[nuovopci] Avviso ai naviganti 36 - I comunisti, il Movimen…

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Autor: \(nuovo\) Partito comunista italiano
Data:  
Para: npci.inter
Asunto: [nuovopci] Avviso ai naviganti 36 - I comunisti, il Movimento dei Forconi, la sinistra borghese e i dogmatici


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_AVVISO AI NAVIGANTI 36_

29 dicembre 2013

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I COMUNISTI, IL MOVIMENTO DEI FORCONI, LA SINISTRA BORGHESE E I
DOGMATICI

Il movimento dei Forconi ha spaventato la sinistra borghese e ha messo
in difficoltà i dogmatici
I comunisti possono e devono _da subito_ promuovere l'egemonia della
classe operaia nella lotta di tutte le classi delle masse popolari per
sfuggire alla catastrofe e fare dell'Italia un nuovo paese socialista

Come ha giustamente fatto osservare _Resistenza [7]_, il foglio mensile
del Partito dei CARC, in un articolo del numero di gennaio appena
comparso da cui qui largamente e liberamente attingiamo, tra i molti
effetti positivi del Movimento dei Forconi (Coordinamento 9 Dicembre)
non ultimo vi è quello di aver indotto a discutere di linea, e forse
anche a riflettere, una serie di organismi che sono o almeno vorrebbero
essere e comunque si presentano come promotori della mobilitazione delle
masse popolari contro l'attuale corso delle cose imposto nel nostro
paese dai vertici della Repubblica Pontificia e a livello mondiale dalla
Comunità Internazionale dei gruppi imperialisti europei, americani e
sionisti.

È utile andare a fondo del dibattito iniziato perché esso riguarda la
lotta che noi comunisti conduciamo per assumere la direzione della
classe operaia, il ruolo della mobilitazione dei lavoratori autonomi
nella costruzione della rivoluzione socialista (nella guerra popolare
rivoluzionaria che è la forma della rivoluzione socialista) e la linea
che i comunisti devono seguire in proposito.

Nel nostro paese i lavoratori autonomi sono all'incirca un quarto degli
adulti che formano le masse popolari, intendendo per masse popolari
(come indicato nel _Manifesto Programma [8]_ del nuovo PCI, pag.
166-171) quella parte della popolazione che riesce a vivere solo se
riesce a lavorare. È la parte che la crisi generale del capitalismo
sempre più nettamente distingue dalle classi che compongono il campo
della borghesia imperialista. Sono quindi una parte considerevole della
popolazione e nel nostro paese (come in paesi con una analoga
composizione di classe) lo sviluppo della rivoluzione socialista
comporta di necessità il loro coinvolgimento. Il procedere della crisi
generale del capitalismo colpisce con forza i lavoratori autonomi e crea
le condizioni per la loro partecipazione alla rivoluzione socialista.
Per la posizione che gli operai (intesi come i lavoratori delle aziende
capitaliste) occupano nella società attuale, la classe operaia può e
deve essere la classe dirigente della rivoluzione socialista e quindi
noi comunisti dobbiamo promuovere l'egemonia della classe operaia anche
sui lavoratori autonomi e in generale sulle classi non proletarie delle
masse popolari. Per noi comunisti queste sono verità acquisite e
basilari. Il problema che si pone nel dibattito in corso è come il
Partito comunista, che ancora non dirige la classe operaia (questo è nel
nostro paese il limite non ancora superato della rinascita del movimento
comunista), deve operare per promuovere l'egemonia della classe operaia
sul resto delle masse popolari, sui lavoratori autonomi nel caso
concreto di cui ci occupiamo.

IL PRIMO PUNTO su cui dobbiamo insistere e portare chiarezza nel
dibattito in corso è la natura dei lavoratori autonomi nella società
attuale.

