[Badgirlz-list] testimonianze dall'afghanistan

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Autor: Descoñecido
Data:  
Asunto: [Badgirlz-list] testimonianze dall'afghanistan
Ciao a tutte/i
ho trovato queto su repubblica.it



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Questa è la giornata di Zeba, una donna di 31 anni che vive al centro
di Kabul. E' in stretto contatto clandestino con le militanti della
Rawa, l'Associazione rivoluzionaria delle donne afgane, che lavorano
tra Islamabad e l'Afghanistan. E' stata proprio una di queste ragazze a
raccontare la vita di Zeba e della sua famiglia sotto le bombe.

"CINQUE del mattino, il cielo è ancora scuro a Kabul. E ancora più buia
è la mia stanza, le finestre pitturate di blu che i Taliban ci hanno
imposto mi rubano la luce dell'alba. Mi alzo, ma faccio piano, le mie
bambine Nahid e Fatima dormono proprio qui accanto. Chissà come fanno a
stare così tranquille, a me stanotte sembrava che le bombe cadessero
sulla testa. Ieri Mareena, la vicina, mi ha detto che tre case in fondo
alla strada sono state distrutte. Non so chi ci fosse là dentro. Dio
mio, fa che non tocchi anche a noi, Dio salva la mia famiglia.

Sveglio Rahimullah, mio marito. Deve aiutare i suoi genitori nella
stanza accanto a vestirsi, io non ce la faccio a sollevare suo padre:
da quando i mujahiddin gli hanno fatto fuori tutte e due le gambe non
si muove più da solo e anche sua moglie è troppo debole per sostenerlo.
Beviamo insieme una tazza di tè. Niente zucchero, ieri sono riuscita a
procurarmene due cucchiai, ma lo tengo per le bambine, per loro è una
festa succhiarselo lentamente.

Spazzo la casa, accendo il forno, ma non so se oggi Rahimullah riuscirà
a trovare qualcosa da cuocerci dentro. Sono due settimane ormai che il
carretto con cui va a vendere le verdure al mercato è vuoto. Le strade
sono bloccate, la frontiera con il Pakistan pure e le merci non
arrivano. Ogni volta che lui esce io ho paura che non torni, che i
Taliban lo arrestino per mandarlo a combattere. Lui dice che è peggio
quando va a nord, perché quelli dell'Alleanza ammazzano tutti gli
uomini che arrivano da Kabul.

Si sono fatte le sette e devo andare a prendere l'acqua. Ormai ce n'è
solo alla fontana della moschea a quattro chilometri da qui, e tra due
ore il figlio di Mareena viene a ritirare il burqa per la madre. Da
quando il suo si è consumato usiamo a turno il mio, comprarne uno nuovo
costa troppo. In cambio del prestito lei mi dà un po' di carbone. In
realtà non è che poi lo usi tanto il burqa io, dall'inizio dei raid i
Taliban hanno proibito alle donne di uscire anche accompagnate dagli
uomini. Per andare ad attingere l'acqua, però, rischio. Due giorni fa
una guardia vicino alla moschea mi ha picchiata con un bastone, Nahid,
la bambina più grande che era con me si è messa a piangere. Come farà a
crescere così, povera creatura mia.

Torno, oggi è andata bene. Nahid e Fatima sono sveglie, Rahimullah è
uscito, ma ha lasciato un sacchetto di farina, chissà come se l'è
procurata. Le bambine sperano in una focaccia, e invece questa farina
serve per preparare il pane da vendere. Più tardi verranno i figli dei
vicini a comprarlo qui da me. Mi dispiace prendere soldi da loro, ma le
guerre ti rubano anche la libertà di essere generoso.

Riesco però ancora a fare qualcosa gratis per gli altri: insegno ai
figli dei vicini. Io so leggere e scrivere (anche a macchina), prima
che i Taliban proibissero alle donne di lavorare ero dattilografa.
Niente burqa, solo un foulard leggero, usciva sempre una ciocca di
capelli sul davanti. I bambini vengono qui di nascosto, le ragazze
dell'Associazione Rawa mi hanno dato un po' di quaderni e una
lavagnetta. Prima venivano solo le femmine, adesso anche qualche
maschietto, visto che ormai se vanno a scuola li arruolano per
la "guerra santa". Sono bravi i miei allievi, sanno che se bussa
qualcuno alla porta devono far finta di essere riuniti per pregare. Se
scoprono che insegno a scrivere alle bambine mi arrestano.

Si è fatto buio, ancora più pesto dentro casa. La candela la accendo
solo in casi di emergenza. Ecco si risentono le bombe, sono vicine.
Rahimullah torna a casa, Dio sia ringraziato. Anche oggi siamo riusciti
a far mangiare le bambine, almeno abbastanza perché prendano sonno.
Rahimullah ed io ci rannicchiamo in un angolo della stanza. Tiriamo
fuori la radio. E' il nostro segreto, durante il giorno la teniamo
nascosta in un buco nel pavimento. Nella notte, la Bbc e Voice of
America ci raccontano il mondo lontano, mentre sul nostro cadono i
missili. Prego con tutte le mie forze perché almeno dopo questa guerra
ci sia un mondo migliore anche qui".

(23 ottobre 2001)