Re: [Hackmeeting] In memoria di Antonio Caronia

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Autor: aag
Datum:  
To: hackmeeting
Betreff: Re: [Hackmeeting] In memoria di Antonio Caronia
A questo link le lezioni di Antonio, instancabile amico e compagno!
Ascoltatele, condividetele, sono li per questo ;)

http://archive.org/search.php?query=creator%3A%22Antonio+Caronia%22

Non in un paradiso bianco e immacolato ma in un luogo che somiglia più
a uno sprawl, a un angolo del cyber spazio, un luogo popolato di cyborg
e di creature fantastiche, dove nei sotterranei brulica la cultura
underground, in grado di risalire dai bassifondi e arrampicarsi sin
sulla vetta della torre d’avorio, e farsi afferrare e toccare e
manipolare da tutti. A noi piace pensarti li, in un’ orgia di corpi e
saperi, a divertirti tra musica elettronica e poesie cyberpunk. Ciao
Antonio!


Vi abbracciamo tutti


ps: ciao jaromil! abbiamo parlato di persona giovedì. Ti scriverò a
breve. a presto.



Il 02.02.2013 20:01 Jaromil ha scritto:
> Il funerale di Antonio Caronia, di quel ragazzaccio coltissimo,
> infaticabile attivista e generosissimo educatore e studente al
> contempo,
> che era Antonio Caronia, e' stata una celebrazione straziante per me,
> come per molti giovani presenti. C'era gente di tutte le eta',
> c'erano
> svariate generazioni a rendergli omaggio. Ci ha accolti la musica
> dell'angosciante ed al contempo leggera performance "Superman" di
> Lori
> Anderson, a sottolineare la tensione, l'ansieta', l'urgenza di
> quell'uomo cosi' speciale: il discorso di Antonio sempre teso ad una
> critica all'Occidente, alla nostra ragion d'essere, una critica molto
> utile, su cui meditare, per chi si sente sempre e comunque titolare
> del
> bene, della ragione e del diritto di sentirsi vincitore sulle
> macerie.
>
> Il vuoto lasciato dalla perdita di Antonio Caronia per la cultura
> hacker
> Italiana e' grande. Anche piu' grande se si considera quanto
> manchera'
> alle generazioni future, Cyborg inconsapevoli, utenti di una
> tecnologia
> che a sua volta li usera' nella loro inconsapevolezza. Le
> generazioni
> di nativi digitali a cui sempre piu' vengono nascoste le vere radici,
> il
> corpo degli elementi che manipolano: a costoro che sono entusiasti
> cyborg contaminati Antonio sapeva insegnare le gioie e i dolori
> della
> contaminazione. Antonio non trasmetteva insegnamenti, ma coltivava
> consapevolezze e lo faceva con il ritmo spasmodico di un adolescente
> erudito, pazzo d'amore, pazzo per parlare, pazzo per vivere.
>
> Antonio non voleva morire. Questo mi fa piangere oggi. Antonio era
> avido
> di vita, del sapere sempre nuovo che era linfa per i suoi intrecci di
> senso, intuizioni trasversali, evoluzioni sul filo d'acciaio ben teso
> della sofferenza umana e della tecnologia che ad oggi la leviga e
> l'affila.
>
> In un mondo in cui gli unici veri confini rimasti sono quelli della
> lingua, Antonio ha portato all'Italia il genio visionario e
> asimmetrico
> di Ballard e quell'esploratore insaziabile di entropia, poesia e
> futuri
> sorprendentemente possibili di P.K.Dick. Ma non solo. Antonio ci ha
> anche portato la profondita' delle riflessioni di Donna Haraway,
> attualizzando l'eredita' del movimento femminista ad una realta' di
> lotta che va oltre i generi e identifica nei corpi il terreno
> demilitarizzato tra i confini aspri di capitale e biopolitica.
>
> Nel mezzo di discorsi sempre attuali che hanno a che fare con la
> privacy, con l'approccio od il rifiuto della tecnologia, in
> definitiva
> con l'accettazione o meno della purezza, trovo gli scritti di Antonio
> incredibilmente, sorprendentemente, eroticamente attuali, inviti a
> confrontarsi con l'empieta' del reale, con l'amore per quella che e'
> e
> rimarra' sempre l'eredita dei diseredati nelle modalita' di
> ibridazione
> tra presente e futuro, tra esseri umani e macchine.