I dogmatici li chiamano "piccola borghesia" e nei libri di Marx ed
Engels, che descrivono la società borghese quando era ancora nella fase
della sua formazione e della sua crescita, hanno letto che la piccola
borghesia è una classe in disfacimento: una classe formata da individui
che aspirano a far parte della borghesia mentre la maggior parte di essi
è ridotta dallo sviluppo del capitalismo (dalla sussunzione crescente
delle attività produttive nell'economia capitalista) alla condizione di
proletari. Questa condizione di classe che sta dividendosi in una
piccola parte che riesce ad accumulare capitale ed entra a far parte
della borghesia e una massa che finisce nel proletariato, anche nel
nostro paese oggi è praticamente del tutto scomparsa. La società
borghese non è più in ascesa, ma in disgregazione; l'economia reale
capitalista non si espande, ma è soffocata dal capitale finanziario. I
lavoratori autonomi subiscono anch'essi, a loro modo, le conseguenze di
questo corso delle cose. Per capire in quale modo essi le subiscono,
bisogna però rifarsi non alla piccola borghesia della società borghese
in espansione, ma ai lavoratori autonomi della società borghese giunta
al massimo della sua espansione (al massimo della sussunzione delle
attività produttive nell'economia capitalista).

Da tempo i lavoratori autonomi sono figure ausiliarie e complementari
dell'economia capitalista: lavoratori che l'economia capitalista relega
a compiere alcuni lavori ad essa necessari che per vari motivi l'azienda
capitalista non assume direttamente in proprio. I lavoratori autonomi
sono oramai appendici delle aziende capitaliste e quanto queste
appendici sono estese, dipende dalle convenienze delle aziende
capitaliste.

Che la cultura borghese li presenti come lavoratori _autonomi dal
capitale_, è un fatto. Ma la realtà e l'immagine che ne dà la cultura
borghese sono a volte cose diverse e noi comunisti dobbiamo non essere
mai succubi della cultura borghese. Un fatto ben più solido
dell'immagine data dalla cultura borghese è che i lavoratori autonomi di
fatto dipendono strettamente dall'economia capitalista, vivono ai suoi
margini, di quello che l'economia capitalista lascia loro, di quello che
ognuno di essi riesce a prenderle (e questa è una delle fonti
dell'individualismo che li caratterizza: non hanno un contratto
collettivo di lavoro). Ne dipendono _direttamente_ nel senso che
lavorano per le aziende capitaliste e sono queste che forniscono loro i
mezzi di produzione ed elaborano la tecnologia del loro mestiere. Ne
dipendono _indirettamente_ nel duplice senso 1. che è lo Stato della
borghesia imperialista che stabilisce le regole e le condizioni del loro
lavoro e le imposte che devono pagare quelli di loro che non riescono,
ognuno a suo modo, ad evaderle; 2. che i loro clienti, quando non sono
direttamente le aziende capitaliste, dipendono da queste per il loro
potere d'acquisto, quindi per gli ordinativi che passano ai lavoratori
autonomi. Questo stato delle cose ognuno lo può facilmente constatare
considerando i tipi di lavoratori autonomi a portata di mano: il
camionista, l'allevatore, il coltivatore, il bottegaio e altri.

I lavoratori autonomi in realtà dipendono dal capitalista, ma hanno con
il capitalista e con il suo Stato una relazione formale (contrattuale e
legislativa) sostanzialmente diversa da quella che hanno gli operai e i
dipendenti pubblici. Quando gli affari gli vanno bene, il lavoratore
autonomo spesso guarda con commiserazione e perfino disprezzo il
lavoratore dipendente che si accontenta del prezzo che il capitalista o
la Pubblica Amministrazione gli pagano per la sua prestazione. Quando
gli affari gli vanno male, il lavoratore autonomo spesso considera i
lavoratori dipendenti dei privilegiati se non anche dei parassiti,
perché "comunque" hanno un reddito "garantito" (finché non sono
licenziati o ridotti ad ammortizzatori sociali: contratto di
solidarietà, CIG, ecc.). Nella Repubblica Pontificia i lavoratori
autonomi sono stati terreno di pascolo e riserva della DC e dei partiti
di governo e la borghesia e il clero hanno coltivato tra loro tutti gli
opposti pregiudizi.

