Il Tirreno martedì 5 febbraio 2002
«Non lasceremo la nostra proprietà»
Ai nomadi che vivono sul fiume
un'ordinanza di demolizione
Il Comune indica la zona in cui abitano destinata a gioco e sport
LUCCA. «Chiamate i musicanti, è ora di andare» canta il gruppo zingaro più 
famoso d'Italia, gli Acquaragia Drom. Ma non ci sarà musica per il viaggio 
che il Comune di Lucca prepara per i Sinti del campo di via della Scogliera, 
ex nomadi residenti a Lucca dai primi anni '70, provenienti dal Piemonte per 
accamparsi lungo quel Serchio che non sarà il Danubio dei progenitori, ma è 
pur sempre acqua, vita che scorre, movimento, libertà. Da qualche giorno c'è 
posta per la ventina di famiglie e la trentina di bambini che vivono in via 
della Scogliera, con tanto di numero civico specificato sulla busta verde 
che contiene l'ordinanza comunale: «Visti gli accertamenti trasmessi dal 
nucleo vigilianza edilizia dai quali risulta che su un appezzamento di 
terreno tra il Serchio e il secondo argine lato sinistro S. Anna, via della 
Scogliera, sede di insediamento di nomadi, i signori... hanno abusivamente 
realizzato le sottoelencate opere edili...».
Ai nomadi - residenti - un bel controsenso - che trent'anni fa acquistarono 
parte dei terreni del campo (come riconosce l'ordinanza), che in parte hanno 
condonato le costruzioni di legno ad uso abitazione e in parte aspettano 
ancora una risposta, il Comune impone di demolire tettoie e rialzi dal 
terreno che arrivano mala pena al mezzo metro. E ordina la riconduzione del 
terreno al suo aspetto originario, oggi ricoperto «da materiale inerte 
abusivamente depositato». Se entro aprile ciò non sia effettuato «si 
procederà d'ufficio al ripristino di che trattasi» perché - spiega il Comune 
- l'area occupata dal campo «insiste su area vincolata, nonchè su area 
soggetta a rischio idraulico per la golena del fiume Serchio» e comunque il 
tutto è zona classificata ad uso «gioco e sport, attrezzature sportive per 
il tempo libero», cioè parco fluviale.
Qualche chilometro più in là, invece, lo stesso Comune concede 
autorizzazioni all'ampliamento di stabilimenti industriali nella cassa di 
espansione di un torrente. Dove, evidentemente, non ravvisa gli stessi 
pericoli di via della Scogliera.
Comunque sia, a S. Anna bambini e giovani lucchesi potranno così godere del 
tempo libero nella nuova area verde, là dove un giorno abitavano i loro 
coetanei, iscritti alle scuole di Sant'Anna, dalle materne alle medie 
inferiori. Là dove un giorno abitava Elvis, dodici anni, difensore del Pieve 
San Paolo, prima media alla «Carlo Del Prete», che incrociamo diretto 
all'allenamento, borsa in spalla e divisa giallo-blu. Là dove, prima 
dell'arrivo delle famiglie Sinti - ricorda padre Luciano Meli, che da allora 
li ha visti nascere e morire - «c'era solo un acquitrinio». «Tutti i lavoro 
che vedi - raccontano gli uomini - li abbiamo fatti noi. Il riempimento del 
terreno, le case di legno, le cancellate, i giochi per i bambini, i 
giardini. C'è chi ha speso fino a venti milioni per carte, bolli, condoni e 
tutte le famiglie hanno contribuito con un milione di lire a testa quando il 
Comune ha fatto i lavori per portare la corrente elettrica. Lo stesso 
servizio sociale ha finanziato, alle famiglie più disagiate, i miglioramenti 
abitativi». «Questa terra è nostra - dice irremovibile la signora 
Giuseppina, una fede incrollabile nella "madonnina" - e se ci sono opere 
abusive vi metteremo mano, ma il Comune non ci può cacciare dalla nostra 
proprietà». Sono cambiati, gli ex nomadi, e se gli adulti non nascondono la 
permanenza in carcere, i precedenti penali, le tensioni con il quartiere che 
li ha portati ad essere controllati a vista, oggi l'orgoglio è la nuova 
generazione: «Sono cresciuti a Lucca, vanno a scuola, giocano nelle squadre 
locali, lavorano».
Cercano un'altra vita, dura da realizzare col marchio dello zingaro stampato 
addosso, tutte le volte che alla domanda «residenza?» devi dire via della 
Scogliera. Per i più piccoli ci sono i progetti del settore sociale del 
Comune. Ma i più grandicelli devono trovare da soli le motivazioni per 
conquistarsi un posto nel mondo dei «gadjé», così vicini, ma così diversi. 
In trent'anni solo quattro famiglie sono state sistemate in abitazioni del 
Comune. Nonostante la legge regionale, fortemente voluta dall' ex assessore 
Siliani, che permette di finanziare chi esce dai campi trovando, per 
esempio, abitazioni da ristrutturare. E anche per chi ha lasciato il campo 
non c'è pace. «Abbiamo il marchio come le bestie - racconta una famiglia che 
vive nelle case popolari del "serpentone" - dopo l'ultima rapina tutti i 
sinti un po' "tarchiati" sono stati portati via per essere interrogati. 
Sotto casa nostra sono arrivate tre pattuglie, sono scesi tutti insieme. 
Cosa possono pensare i nostri vicini? Mio marito lavora in una cooperativa, 
i ragazzi vanno a scuola. Così non è vita, sempre controllati, sempre con il 
dito puntato addosso».
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