>
> Antonio aveva una conoscenza enciclopedica, sterminata, dei suoi
> tanti
> libri, che conosceva uno per uno, pagina per pagina. Era al contempo
> un
> matematico ed un filosofo ed era in grado di citare e combinare
> pensieri
> colti da ambiti estremamente diversi, seppur tenendo un rigore
> tagliente
> nel farlo. Ma era anche un artista lui stesso, di quelli che plasmano
> identita', esistenze, relazioni. La prima volta che lo vidi in vita
> mia
> mi colpi' la sua presenza: mi sembro' di incontrare per la prima
> volta
> quel famigerato Dottor Sax che saltava fra tetti ed ombre nei sogni
> di
> Kerouac. Sono ancora convinto quella sera uggiosa di una Milano come
> sempre ingrata e nebbiosa, tenesse un serpente magico arrotolato
> sotto
> il suo cappello nero a falde larghe. Piu' tardi, negli ultimi anni,
> ho
> avuto la fortuna sfacciata di poter studiare con lui ed ho compreso
> quanto non sia solo un'apparenza spiazzante la sua, ma anche una
> sostanza, cioe' un'erudizione sconfinata, disarmante, unica ad una
> pulsante passione per la letteratura, ed a una rigorosa pratica da
> militante politico che non ha mai abbandonato.
>
> Antonio si e' sempre dato tutto, completamente, per gli altri. La
> vita
> di Antonio e' un monito per tutti i sessantottini che si dilettano a
> ricordare i tempi passati ed oggi son forti di posizioni di
> privilegio
> guadagnate nel progressivo abbandono della militanza: Antonio non ha
> mai
> ceduto al privilegio. Antonio quella militanza non l'ha mai
> abbandonata
> e nel continuare ad insegnare fino agli ultimi goccioli della sua
> vita,
> negli ultimi giorni, ha dato prova di una passione maniacale per i
> suoi
> studenti, per le loro ricerche, percorsi, per la loro liberta' di
> sentire. Lo abbiamo visto impegnato sin negli ultimi giorni in
> occupazioni a piazza affari con il megafono in mano, fino al punto di
> rischiare il suo contratto con l'Accademia di Brera, una posizione
> che
> ci ricorda artisti come Beuys. Antonio e' uno di quelli speciali che
> non
> ci lascia semplicemente un'icona di se, ma un'esempio nella pratica
> quotidiana della lotta politica contro l'ingiustizia sociale.
>
> Non c'e' nessun'altro che possa sostituire Antonio Caronia in Italia
> oggi, questo e' un nodo che si stringe alla gola di tanti,
> inesorabilmente, la cui morsa puo' venire addolcita solo dal ricordo
> della sua passione per quella descolarizzazione di Ilich a lui tanto
> cara: e' ora di camminare da soli, anche se ci cedono le gambe, a
> costo
> di metterci sui cingoli o sui trampoli.
>
> Non mi basta il fiato, dannazione. Vi riporto un passo del suo libro
> Cyborg, edito dalla Shake gia' tanti anni fa, ancora assolutamente
> attuale, per concludere questo sofferto fiume di parole con le sue,
> tanto migliori, tanto piu' utili di una celebrazione che a lui non
> sarebbe mai piaciuta. Raccomando a chi non l'ha fatto, la cosa piu'
> giusta da fare e' leggere Antonio Caronia sforzarsi di condividere il
> suo punto di vista mai scontato, raramente allineato, sempre teso a
> superarsi e, piuttosto di appiattirci sulla dicotomia tra
> transumanesimo
> e primitivismo, farci prendere per mano lungo le sue strade
> non-strade,
> battute da pochi e senza alcuna divisa agli angoli per rassicurarci
> che
> sia la via giusta o sbagliata: bugia inutile, che' sappiamo morire
> anche
> da soli.
>
> Ciao Antonio. Torna presto.
>
>
> "I am the ocean lit by the moon
>
> I am the mountain this is my name
>
> I am the river touched by the wind
>
> I am the story, I never end"
>
>     Peace - A Beginning, King Crimson

>
>
>
>
>
>
> """
> Questa sovrapposizione di comunicazione e produzione ha, tra le varie
> conseguenze, questa, fondamentale per la nostra analisi: che il
> corpo,
> il nostro principale strumento di comunicazione con l'esterno, la
> nostra
> interfaccia con il mondo, viene direttamente integrato nel processo
> di
> valorizzazione capitalistica, per cosi' dire "a tempo pieno", e si
> integra anche con la tecnologia in modo ben piu' pervasivo e fine che
> per il passato. E dal momento che la produzione e la valorizzazione
> sono
> processi linguistici in modo ben piu' integrale e massiccio di ieri,
> ecco che il linguaggio attraversa oggi tutto il corpo, e lo struttura
> secondo posture, ritmi e tecnologie che l'era industriale fordista
> non
> conosceva.
