ALLA COMMISSIONE TOPONOMASTICA DEL COMUNE
DI LECCE
Da decenni è in corso, nel nostro Paese,
una sorta di “guerra della memoria”[1] corredata dai tentativi
dell’uso pubblico e politico della storia. Ciò avviene sulla crisi
dell’antifascismo e delle sue culture politiche costitutive.[2] Non solo. Per quanto
riguarda l’offensiva culturale della destra politica estrema e meno estrema, si
arriva ai tentativi odierni di equiparare il negazionismo della Shoah con
quello delle Foibe, con una legge che si discuterà in Parlamento.
All’interno di questo quadro è ben
visibile un’ulteriore offensiva di gruppi della destra neofascista che punta a
costruire una narrazione mitopietica e vittimaria della propria consistenza e
del proprio ruolo nei decenni, se vogliamo dall’immediato secondo dopoguerra
agli anni ’70 e oltre. Da un lato si mitizzano i famosi ventuno “cuori neri”,
vale a dire giovani e meno giovani neofascisti, spesso squadristi, che
sarebbero caduti come “martiri della libertà”, vittime dell’odio antifascista
nato dalla stessa Resistenza e dai movimenti collettivi a partire dal ’68
italiano. In questo modo, oltretutto, si punta a rimuovere e a negare il ruolo
dei neofascisti nelle stragi italiane di quegli anni, negli agguati e omicidi,
nelle derive del terrorismo nero. Le vittime totali di un decennio conflittuale
(banalmente definito “anni di piombo”) furono circa 500.
Allora. Uno storico come Giovanni De Luna
scrive: "La politica non è
oggi in grado di proporre antidoti ai guasti di una memoria fondata sulla
centralità delle vittime. Meglio sarebbe guardare con fiducia alla conoscenza
storica. Più storia e meno memoria vorrebbe dire distanziarsi dalla tempesta
sentimentale che imperversa nelle nostre istituzioni, recuperare un rapporto
con il passato più problematico, più critico, più consapevole".[3]
Non vanno in questa direzione le numerose proposte, negli anni, di politici di
vari schieramenti, su una necessaria “pacificazione” all’interno di un quadro
di “memoria condivisa”, oltre che le tesi - in realtà faziose - dei
revisionismi storici.
La vicenda,
certo triste e meritevole di pietas umana, che riguarda Sergio Ramelli,
deceduto a Milano nel 1975 per un agguato vicino casa, è stata assunta da
decenni come simbolo stesso da parte di organizzazioni della destra radicale
del clima di odio alimentato dall’antifascismo militante. Il tutto decontestualizzato
da quel decennio che aveva visto in quella città stragi nere, come quella di
piazza Fontana del dicembre 1969, la madre di tutte le stragi, dove agirono,
oltre che i manovali di Ordine Nuovo, settori dello Stato-ombra, Servizi
italiani ed esteri, circoli golpisti, probabilmente anche quella struttura
atlantica scoperta decenni dopo, la cosiddetta Gladio. Per dire di quegli anni
a Milano, il 12 aprile del 1973 ci fu il triste “giovedì nero” in cui, da una
manifestazione del MSI e del Fronte della Gioventù, assieme al leader della
rivolta di Reggio Calabria, partirono bombe a mano contro la celere e l’agente
Antonio Marino rimase sul selciato. Ancora giovanissimo Ramelli, da filmati e
foto, sembra esserci in quei tumulti, e questo giusto per dire che era un
militante della giovanile missina e non un giovane che aveva solo vaghe idee di
destra e che per aver scritto un tema contro la violenza delle Brigate Rosse
venne fatto oggetto di un agguato omicida. Gli aggressori, ben 10 anni dopo
quei fatti, vennero infine condannati per omicidio preterintenzionale. Fu
Ignazio La Russa l’avvocato dei suoi familiari, certamente presente in prima
fila alla manifestazione del “giovedì nero” di Milano. Con Ramelli ancora vivo
ma in agonia, il 17 aprile del 1975 un neofascista uccide un giovane militante
del Movimento Studentesco, Claudio Varalli, e il giorno seguente Giannino
Zibecchi, nelle manifestazioni di protesta, rimane sul selciato schiacciato da una
camionetta dei carabinieri.
Per queste
ragioni non si possono assolutamente banalizzare quei conflitti come fossero avvenuti
per colpa di un indistinto “odio politico”. Sull’uso politico della vicenda di
Sergio Ramelli rimandiamo alle 14 pagine del giovane storico Elia Rosati,
autore di numerosi studi sulla destra radicale italiana ed europea.[4]
Rosati ricostruisce la mitizzazione come “martire” di Ramelli da parte del
vecchio MSI (il più grosso partito neofascista del dopoguerra in Europa),
quindi successivamente dai militanti di CasaPound Italia (che si
autodefiniscono “i fascisti del Terzo Millennio) che assieme a tutta la galassia neofascista ogni anno tiene a Milano,
nell’anniversario del 29 aprile, adunate con tanto di saluti romani e di urla
“Presente!”. Dove in stile militaresco e squadristico, da Azione Giovani a
Forza Nuova, da CasaPound agli Hammerskin, ci sono tutti. Come scrive Rosati,
sul caso Ramelli “si costruirà l’autonarrazione storica più forte degli
settanta per la destra radicale italiana, capace di essere condivisa
trasversalmente anche dai movimenti extraparlamentari e terroristici
neofascisti”, e ancora: “il caso delle manifestazioni neofasciste a Milano
appare insomma un perfetto esempio di uso pubblico nella storia declinato
nell’oggi e figlio del generale sbandamento della memoria collettiva nel nostro
paese”.