Gli economisti della sinistra borghese dicono (e forse credono) che la
fonte della crisi attuale sta nella politica della spesa pubblica e
nella politica fiscale delle autorità (mentre in realtà sta
nell'impossibilità di realizzare una massa di profitto adeguata
all'enorme quantità di capitale accumulato - _Avviso ai naviganti 35
[9]_). Per chi è imbevuto delle loro infondate concezioni, è naturale
pensare che l'aumento degli investimenti pubblici e in generale della
spesa pubblica ("una politica keynesiana") è la via maestra per uscire
dalla crisi. Risultato: i lavoratori dipendenti (operai, dipendenti
pubblici, proletari) dovrebbero reclamare l'aumento della spesa pubblica
mentre i lavoratori autonomi reclamano la riduzione delle tasse. Questa
"politica di uscita dalla crisi" è talmente inconsistente che,
esponendola, si avvertono le crepe logiche del ragionamento: ma è
tuttavia questo ragionamento pieno di crepe che sta nelle teste di
quelli che proclamano che la crisi in corso crea una contrapposizione di
interessi tra proletari e lavoratori autonomi, per cui i lavoratori
autonomi sarebbero "naturale" riserva di caccia della destra borghese e
dei promotori delle prove di fascismo.

In realtà la crisi generale del capitalismo in corso travolge i
proletari, ma travolge e soffoca anche i lavoratori autonomi da mille
lati (ordinativi, tariffe, imposte e tasse, regolamenti, ecc.) mentre
anch'essi sono esclusi dai profitti e dai privilegi del capitale
finanziario. Quindi il malcontento e la ribellione si estenderanno tra
le loro file. I promotori delle prove di fascismo possono certamente
avvalersi e si avvarranno dei pregiudizi individualistici,
antiimmigrati, particolaristi, campanilistici e antiproletari (contro
gli operai e contro i dipendenti pubblici) che la Repubblica Pontificia
ha alimentato tra i lavoratori autonomi. Essi cercano e cercheranno di
prendere tra i lavoratori autonomi il posto che fu della DC, come già a
loro modo lo hanno fatto la Lega Nord e la banda Berlusconi. Ma la
realtà dei fatti e l'esperienza pratica contrappongono i lavoratori
autonomi al capitale finanziario (che distrugge l'economia reale
capitalista ai cui margini essi vivevano) e al suo Stato (che aumenta
imposte e tariffe e restringe da mille lati i margini della loro
attività).

Chi confonde il processo che oggi vivono nel nostro paese e negli altri
paesi imperialisti i lavoratori autonomi e in generale le classi
popolari non proletarie, con quelle della piccola borghesia dell'epoca
in cui la società borghese era ancora in formazione e in ascesa, è
completamente fuori strada. Legge libri e si nutre di letteratura,
invece che guardarsi attorno e studiare le relazioni produttive e le
altre relazioni sociali in cui è immerso.

IL SECONDO PUNTO su cui dobbiamo insistere e portare chiarezza nel
dibattito in corso è l'antifascismo padronale, cioè l'antifascismo della
sinistra borghese, che cerca di inquinare e soffocare l'antifascismo
popolare. La sinistra borghese ha completamente accettato che la
Repubblica Pontificia mantenesse nello Stato, nella società civile e
nell'economia i fascisti e i loro eredi ai posti e nelle funzioni che
avevano occupato durante il regime fascista. Ha anche direttamente
riabilitato valori, cultura, miti, procedure e figure del fascismo. Ha
fatto proprie le procedure criminali del fascismo contro le masse
popolari (Lampedusa e gli altri campi di concentramento per immigrati ne
sono una chiara dimostrazione) e ha calpestato le prescrizioni popolari
e antifasciste della stessa Costituzione del 1948. Ha ridotto a vuoto e
ipocrita cerimoniale le cerimonie, le ricorrenze, le celebrazioni, le
canzoni e le memorie della lotta contro il fascismo e della Resistenza.
L'antifascismo della sinistra borghese è un suo "fondo di commercio":
strumento per accalappiare voti e procurarsi militanza gratuita.