>
> [...]
>
> Questa nuova invasione immateriale del corpo a opera del linguaggio
> porta con se', naturalmente, una serie di nuovi problemi e apre nuove
> configurazion conflittuali nella societa' postfordista. Da un lato
> mette
> in luce tutta una dimensione "corporale", biologica della politica, i
> cui dispositivi non si limitano piu' ad assoggettare il corpo a un
> regime disciplinare (e carceri e galere, a volte travestite da
> "centri
> di accoglienza", sono sempre piu' riservate ai corpi allogeni che
> vengono dall'esterno del territorio, agli immigrati ancora esclusi
> dalla
> cittadinanza), ma delegano in qualche modo direttamente alla
> tecnologia
> il compito di trasformare in valore la varieta' di comportamenti che
> viene adesso concessa ai corpi, con una "tolleranza" relativamente
> maggiore. Questo investimento politico sui corpi, pero', d'altro lato
> riduce pericolosamente la loro autonomia facendo leva direttamente
> sul
> dispositivo linguistico: il corpo rischia di non riuscire piu' a
> mantenere e a far giocare contro il linguaggio quel residuo
> extralinguistico che e' presente, visibilmente e quasi platealmente,
> nella comunicazione orale facca a faccia, e che nella scrittura
> rimane
> invece nascosto, ma produce effetti sottili e riposti, soprattutto
> quando essa mantiene una dimensione poetica o comunque orientata
> verso
> l'aspetto espressivo della comunicazione. E' quell'aspetto residuale
> del
> corpo rispetto al linguaggio che e' stato espresso con tanta forza,
> anche se in modo criptico, da Artaud nella sua invocazione al "corpo
> senza organi", e che Deleuze e Guattari ripresero qualche decennio
> dopo
> per farne una delle loro piu' affascinanti "pratiche limite".
>
> Il quadro generale, non c'e' dubbio, e' quello che era stato gia'
> delineato da Michel Foucault nelle sue ricerche sulla storia della
> sessualita', quando individuo', all'origine della modernita', il
> passaggio da un potere del "diritto di morte" a un potere che
> interviene
> positivamente sulla vita: "al vecchio diritto di far morire o di
> lasciar
> vivere si e' sostituito un potere di far vivere o di respindere nella
> morte" E' l'emergere del biopotere, o della biopolitica.
>
> [...]
>
> I dispositivi di potere biopolitici che si affacciano all'inizio del
> nuovo secolo,nell'era del cyborg, paiono pero' oltrepassare entrambe
> le
> categorie individuate da Foucault, quella della "anatomo-politica del
> corpo umano", cioe' l'integrazione disciplinare del corpo del singolo
> nei sistemi di controllo sociale, e la "bio-politica della
> popolazione",
> cioe' l'insieme delle misure tese a regolare i macroparametri
> biologici
> delle collettivita' (natalita' e mortalita', condizioni sanitarie
> ecc.).
> L'investimento linguistico sul corpo sembra infatti delineare, sullo
> sfondo di questi due meccanismi che si autoperpetuano ormai con un
> minimo di intervento esplicito (smantellamento dello stato sociale),
> un
> processo di coordinamento dei corpi all'immaginario sociale di
> dimensioni mai viste prima. Con l'estensione del processo di
> valorizzazione all'insieme della societa' e non solo piu' ai "luoghi
> di
> produzione" in senso stretto (le fabbriche), il capitalismo
> postfordista
> appare infatti ormai in grado di trarre profitto da ogni modulazione
> spaziale e temporale dei corpi, da ogni articolazione
> dell'immaginario,
> da ogni erogazione di energia sociale, anche incontrollata: dai
> centri
> commerciali alle discoteche. Qualsiasi linguaggio parlino i corpi,
> esso
> rischia sempre di diventare un dialetto della neolingua che parla
> attraverso di noi anche quando noi crediamo di beffarla: per questo
> il
> Grande Fratello ha potuto abbandonare la stanza dei bottoni del
> potere
> politico (se mai l'ha davvero abitata) per trasformarsi in un format
> televisivo, che solo i piu' ingenui tra noi possono credere una
> innocua
> buffonata.
>
> [...]