Un libro di
area della destra radicale, Sergio
Ramelli. Una storia che fa ancora paura, viene presentato in tutta Italia
direttamente dai gruppi neofascisti, come nel 2017 a Melissano (LE) da quel
Stefano Del Miglio, allora leader di Lealtà Azione, già condannato per
l’accoltellamento
di un giovane di sinistra e per offese a sfondo razzista. Questo libro è stato
citato lungamente nella seduta del Consiglio Comunale di Lecce (dall’ ex
sindaco Adriana Poli Bortone) che in maniera bipartisan ha accolto, con una
lieve modifica se vogliamo ancora peggiorativa, la proposta della destra
politica di titolare una piazzetta a Ramelli. Esiste anche un libro a fumetti
su Ramelli, edito da Altaforte, la casa editrice di CasaPound. In tutta Italia
in 29 città si sono titolate vie a Ramelli, sempre su input della destra
politica, anche a Nardò (LE), cittadina da cui nacque nel 2017 l’ambiguo
movimento “Andare Oltre” che tanta parte ha avuto anche nella recente vicenda
amministrativa a Lecce. Ove fosse approvata questa richiesta così poco
pacificatrice (e non sta comunque al Consiglio comunale pontificare sulla
storia degli anni settanta, tantomeno con quei toni pietistici e quelle argomentazioni
deculturalizzate), piazzetta Ramelli si aggiungerebbe inevitabilmente alla
toponomastica fascista che insiste pesantemente sulla città:
Via Giorgio Almirante, istituita dalla
giunta cittadina Poli Bortone. Almirante: fucilatore di partigiani, redattore
della “Difesa della razza”, organizzatore dello squadrismo neofascista.
Via Predappio, istituita dalla giunta Poli
Bortone. Predappio: luogo nativo di Mussolini e sacrario dei suoi resti, luogo
cult, ogni anno, delle manifestazioni celebrative neofasciste.
Via Ettore Muti: squadrista e poi aviatore, dopo la
fine del fascismo venne catturato dai carabinieri nel 1943 e mentre lo si
portava in caserma venne sparato mortalmente. A Milano, nella Repubblica
Sociale, si formò la “Legione mobile Ettore Muti”, dedita alla repressione
cruenta dei partigiani e il “Battaglione Ettore Muti della Brigata Nera Mobile”, nel ravennate. Ogni
anno, a Ravenna, manifestazioni celebrative di neofascisti al cimitero. Questa
via cittadina a una certa altezza si incrocia con via Andrea Gigante, un eroe
brindisino della Resistenza, altro sfregio alla memoria.
Via Vittime di Acca Larentia, istituita dalla Giunta
Perrone, su iniziativa di Alessandro Delli Noci, nel 2016. Si tratta
dell’episodio del 1978 a Roma, dove due neofascisti vengono uccisi da ignoti e
un terzo da un capitano dei carabinieri, dopo tafferugli missini. Ogni anno a
Roma si succedono celebrazioni neofasciste con tanto di saluto romano e
invocazioni al Duce. A Lecce portano mazzi di fiori su quella via.
“La vicenda del ricordo militante di Sergio Ramelli
appare quindi uno specchio della crescente attenzione per l’uso della memoria
da parte del neofascismo negli ultimi decenni, una strategia che ancora può
riservare soprese”, conclude Elia Rosati nel suo articolo: PRESENTE! La trincea della memoria storica del neofascismo italiano,
il caso Sergio Ramelli. Ed è singolare che nello sbandamento della memoria
storica e nella crisi dell’antifascismo caschi pesantemente l’Amministrazione
cittadina di Lecce.
Riteniamo irrituale e poco democratico che
con un voto bipartisan del Consiglio comunale del 28-05-2021 si proponga pesantemente
alla Commissione toponomastica questo deliberato, con solo una mozione e senza alcun
corredo storiografico, in barba allo stesso regolamento. Avanziamo quindi la
richiesta che la Commissione toponomastica ascolti controdeduzioni e
documentazioni diverse per potersi meglio orientare e infine per rifiutare decisamente
quello che propone la mozione da tutti approvata, eccetto un’astensione, dal
Consiglio comunale di Lecce.
Comitato provinciale ANPI di Lecce
[1] Vedi La guerra della memoria. La Resistenza nel dibattito politico italiano
dal 1945 a oggi (Laterza, 2005), con ampia documentazione.
[2] Su questo aspetto decine e decine
sono i titoli consultabili. Uno per tutti: L’antifascismo
non serve più a niente di Carlo Greppi (Laterza, 2020) della bella collana
Fact Checking: la Storia alla prova dei fatti.
[3] La Repubblica del dolore. Le memorie di un’Italia divisa (Feltrinelli,
2011).
[4]
http://storieinmovimento.org/wp-content/uploads/2018/04/Zap42_4-Zoom3.pdf, di Elia Rosati.