tumultuoso, non privo di costi sociali e di
conseguenti conflittualità, ma in grado di superare ogni barriera posta da
frontiere o da culture diverse. Il barbone di Treviri è via via tornato,
così, ad essere considerato dalla "comunità scientifico-accademica" (ed in
primo luogo, vedi caso, proprio quella degli Usa!) come un prezioso
interlocutore, un "classico" ancora utile per orientarsi in un presente per
molti aspetti di difficile lettura . almeno per quanti si erano lasciati
abbagliare dai facili trionfalismi di un mondo finalmente sintonizzatosi
sugli automatismi di un mercato globale capace di autoregolarsi
armonicamente.

Si è giunti così al paradosso che, dopo lunghi anni di totale assenza dal
mercato librario, Marx è tornato alla ribalta editoriale proprio in
occasione del 150° anniversario del "Manifesto dei Comunisti"; testo di cui
si sono avute una ridondante quanto inaspettata molteplicità di riedizioni,
tutte, naturalmente, contrassegnate da introduzioni e/o postfazioni ove
invariabilmente si esprimeva una comune valutazione, tesa ad una sorta di
esorcizzazione di quello che non poteva e non può comunque non rimanere il
"versante oscuro", il "lato maledetto" del pensatore di Treviri. Il tratto
caratterizzante di tali "commenti a margine" di quel diabolico pamphlet
evidenzia, d'altronde, l'immutato "stile" di quel "ritorno a Marx" che
perdura a tutt'oggi, essendo anche giunto, in taluni casi, a debordare dalle
"accademie" ai mass-media: l'assunto inamovibile è che "il Marx scienziato"
è decisamente superiore al "Marx politico", dalla sua opera si può prendere
lezione solo quando descrive il processo costante di espansione del
capitalismo, ma occorre sganciarsi da essa quando giunge ad incitare il
proletariato ad unirsi, identificando in esso la classe che, non avendo
nulla da perdere, può dare vita ad un nuovo ordine sociale. Quest'aspetto di
Marx, evidentemente, viene considerato anche oggi affatto nocivo e tarato da
"cieca partigianeria antiscientifica"; la sua opera viene quindi miratamente
dissezionata, cavandone fuori solo gli aspetti ritenuti utili alla
comprensione "neutrale" della realtà, non già al suo superamento.

Ma nel frattempo, mentre la comunità scientifica usa un Marx evidentemente
stravolto ai propri fini, cosa fanno i movimenti che contestano lo stato di
cose presente? Di quali strumenti si dotano per comprendere il momento
attuale?

Bisogna riconoscere che da Seattle in poi, si è affermato un nuovo "senso
comune", estremamente critico nei confronti dell'esistente. Esso, però, ha
trovato, come risposta ai propri quesiti su come va il mondo, una pletora di
opere relative ai mali prodotti dalla cosiddetta globalizzazione; opere di
una qualche indubbia efficacia, sul terreno della denuncia immediata, ma dal
valore esclusivamente "descrittivo", in senso sincronico.

La maggior parte dei testi in questione, infatti, non riesce a leggere
diacronicamente il "presente come storia", non arriva a cogliere la radice
profonda degli accadimenti attuali, fermandosi invece alla loro apparenza
fenomenica. Ma così, isolando gli eventi che stiamo vivendo dal momento
storico, non si giunge mai alla comprensione critica, a un tempo, della
genesi e del possibile superamento dell'ordine capitalistico che li ha
determinati.

Anche per il movimento che si sta dispiegando su scala planetaria, dunque, è
giunto il momento di ritornare a Marx. Ma ciò vuol dire anzitutto riprendere
in mano la sua opera senza spezzarne l'interna, radicale coerenza critica,
nella presunzione di poterne scindere due aspetti intimamente oppositivi,
uno "scientifico" ed un altro "militante". Ciò vuol dire, considerare
l'intero opus marxiano come una sorta di ininterrotto work in progress,
saldamente articolato nel suo sviluppo organico, senza quelle cesure al suo
interno che, in passato, sono state artatamente individuate non solo dall'
"intellettualità ufficiale", ma anche da autori che pur intendevano rifarsi
ad una "prospettiva comunista".