>
> Ma oggi che una prospettiva biopolitica non puo' piu' assumere la
> vita
> come un dato su cui costruire i propri interventi macro e
> microregolativi, oggi che il corpo e' investito dai linguaggi, non
> solo
> piu' dell'immaginario ma della tecnoscienza, e sottoposto a un vero e
> proprio processo di produzione, oggi come possiamo ancora sperare di
> lavorare su un "rovesciamento tattico" dei linguaggi? L'amalgama di
> biologia e tecnologia in cui e' trasformato il corpo del cyborg non
> ci
> taglia forse ogni possibilita' di sottrarlo alla presa dei
> dispositivi
> di potere che agiscono, come una morbida tenaglia, sui due lati
> dell'immaginario de del simbolico?
> Donna Haraway, con determinazione coraggiosa e quasi beffarda,
> suggerisce che l'unica via per evitare di essere ingoiati dalle fauci
> del lupo postfordista e' proprio quella di cacciarvisi dentro, di
> assumere fino in fondo la prospettiva dell'artificiale e di giocare
> con
> astuzia le carte dell'ibridazione e dell'impurita' che esso ci offre.
> "Mi propongo di costruire un ironico mito politico fedele al
> femminismo,
> al socialismo e al materialismo. E forse piu' fedele ancora: come
> l'empieta', e non come la venerazione o l'identificazione. (...) Al
> centro della mia fede ironica, della mia empieta', c'e' l'immagine
> del
> cyborg," dichiara in apertura del suo Cyborg Manifesto. E prosegue:
> "Vorrei sostenere il cyborg come finzione cartografica della nostra
> realta' sociale e corporea, e come risorsa immaginativa ispiratrice
> di
> accoppiamenti assai fecondi. La biopolitica di Michel Foucault non e'
> che una fiacca premonizione di quel campo aperto che e' la politica
> cyborg".
> Che cosa c'e' in questo "campo aperto"? In primo luogo, dice Haraway,
> i
> "cedimenti di confine". E ne indica tre, fondamentali, che stanno
> alla
> base della condizione di cyborg: e' stato violato il confine tra
> animale
> e umano, quella tra organismo e macchina e quella tra fisico e non
> fisico. Questi cedimenti di confine, che si sono realizzati
> storicamente
> in una nuova influenza diretta della scienza e della tecnologia sui
> rapporti sociali, creano una fluttuazione, una indeterminazione delle
> identita' tradizionali (per esempio l'identita' "femminile"), che
> oggi
> divengono transitorie e fluide, e devono essere costantemente
> negoziate,
> ricontrattate per mezzo delle tecnlogie della comunicazione e della
> vita.
>
> [...]
>
> E infatti "il cyborg e' una sorta di se' postmoderno collettivo e
> personale, disassemblato e riassemblato. E' il se' che le femministe
> devono rielaborare". Questa visione fluida, processuale della
> societa' e
> dei rapporti che essa costantemente produce tra i suoi membri e tra
> questi e i loro oggetti di conoscenza e di intervento, e' quella che
> consente a Haraway di vedere le categorie concettuali e le pratiche
> di
> intervento in costante movimento, e non in una raggelata staticita'.
> E
> che consente quindi ai nuovi "soggetti cyborg" di inserirsi nelle
> giunture tra i concetti e i protocolli modularizzati che definiscono
> il
> mondo per rovesciare, anche localmente, la direzione di quel
> movimento e
> affermare nuovi rapporti, nuovi saperi, nuove pratiche. Per
> rovesciare
> l'"informatica del dominio" nel piacere di vivere. Se non e' piu' di
> organismi che si deve parlare ma di "componenti biotiche", se le
> strategie di controllo si concentrano sulle interfacce e non
> sull'"integrita' degli oggetti naturali", se "qualsiasi componente
> puo'
> essere interfacciata con ogni altra", allora e' in questi processi di
> comunicazione, di transito dell'informazione, che consistera' la
> biopolitica del Ventunesimo secolo, non in uno scontro tra identita'
> ben
> definite e contrapposte. Si parla sempre a partire da un luogo, da
> una
> situazione, da una condizione, da un corpo, non c'e' alcun discorso
> disincarnato, alcun punto i vista assoluto e non marcato. I nostri
> saperi sono sempre "saperi situati". E se sto cercando, nel
> ricostruire
> il discorso di Haraway, di ridurre al minimo i riferimenti alla
> condizione della donna e al dibattito interno al femminismo da cui
> quel
> discorso nasce, non e' per ignorare queste determinazioni o per
> togliergli "parzialita'"; al contrario, e' per mostrare che solo una
> riflessione che parta da una condizione storicamente determinata e
> che
> di questo sia consapevole, puo' produrre indicazioni "esportabili",
> metodologie efficaci per la comprensione e l'intervento sulla
> realta'.primo luogo, dice Haraway, i "cedimenti di confine". E ne
> indica
> tre, fondamentali, che stanno alla base della condizione di cyborg:
> e'
> stato violato il confine tra animale e umano, quella tra organismo e
> macchina e quella tra fisico e non fisico. Questi cedimenti di
> confine,
> che si sono realizzati storicamente in una nuova influenza diretta
> della
> scienza e della tecnologia sui rapporti sociali, creano una
> fluttuazione, una indeterminazione delle identita' tradizionali (per
> esempio l'identita' "femminile"), che oggi divengono transitorie e
> fluide, e devono essere costantemente negoziate, ricontrattate per
> mezzo
> delle tecnlogie della comunicazione e della vita.