Di fronte alla ribellione dei lavoratori autonomi la sinistra borghese
ha gridato e grida al pericolo fascista perché è spiazzata: il suo
terreno tradizionale di pascolo, che ha ereditato dalla corruzione e
dissoluzione del movimento comunista e dall'opera disgregatrice dei
revisionisti moderni (da Togliatti a Berlinguer, a Occhetto, a
Bertinotti, a Napolitano), è costituito dai lavoratori dipendenti
(operai e dipendenti pubblici in primo luogo). I lavoratori autonomi
erano un terreno di pascolo che la DC aveva lasciato in eredità alla
Lega Nord e alla banda Berlusconi. Ora la sinistra borghese se li trova
nelle piazze e nelle strade a protestare contro il governo del PD, il
partito della destra moderata di cui la sinistra borghese si sente
orfana e tradita. Per di più i promotori delle prove di fascismo, gli
scimmiottatori attuali del vecchio fascismo e gli eredi dichiarati delle
sue fantasticherie intellettuali, cercano di presentarsi come portavoce
delle proteste dei lavoratori autonomi. Ovvio che la sinistra borghese
grida al pericolo fascista. Ma l'antifascismo padronale è una parodia
dell'antifascismo popolare e un insulto alla Resistenza. Esso tiene
corda ai promotori della mobilitazione reazionaria delle masse popolari:
Violante e Napolitano sono andati da sempre a braccetto con Berlusconi
dietro le quinte del teatrino della politica borghese. L'antifascismo
popolare è fatto di valori e di lotta contro i padroni e i loro servi,
di mobilitazione delle classi e dei gruppi oppressi contro la borghesia
imperialista e il clero. L'antifascismo popolare ha alla sua testa i
comunisti e i lavoratori avanzati. L'antifascismo popolare ha al suo
centro la lotta per instaurare il socialismo. La sinistra borghese
sfrutta la presenza di scimmiottatori del vecchio fascismo, dei
promotori criminali (ma politicamente impotenti) delle prove di
fascismo, per mantenere la sua direzione sulla classe operaia e il resto
del proletariato, il "fondo di commercio" con cui fa valere il suo
interessi presso la borghesia imperialista e la Corte Pontificia. Ma il
procedere della crisi condanna la sinistra borghese al fallimento. Noi
dobbiamo combattere e combattiamo i promotori delle prove di fascismo
per le loro azioni criminali, ma non li temiamo: essi sono politicamente
impotenti. Le manovre della borghesia imperialista e della Corte
Pontificia per guadagnare tempo sono politicamente gestite dal PD (la
destra moderata responsabile dei CIE e di Lampedusa) e dalla sinistra
borghese e, in collaborazione con loro, dalla banda Berlusconi.

Chi confonde il processo che oggi vivono nel nostro paese e negli altri
paesi imperialisti i lavoratori autonomi travolti dalla crisi generale
del capitalismo, con la condizione della piccola borghesia urbana reduce
dalla prima Guerra Mondiale, è ancora più fuori strada. Per ignoranza o
interesse concepisce e descrive il fascismo come regime della piccola
borghesia, mentre il fascismo è stato il regime terroristico messo in
opera dalla borghesia imperialista per stroncare il movimento comunista.
Nel secolo scorso in Europa e in particolare nel nostro paese la
borghesia imperialista, la Corte Pontificia e la Corte dei Savoia si
sono serviti della piccola borghesia urbana reduce dalla prima Guerra
Mondiale per costituire le loro forze terroristiche, sfruttando
l'incapacità del vecchio Partito socialista e anche del Partito
comunista d'Italia (PCd'I), formatosi solo nel 1921 sulla scia della
Rivoluzione d'Ottobre e della prima Internazionale Comunista, di dare
una soluzione ai problemi che in quel periodo schiacciavano la piccola
borghesia. Lo stesso PCd'I fu però incapace anche di guidare gli operai
e gli altri proletari a dare soluzione ai problemi che li schiacciavano.
La capacità della classe operaia di dare soluzione ai propri problemi e
la sua egemonia sulle altre classi delle masse popolari sono infatti due
facce della stessa medaglia.

L'incapacità dell'eroico primo Partito comunista del nostro paese di
guidare la classe operaia a prendere la direzione di tutte le masse
popolari contro la borghesia imperialista e le Corti Pontificia e dei
Savoia era dovuta ai limiti propri nella comprensione delle condizioni,
delle forme e dei risultati della lotta di classe che il movimento
comunista dell'epoca non seppe superare. Nella sua Relazione al IV
congresso dell'Internazionale Comunista [10], l'ultimo a cui partecipò,
nel novembre 1922, quindi dopo la Marcia su Roma e la formazione del
primo governo Mussolini, Lenin disse: "... per noi tutti, tanto per i
compagni russi che per i compagni stranieri, l'essenziale è questo: dopo
cinque anni di rivoluzione russa, dobbiamo studiare [_e nonostante la
morte di Lenin i compagni russi, guidati da Stalin, studiarono con
profitto e per più di trent'anni l'URSS svolse il suo ruolo di base
rossa della rivoluzione proletaria mondiale_]. ... I compagni stranieri
devono digerire un bel pezzo di esperienza russa. Come questo avverrà
non lo so. Forse i fascisti in Italia, per esempio, ci renderanno grandi
servizi mostrando agli italiani che non sono ancora abbastanza istruiti,
che il loro paese non è ancora garantito contro i centoneri [_la
mobilitazione reazionaria delle masse popolari_]. Forse questo sarà
molto utile. [I compagni stranieri] devono studiare ... per comprendere
veramente l'organizzazione, la struttura, il metodo e il contenuto del
lavoro rivoluzionario. Se questo sarà fatto, sono convinto che le
prospettive della rivoluzione mondiale saranno non soltanto buone, ma
eccellenti".

