Autor: Pkrainer Data: Asunto: [Cerchio]
R: [movimento] Re:R: Per liveevil93 su Milano (e lealtre città....) Pkrainer
----- Original Message -----
From: <liveevil93@???>
> Pkrainer!
> Hai scritto che scendere in piazza è inutile!
sì, l'ho scritto e lo ribadisco: penso che scendere in
piazza sia quasi sempre inutile, e spesso pure dannoso -
perché trasmette l'immotivata sensazione di stare agendo
mentre si sta unicamente "testimoniando", nel senso
cristiano che é un po' meno sordido di quello giudiziario,
ma nemmeno tanto.
Nello specifico, poi, con le infinite cose che premono qui,
per c ercare di aggravare la crisi sociale italiana, trovo
che la Palestina costituisca, ingenuamente per molti,
maliziosamente per parecchi, un tentativo di svicolare dalle
occasioni che la situazione ci presenta per agire davvero, e
sostituirle con una solidarietà generica e sterile, che
risulterà sostanzialmente inutile e per certi aspetti pure
dannosa, perché dà non solo alla resistenza palestinese ma
perfino alle specifiche e deliranti forme di tale resistenza
un rispecchiamento spettacolare, un "pubblico", seminando
illusioni e ideologie a piene mani, dai due lati del mare.
>
> Ma è l'unica cosa che possiamo fare,
sì, é quello che diceva anche l'ammiraglio Onishi, creatore
dei kamikaze giapponesi. E' per altri versi quello che
dicono quelli che - al richiamo delle autorità - vanno a
deporre il loro voto nell'urna. Fra quel gesto che distilla
l'atto e lo rende autistico e questa passività che degrada
l'atto in semplice timbratura del cartellino del cittadino,
sta il peso dell'impotenza subita. Occorre travalicarlo
nella coscienza chiara che la battaglia dei palestinesi é
persa, perlomeno dal Settmbre Nero del 1970, e che é persa
perché non é una battaglia dal significato universale. Come
dice Marx, "fra ragioni uguali, decide la forza", e la forza
non sta dalla parte palestinese. Conti nuare ad appoggiare
la loro pretesa di avere un proprio stato in Palestina,
contribuisce a prolungare la guerra, come é interesse di
tantissimi, compreso il governo israeliano, che teme la
conversione economica in regime di pace ben più dei martiri
palestinesi (ma già, questa parola "martire", porco Dio, non
ci segnala davvero nulla?): ma non é interesse di chi ama la
libertà, la propria e ugualmente quella delle donne e degli
uomini che vivono oggi in Palestina. Finché durerà la
guerra, finché durerà l'illusione di una vittoria
palestinese possibile, sotto forma di costruzione di uno
stato alternativo a Israele, a fianco d'Israele, erede
multietncio d'Israele, i palestinesi saranno ridotti alla
condizione di esuli, di combattenti, di martiri, ridotti a
contendere la propria esistenza fra la condizione della
vittima, dell'assassino, del martire, del kamikaze,
dell'orfano, dell'orbato, del defraudato. Quelli che oggi
chiamiamo palestinesi NON TORNERANNO MAI in quelle terre da
padroni: vi torneranno, se ancora dovesse piacere loro di
tornare, solo quando TUTTI GLI STATI, e ogni desiderio di
costituire stati sarà stato cancellato dalla faccia della
terra. Precisamente come i pellerossa in America, gli
aborigeni in Australia. Solo la causa della distruzione
degli stati e delle nazioni, prima di tutte le loro -
nazione ancor più artificiale, se possibile, di Israele,
vere invenzioni geopolitiche dell'epoca dei blocchi - può
prospettare a quella gente un futuro diverso dalla sconfitta
presente.
le modalità non le decide poi un singolo... >
vero, ma che c'entra: io quanto a me, non ci vado, e
sconsiglio di andarci. Evidentemente non sono così singolo,
se in piazza ci vanno in così pochi, ti pare?