>
> [...]
>
> E infatti "il cyborg e' una sorta di se' postmoderno collettivo e
> personale, disassemblato e riassemblato. E' il se' che le femministe
> devono rielaborare". Questa visione fluida, processuale della
> societa' e
> dei rapporti che essa costantemente produce tra i suoi membri e tra
> questi e i loro oggetti di conoscenza e di intervento, e' quella che
> consente a Haraway di vedere le categorie concettuali e le pratiche
> di
> intervento in costante movimento, e non in una raggelata staticita'.
> E
> che consente quindi ai nuovi "soggetti cyborg" di inserirsi nelle
> giunture tra i concetti e i protocolli modularizzati che definiscono
> il
> mondo per rovesciare, anche localmente, la direzione di quel
> movimento e
> affermare nuovi rapporti, nuovi saperi, nuove pratiche. Per
> rovesciare
> l'"informatica del dominio" nel piacere di vivere. Se non e' piu' di
> organismi che si deve parlare ma di "componenti biotiche", se le
> strategie di controllo si concentrano sulle interfacce e non
> sull'"integrita' degli oggetti naturali", se "qualsiasi componente
> puo'
> essere interfacciata con ogni altra", allora e' in questi processi di
> comunicazione, di transito dell'informazione, che consistera' la
> biopolitica del Ventunesimo secolo, non in uno scontro tra identita'
> ben
> definite e contrapposte. Si parla sempre a partire da un luogo, da
> una
> situazione, da una condizione, da un corpo, non c'e' alcun discorso
> disincarnato, alcun punto i vista assoluto e non marcato. I nostri
> saperi sono sempre "saperi situati". E se sto cercando, nel
> ricostruire
> il discorso di Haraway, di ridurre al minimo i riferimenti alla
> condizione della donna e al dibattito interno al femminismo da cui
> quel
> discorso nasce, non e' per ignorare queste determinazioni o per
> togliergli "parzialita'"; al contrario, e' per mostrare che solo una
> riflessione che parta da una condizione storicamente determinata e
> che
> di questo sia consapevole, puo' produrre indicazioni "esportabili",
> metodologie efficaci per la comprensione e l'intervento sulla
> realta'.
>
> Il punto chiave del discorso di Haraway sul cyborg e' che i processi
> di
> ibridazione con la tecnologia esonerano i crpi e i soggetti dalla
> necessita' di riferirsi a un "mito della fondazione", a un
> vagheggiamento dell'origine come ancoraggio dell'identita'
> individuale e
> collettiva. Al mito dell'origine non si sono riferiti solo il
> capitalismo e il patriarcato, ma anche i loro antagonisti nel corso
> della modernita'. "Il femminismo e il marxismo si sono arenati
> sull'imperativo epistemologico occidentale di costruire un soggetto
> rivoluzonario a partire da una gerarchia di oppressioni e/o da una
> posizione latente di superiorita' morale, di innocenza e di piu'
> intimo
> contatto con la natura." Ma il cyborg non ha "origine", e' elemento
> processuale fluido e in costante mutazione. Qui sta la sua forza,
> nella
> sua estraneita' al mito della trasparenza del linguaggio, nella sua
> capacita' di tornare a parlare una lingua radicata nel corpo senza
> doverla riferire a una presunta dimensione originaria, nel far agire
> insomma dentro al linguaggio il residuo extralinguistico e corporeo
> che
> l'informatica del dominio tenderebbe a cancellare.
>
>         - Antonio Caronia, 1985, estratto da "Cyborg"