E negli anni trenta Gramsci, oramai tagliato fuori dalla direzione del
Partito e chiuso nel carcere fascista, già nei _Quaderni del Carcere_
pur con i limiti imposti dalla censura fascista scriverà: "Trascurare e
peggio disprezzare i movimenti cosiddetti "spontanei", cioè rinunciare a
dar loro una direzione consapevole, ad elevarli a un piano superiore
inserendoli nella politica, può avere spesso conseguenze molto gravi"
(Quaderno 3 § 48 [11]).

I comunisti oggi hanno capito i limiti che impedirono all'eroico primo
Partito comunista di svolgere il suo compito e ne hanno tratto le dovute
lezioni. Infatti oggi i comunisti sono marxisti-leninisti-maoisti e non
solo marxisti-leninisti e la loro strategia è la Guerra Popolare
Rivoluzionaria di lunga durata.

IL TERZO PUNTO su cui dobbiamo insistere e portare chiarezza nel
dibattito in corso è il dogmatismo che si oppone all'egemonia della
classe operaia tra le masse popolari, nel migliore dei casi rimandandola
al futuro. Tra le varie voci che si sono levate contro il nostro
intervento nel Movimento dei Forconi, l'esposizione più esemplare del
dogmatismo antioperaio è stata data dal PCL Toscana, nel suo comunicato
di critica della linea seguita dal Partito dei CARC. Concentriamo quindi
l'esame su questo comunicato perché contiene gli elementi che si
ripresentano, in varie combinazioni, in tutte le altre prese di
posizione ispirate dal dogmatismo. E perché ogni lettore riscontri che
non abbiamo travisato in modo malevolo la concezione esposta dal PCL,
riportiamo integralmente in _Appendice_ il testo del comunicato del PCL
Toscana.

Si tratta di una concezione della situazione e della lotta politica del
tutto sbagliata, scolastica e dogmatica, che prescinde dalla crisi
generale in corso e non trae alcun insegnamento dalla prima ondata della
rivoluzione proletaria.

Infatti un aspetto a prima vista strano, ma in realtà molto
significativo della sua concezione idealista (basata cioè su idee e
pregiudizi anziché sull'esame della situazione concreta), è che PCL
Toscana tratta dell'attività del Partito dei CARC senza neanche
accennare alla crisi generale in corso. Le tesi che espone, potrebbe
averle esposte anche venti, trenta o cinquant'anni fa.

Secondo il PCL Toscana la piccola borghesia si divide (oggi, ieri e
forse anche domani) in due parti: una parte sfruttatrice e parassitaria
che è per sua natura reazionaria e una parte impoverita e non
sfruttatrice e questa seconda parte è la base sociale _naturale_ della
prima. Perché? Lo sa dio!

Secondo il PCL Toscana esistono due tipi di egemonia: l'egemonia come
relazione all'interno di ogni classe (chi sono i gruppi dirigenti della
classe) e l'egemonia come relazione tra classi. Sbaglierebbe il Partito
dei CARC che concepisce l'egemonia anche come direzione che un organismo
politico di una classe (della classe operaia) esercita su un'altra
classe (i lavoratori autonomi). Il PCL Toscana a sua volta dice e ridice
che i dirigenti della borghesia ("i liberali di sinistra") e i populisti
("i dirigenti della piccola borghesia") dirigono o almeno influenzano,
direttamente o indirettamente (tramite "riformisti, stalinisti,
centristi"), il proletariato. Ma ciò che riesce agli organismi politici
della borghesia e della piccola borghesia, non sarebbe possibile agli
organismi politici del proletariato. Perché loro no e gli altri sì? Lo
sa dio!