Tale linea interpretativa crediamo trovi il più alto livello di
argomentazione e operante articolazione in Maximilien Rubel e (al di là
dell'incommensurabile contributo lasciatoci da tale studioso, che ha
impegnato l'intera propria esistenza nello sforzo di "ridare la parola" a
Marx) specificatamente nel suo "Karl Marx. Saggio di biografia
intellettuale. Prolegomeni per una sociologia etica", recentemente
pubblicato in italiano per i tipi della Colibrì/Editore.

Come questo testo dimostra nel modo più organico e chiaro, l'opera di Rubel,
a ben vedere, costituisce la più valida risposta sia al modo di leggere Marx
che imperversa nelle accademie, sia a quelle tendenze che, in ambito
marxista, hanno comunque reiteratamente preteso sottoporre Marx alle più
artificiose forzature interpretative, operando arbitrarie quanto deformanti
selezioni, divisioni, estrapolazioni, amputazioni ecc.ecc. (basti pensare,
fra i tanti casi citabili, alla ben nota "rottura epistemologica" che
Althusser volle vedere fra "il Marx giovane" e quello della "maturità"). E
va detto, senz'altro, che è proprio contro queste ultime che specificamente
si cimenta Rubel, al fine di disvelarne gli intenti tutti
"politico-ideologici". E ciò, semplicemente facendo parlare Marx,
riscoprendo/ricostruendo con minuziosa ostinazione l'intero sviluppo della
sua opera, in un grandioso lavoro di "restauro filologico" condotto
direttamente sui manoscritti originali del "Moro", al di là e contro
un'infinita serie di malversazioni/interpolazioni/censure che torme di
esegeti, più o meno in buona fede, sono andati sedimentando nel corso degli
anni, "sopra" la sua opera originale.

Va altrettanto precisato, però, il senso profondo di quello stesso "secondo"
sottotitolo - "Prolegomeni per una sociologia etica" -, che Rubel ha voluto
aggiungere per questa prima edizione italiana di quello che probabilmente è
il più importante suo scritto (insieme a quel "Marx critico del marxismo" -
Cappelli, 1981 - che è rimasto pressoché l'unico suo testo pubblicato in
italiano, sino a quando "Vis-à-Vis" ha cominciato a tradurre e pubblicare
dei suoi scritti, a partire dal 1995). Il "nucleo caldo" del pensiero di
Marx, individuato da Rubel sin dalla fine dei 40, può in buona sostanza
condensarsi nell'assunto secondo cui l'etica senza la critica è vuota così
come la critica senza l'etica è cieca. E proprio in tale prospettiva, si può
agevolmente scoprire che, pretendendo di "cassare" il Marx giovane, come
utopista incapace di superare la pura denuncia dell'ingiustizia e animato da
una spinta etica profonda ma non ancora in grado di analizzare il modo di
produzione capitalistico, si è "costruito" un "altro" Marx. Un Marx che è
anche militante - al contrario di quello "riscoperto" nelle accademie - ma
soprattutto scienziato, o, per meglio dire, un Marx in cui l'aspetto
politico trae linfa esclusiva dall'assoluto della ricerca scientifica. Si è
definito così un teorico/ideologo su misura per i dirigenti storici del
movimento operaio: non è stato forse a partire dalla II Internazionale che
si è diffuso il dogma per cui la "scienza" andrebbe portata al proletariato
dall'"esterno"?

Rubel, sulla base di una pluridecennale ricerca nutrita di rigore filologico
e di passione militante, ha mostrato quanto falso fosse quel Marx, arrivando
a parlare, appunto, di "sociologia etica". Studiandone il percorso politico
e biografico, Rubel è giunto a concludere che la definizione di un approccio
metodologico per la comprensione dei processi storici, sia stata anticipata,
in Marx, dalla scelta etica sottesa già al suo primo giovanile schierarsi
dalla parte dei "dannati della terra": autentica scaturigine della sua
opzione per il comunismo. Una lettura in chiave puramente scientistica di
Marx non può dar conto di quella che Ernst Bloch definisce come
l'ineludibile "corrente calda" della kritik marxiana: non può che negare
quel rapporto tra l'esperienza concreta dei soggetti sociali e la produzione
di una attività teorica volta a rovesciare il mondo, che per il Moro è
sempre restata condizione essenziale della sua specifica utopia concreta.