> Ma tu non puoi scrivere che
>
> "Che cosa dovremmo dire in piazza? che non é giusto? si
> tratta di un'ingiustizia che siede in mezzo ad altre decine > d'ingiustizie, alcune molto simili; e chi ci dovrebbe
> ascoltare? quali strumenti si potrebbero suggerire? la
> verità é che non si va in piazza, perché andare in piazza é > inutile, ED E' SEMPRE STATO INUTILE. "
>
> Altrimenti mi devi spiegare perchè più di una volta hai partecipato ai cortei... >
a parte che non sono state moltissime le volte, nell'arco di
trentacinque anni, io ci sono sempre andato nella speranza
di partecipare a scontri, sommosse e vandalismi, e
modificare così l'odiosa geografia delle città in cui stavo;
per incontrare persone; per diffondere scritti
sull'argomento; per conoscere sktuazioni che mi parevano
interessanti e poco chiare. Comunque sono sempre andato a
manifestazioni che reputavo inutili ma non, come queste per
la Palestina, francamente dannose. Comunque, ti faccio un
esempio: le manifestazioni contro la guerra erano anch'esse
poco utili, ma - se fossero state straordinariamente
numerose (il che non é stato) avrebbero forse messo in
difficoltà il governo e avrebbero magari ridotto la portata
dell'intervento italiano. Ma dimmi tu francamente: se anche
milioni di italiani scendessero in piazza contro Sharon,
credi che questi se ne farebbe un baffo? quand'anche se lo
facesse Berlusconi, credi che Sharon sia interessato ai
messaggi di Berlusconi? gli unici che possono ricevere un
messaggio dalle nostre manifestazioni sono i palestinesi -
che di tutto hanno bisogno, secondo me, meno che di qualcuno
che li inciti a resistere - e, forse ma molto forse, i
pacifisti israeliani. Ma, a parte che sarebbe più logico che
fossero loro a dare il tono alla situazione e semmai qui noi
a rispondere, il che non é, direi proprio che le forme e i
contenuti delle manifestazioni di questi giorni non aiutino
molto in questo senso. Già più incisiva può apparire
un'opera di interposizione e di controinformazione, come
quella avviata da chi é andato personalmente laggiù. Fra cui
ci sono anche persone che stimo (ma anche altre che
profondamente disprezzo). Ma toni, metodi, proclami, mi
inducono a veder prevalere, anche in quell'impresa, che
potrebbe pure essere significativa, ansia di protagonismo,
volontà di imporre soluzioni inconsistenti e reazionarie
(tipo: due popoli due stati, nel momento in cui i popoli non
esistono, e di stati ne esistono già ora pure troppi, ed é
proprio dall'invenzione di uno stato, quello d'Israele, che
é seguito il disastro), ideologia in dosi che
stroncherebbero un bufalo (Palestina libera, Palestina
rossa: che cosa vorrebbe dire, davvero?).
Con una battaglia piena di possibilità alle porte contro lo
stato e l'economia italiana, crediamo davvero urgente
scatenare tempo ed energie per gli ultimi sussulti di una
battaglia persa da decenni, per affermare l'esistenza di un
popolo, quello palestinese, la cui esistenza interessa solo
gli ideologi nostalgici dell'Urss, e i paesi arabi
reazionari, ansiosi di fondare le loro sovranità fittizie,
Libano, Siria, Giordania, Arabia saudita, Iraq, Palestina
appunto, su pseudonazioni disegnate a tavolino da inglesi e
francesi, ripescando nomi dalla storia antica, per dividersi
la torta mediorientale, e dare un trono a ciascun meritevole
satrapo. Ma ci rendiamo conto delle puttanate nazionaliste
che ci tocca leggere in solidaietà con i palestinesi?
proviamo a sostituire la parola "germanico" a "palestinese",
"russo" a "israeliano" e vediamo che effetto ci farebbero le
rivendicazioni sulla Prussia Orientale...solo un
antiamericanismo delirante, erede della guerra fredda, ci
può far prendere le parti in questa maniera dissennata non
solo per i palestinesi, ma per carogne impestate come i loro
dirigenti da Arafat a quei vecchi bastardi che mandano i
ragazzini a immolarsi in nome di Allah, e alcuni pure di
Cristo (pare ci siano pure kamikaze cristiani).
Il Sudafrica, l'Irlanda, il Paese Basco, il Kossovo, non ci
hanno insegnato nulla? che l'oppresso per motivi etnici e
religiosi non é altro che un oppressore fallito, bramoso di
opprimere a propria volta; e che nel frattempo inganna,
taglieggia e opprime il proprio stesso popolo. Occorre
essere ammiratori di tutti i martiri, devastati dal senso di
colpa, divoratori infaticabili dell'ostia velenosa del
crocifisso infame, per tollerare ancora di veder sventolare
bandiere nazionali, e addirittura sventolarle noi stessi. In
una battaglia per la sopravvivenza o l'affermazione di
stati, nazioni, religioni, lo sconfitto é solo più
sfortunato del vincitore, ma non é migliore di lui.