Il PCL dichiara di essere seguace del leninismo, ma in realtà si oppone,
in questo come in altri campi, all'insegnamento dato da Lenin già nel
_Che fare?_ (1902): il partito comunista doveva inviare propri
distaccamenti in ogni classe della società per far valere, nel modo
adeguato a ogni singola classe, gli interessi del proletariato. Il PCL
si conferma anche in questo campo seguace del trotzkismo che si opponeva
alla direzione del proletariato nella rivoluzione democratica dei
contadini in Russia e nella rivoluzione antifeudale e antimperialista
dei popoli delle colonie.

La conclusione del PCL Toscana è che oggi i comunisti dovrebbero
limitarsi a cercare di prendere la direzione del proletariato (lanciando
tra i proletari le quattro parole d'ordine: sciopero generale a
oltranza, espropriazione delle banche e delle industrie, governo dei
lavoratori, Stati Uniti Socialisti d'Europa). Solo quando avrà fatto
proprie queste quattro parole d'ordine, solo allora il proletariato
potrà esercitare la sua egemonia sulla "parte impoverita e non
sfruttatrice della piccola borghesia". Un gruppo che non ha ancora
conquistato la direzione del proletariato, se partecipa alla lotta
politica non può che subire l'influenza delle altre classi (della
borghesia e della piccola borghesia) e rafforzare la loro egemonia sul
proletariato. Oggi non ci sarebbe niente da fare, perché "i marxisti
rivoluzionari" (cioè il PCL) "sono in ritardo" e "nel proletariato
prevale la passività". Quindi non bisogna condurre la lotta sul terreno
politico, ma solo sul terreno economico (rivendicativo, sindacale) e
teorico (della propaganda, del lancio di parole d'ordine che prima o poi
gli operai assimileranno). Ma "se la situazione precipiterà, i Partiti
marxisti dovranno riunire un Comitato di intesa per la costituzione dei
nuovi Arditi del Popolo a direzione centralizzata". Evitiamo di fare
dell'ironia sulla conclusione (speriamo che i "marxisti rivoluzionari"
non siano ancora in ritardo ...) e lasciamo la critica di essa a ognuno
dei nostri lettori.

La base di fondo della posizione dei dogmatici è che la rivoluzione
socialista non è un processo che i comunisti costruiscono passo dopo
passo, una guerra. La rivoluzione socialista scoppia. Finché non
succede, non c'è che appoggiare la lotta economica del proletariato (le
rivendicazioni) e fare propaganda, preparandosi a prendere la direzione
del proletariato quando la rivoluzione socialista scoppierà. Quanto alle
classi non proletarie delle masse popolari, non c'è che lasciare campo
libero alla mobilitazione reazionaria.

In realtà nella crisi generale del capitalismo la borghesia imperialista
per prolungare la propria esistenza deve spogliare non solo il
proletariato, ma anche i lavoratori autonomi e perfino quei capitalisti
che per una ragione o l'altra non godono dei benefici e dei profitti del
capitale finanziario. Il compito dei comunisti e degli elementi avanzati
delle masse popolari, in primo luogo degli operai avanzati (perché gli
operai sono in condizioni più favorevoli all'azione politica di quanto
lo siano le altre classi delle masse popolari), è moltiplicare le
Organizzazioni Operaie e Popolari, orientarle a coordinarsi e costituire
un proprio governo d'emergenza che prenda il posto dei governi
emanazione dei vertici della Repubblica Pontificia e della Comunità
Internazionale dei gruppi imperialisti europei, americani e sionisti.
Tutti i movimenti rivendicativi e di protesta, di ogni gruppo sociale
malcontento perché i suoi interessi sono calpestati dal capitale
finanziario, oggi noi comunisti possiamo e dobbiamo indirizzarli alla
creazione delle condizioni per la costituzione del Governo di Blocco
Popolare [12].

Appendice

IL MOVIMENTO 9 DICEMBRE, LA POSIZIONE DEI CARC E I COMPITI DEI
RIVOLUZIONARI

Comunicato del PCL Toscana - 18 dicembre 2013 - Testo diffuso via
Facebook

L'analisi e la conseguente tattica del Partito dei CARC relativamente al
populismo reazionario - prima del Movimento 5 Stelle e oggi del
Movimento 9 dicembre e Movimento dei forconi - riflette la profondità
della disgregazione materiale della classe lavoratrice e dimostra un
fatto ricorrente: chi non forgia le proprie armi battendo e ribattendo
il ferro caldo del marxismo rivoluzionario, quando la Storia curva a
gomito, inevitabilmente va a sbattere.