Se per Marx la liberazione del proletariato può essere opera solo del
proletariato stesso, al contrario, per i "marxisti-scientisti", sono i
rappresentanti/dirigenti che si elevano al di sopra delle masse, bisognose d
i delegare ad avanguardistiche élite la gestione dei loro stessi interessi
storici. Tale corpo separato, tale "casta" giunge ad ergersi
volontaristicamente come facitrice della storia, usando strumentalmente le
masse stesse come semplice forza d'urto contro il campo avverso, senza
comprenderne le spinte, senza permettere che esse liberino le proprie
energie creative.

Di contro a questa visione, la sociologia etica è la "scienza della
speranza", la scienza dell'autoemancipazione proletaria (autopraxis). E' il
sapere che nasce dall'esperienza concreta della realtà, dalla sua
osservazione in presa diretta (ad esempio, attraverso l'inchiesta),
dall'internità costante rispetto ai soggetti sociali che partecipano, di
fatto, della sua elaborazione. E vi partecipano perché avvertono, nella
materialità della loro esistenza, le radici di questo sapere, il suo essere
costitutivamente ed inscindibilmente sapere critico, tensione contestativa
contro un mondo capovolto, che depriva l'uomo delle sue qualità e
determinazioni specifiche, per alienarle in quell'astrattizzazione reale che
connota il ciclo di capitale in tutte le sue mediazioni - il mercato, il
diritto, la politica, la religione -, nella negazione assoluta del
qualitativo e nel nome esclusivo della razionalità quantificante del
profitto. Questa tensione etico/critica produce scienza/coscienza
conseguentemente antagonistica rispetto a qualsiasi tentativo di recupero
ideologico-spettacolare, ed è per questo che il Marx che ci esorta a
riscoprire Rubel è stato e resta assolutamente infruibile per chiunque
pretenda di compatibilizzarlo alle proprie velleità di strumentalizzazione
ideologica, sul piano di quell'autonomia della politica che in lui non può
non trovare il proprio più implacabile nemico. La sua critica
pratico-teorica potrà essere fatta propria solo dai soggetti sfruttati che
vogliono riprendere in mano il proprio destino. Essa vivrà come forza reale,
quando tali soggetti arriveranno ad esprimere compiutamente la propria
autonomia, spezzando la spirale dell'astrattizzazione atomistica attraverso
i processi materiali della propria ricomposizione, autocostituendosi in
soggetto collettivo rivoluzionario e creando propri luoghi di incontro e
propri istituti associativi come operante negazione/superamento della
rappresentanza democratico-borghese.

In sostanza, il Marx "RI/scoperto" da Rubel è oltremodo attuale, poiché
parla alle migliaia di donne e uomini che - in tutto il pianeta - sentono
ormai la necessità di contestare questo presente storico. Parla loro,
ricordando che essere radicale, per l'uomo, vuol dire andare alla radice
delle cose, e che la radice per l'uomo è l'uomo stesso. Il che significa
anche che non si può astrarre da sé, dal proprio concreto vissuto
quotidiano, quando si lotta contro il sistema di potere che ci opprime.
Sotto questo profilo, quindi, il "ritorno a Marx", può coincidere per
molte/i, col ritorno a sé, alla propria condizione materiale, alla propria
vita quotidiana, in una rielaborazione direttamente connessa ad una
riflessione collettivamente condivisa e già allusiva di una dimensione "da
comunità". Quel "ritorno" può dunque costituire un essenziale stimolo per
spezzare il cortocircuito della passivizzazione atomistica, rappresentandosi
finalmente come soggetti concreti, portatori di propri specifici bisogni
radicali, e non solo come "coscienze" genericamente astratte ed esprimenti
soltanto aneliti di ordine morale.

D'altra parte, il determinarsi di un autentico movimento di massa a
struttura soggettiva, per le singole individualità che afferiscono a tale
processo ricompositivo ed ai momenti fusionali che lo supportano, significa,
in concreto, anche e soprattutto incontro e fusione dei corpi, non più
negati nell'astrattizzazione atomizzante ed a/qualitativa del mercato.
Significa, quindi, anticipazione nella prassi di quella "comunità umana" -
il Gemeinwesen marxiano - dove la libertà di ognuno coinciderà con la
libertà di tutte/i, nella realizzazione di quel "sogno di una cosa" di cui
ancora ci parla il Marx critico del marxismo e teorico dell'anarchismo, che
Rubel ci consegna.


Roma, 5 Aprile 2002.

Le Redazioni


di


"Corrispondenze Metropolitane"

e

"Vis-à-Vis"



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