I CARC non sono quei sindacalisti rivoluzionari (revisionismo di
sinistra) che aderirono al diciannovismo mussoliniano, i CARC sono
antifascisti. Ma concepiscono la questione dell'egemonia in termini
distorti, in termini volontaristici; il maoismo italiano è stata una
forma storicamente determinata di volontarismo e il maoismo italiano è
una delle fonti ideologiche dei CARC. Essi si inseriscono nelle
mobilitazioni di questi giorni allo scopo di contendere ai reazionari
l'egemonia sulla piccola borghesia impoverita, perché essi si illudono
di poter strappare ai reazionari la loro base sociale naturale. Per i
CARC l'egemonia non è una relazione di classe e di conseguenza coltivano
la velleità che un gruppo politico proletario, ma che non dirige il
proletariato, nemmeno parzialmente, possa assumere la direzione di
un'altra classe, la piccola borghesia. Solo il proletariato può dirigere
la parte impoverita degli ordini sociali medi e spingerli sulla strada
della rivoluzione, ma il proletariato può svolgere la sua funzione
dirigente sulle altre classi solo sviluppando la propria coscienza di
classe rivoluzionaria. Nella situazione attuale la passività della
classe lavoratrice lascia l'iniziativa politica alla piccola borghesia e
i CARC che ricercano la direzione della mobilitazione piccolo borghese
senza dirigere la classe lavoratrice, si pongono oggettivamente a
rimorchio di una dinamica reazionaria.

L'egemonia è la direzione morale (modo di vivere, valori), intellettuale
(concezione del mondo) e politica (strategia e tattica). L'egemonia è
una relazione all'interno delle classi sociali e tra le classi sociali.
La classe sociale economicamente e politicamente dominante, oggi la
borghesia, seleziona costantemente i propri dirigenti e questi
costantemente ricercano la direzione sulle classi sociali subalterne.
Tutta la storia delle classi subalterne è la storia della ricerca e
selezione dei propri gruppi dirigenti e quando questi gruppi si formano
iniziano a subire l'egemonia o la pressione del tentativo egemonico dei
dirigenti della classe dominante. E' in questa complessità di relazioni
dinamiche che i gruppi dirigenti delle classi subalterne si compongono e
si scompongono costantemente. I dirigenti delle classi dominate che
subiscono e cedono alle pressioni egemoniche della classe dominante,
divengono dirigenti disorganici e devono essere sostituiti. Sono
organici i dirigenti che rappresentano l'interesse immediato e storico
della propria classe. La borghesia riesce stabilmente a esprimere
dirigenti organici, naturali, mentre il proletariato è costantemente
indebolito e diviso dalla lotta tra i suoi dirigenti organici e quelli
disorganici. I marxisti rivoluzionari rappresentano l'interesse
immediato e storico della classe salariata, sono i dirigenti organici.
Oggi i marxisti rivoluzionari rappresentano la classe salariata solo
oggettivamente, ne rappresentano, in ogni situazione data, l'interesse
immediato e storico, ma non dirigono la classe. Tutta la nostra lotta è
la lotta per la direzione della classe e questa lotta passa attraverso
la distruzione delle attuali direzioni disorganiche (riformisti,
stalinisti, centristi) e questa lotta consiste nel portare la coscienza
socialista dall'esterno, nell'elevare la coscienza della situazione
oggettiva. Senza dirigere la nostra classe, non potremo avere alcuna
influenza sulla parte impoverita e non sfruttatrice della piccola
borghesia. Perché è solo il proletariato rivoluzionario che può dirigere
la parte povera della piccola borghesia. Un gruppo politico che non
dirige il proletariato, nulla può sulle altre classi, se non subirne
l'influenza. Nelle fasi storiche, come quella attuale, in cui prevale la
passività generale della classe lavoratrice, la parte povera e non
sfruttatrice della piccola borghesia si muove sotto la direzione della
parte sfruttatrice e parassitaria che è per sua natura reazionaria, e
resta reazionaria anche sotto la pressione del proletariato
rivoluzionario; più sarà forte questa pressione più la forma della sua
reazione tenderà al fascismo, ma più sarà forte questa pressione più
sarà isolata, separata dagli strati inferiori della piccola borghesia
verso i quali avranno presa le nostre rivendicazioni transitorie.

Nella situazione attuale dell'Europa mediterranea, la passività o
combattività parziale della classe lavoratrice costituisce la condizione
in cui la piccola borghesia mantiene la direzione sui propri strati
inferiori ed esercita un'influenza crescente su ampi strati di
salariati.

Nella società borghese, la stratificazione politica delle classi
subalterne è un fatto costante. Oggi, la classe salariata è diretta in
parte dagli opportunisti (riformisti, stalinisti, centristi), in parte
dai liberali di sinistra e in parte crescente dai populisti reazionari.
Gli opportunisti sono dirigenti operai borghesi, sotto influenza della
borghesia o della piccola borghesia. I liberali di sinistra sono i
dirigenti diretti della borghesia. I populisti sono i dirigenti della
piccola borghesia.

Lo sciopero generale a oltranza, le espropriazioni delle banche e delle
industrie, il governo dei lavoratori, gli Stati Uniti Socialisti
d'Europa, sono le parole d'ordine, gli strumenti fondamentali attraverso
cui i marxisti rivoluzionari attaccano le posizioni delle attuali
direzioni dei lavoratori.

Il Movimento 9 dicembre accelera i tempi di questa guerra di posizione
con un'offensiva rapida e concentrata della piccola borghesia per la
direzione su lavoratori e disoccupati. Nuove corporazioni conflittuali
di agricoltori, allevatori, artigiani, commercianti e autotrasportatori,
nate dalla crisi di rappresentatività delle tradizionali associazioni di
categoria, hanno fatto irruzione nella crisi italiana. Populisti,
nazionalisti, regionalisti e fascisti si contendono l'egemonia di questa
mobilitazione e al tempo stesso ricercano il consenso degli strati più
confusi e disperati di lavoratori e disoccupati, da utilizzare come
massa di manovra per i rispettivi progetti reazionari.

Il compito dei marxisti rivoluzionari è intensificare al massimo grado
la propaganda delle rivendicazioni transitorie e dell'obbiettivo del
governo dei lavoratori, ponendo al centro la parola d'ordine dell'Europa
unita e socialista. Non si tratta di intervenire nelle piazze dei
reazionari, ma nella classe. E' necessario uno sforzo straordinario di
propaganda nei luoghi di lavoro, di studio, nei quartieri, nelle
manifestazioni sindacali e dei movimenti progressivi. Se la situazione
precipiterà, i Partiti marxisti dovranno riunire un Comitato di intesa
per la costituzione dei nuovi Arditi del Popolo a direzione
centralizzata.

SE VUOI FARE COMMENTI PROPOSTE O CRITICHE UTILIZZA QUESTO LINK [2]

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_ Per mettersi in contatto con il Centro del (n)PCI senza essere
individuati e messi sotto controllo dalla Polizia, una via consiste
nell'usare TOR [vedere _ http://www.nuovopci.it/corrisp/risp03.html
[13]_], aprire una casella email con TOR e inviare da essa a una delle
caselle del Partito i messaggi criptati con PGP e con la chiave pubblica
del Partito [vedere _ http://www.nuovopci.it/corrisp/risp03.html
[13]_]._

[2]

Se vuoi fare commenti proposte o critiche utilizza questo link [2]



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[4]
http://www.nuovopci.it/dfa/avvnav36/Avv_Nav_36_Forconi_e_lavoratori_autonomi.odt
[5]
http://www.nuovopci.it/dfa/avvnav36/Avv_Nav_36_Forconi_e_lavoratori_autonomi.pdf
[6]
http://www.nuovopci.it/dfa/avvnav36/Avv_Nav_36_Forconi_e_lavoratori_autonomi.doc
[7] http://www.carc.it/
[8] http://www.nuovopci.it/scritti/mpnpci/02_02_analisiclasse.html
[9] http://www.nuovopci.it/dfa/avvnav35/avvnav35.html
[10] http://www.nuovopci.it/classic/lenin/cinqueriv.htm
[11] http://www.nilalienum.com/Gramsci/Q3fnote.html
[12] http://www.nuovopci.it/dfa/avvnav07.html
[13] http://www.nuovopci.it/corrisp/risp03.html