[Incontrotempo] Per avviare una campagna contro i reati asso…

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Author: corrispondenze metropolitane
Date:  
To: incontrotempo, direttore
Subject: [Incontrotempo] Per avviare una campagna contro i reati associativi
Per avviare una campagna contro i reati associativi.

Negli ultimi 30 anni più di cinquemila persone sono state indagate, molte subendo la carcerazione preventiva, per reati di associazione sovversiva, in base al famigerato art. 270 del codice penale.
 E’ noto come questo articolo si basi su una norma del codice Rocco (emanato durante la dittatura fascista) pensata appositamente per imprigionare dissidenti, comunisti, anarchici, e tutti coloro che si opponevano al regime di Mussolini.
Alla fine degli anni ’70, con l’articolo 270bis, che ha introdotto i reati di associazione eversiva, questa norma è stata ulteriormente “migliorata”, per poter arrestare e condannare tutti quei movimenti politici che hanno tentato di cambiare la società italiana, esprimendo il dissenso nei confronti della repressione e dello sfruttamento, non necessariamente in senso rivoluzionario.  La ciliegina sulla torta è poi arrivata con l’ultima generazione di norme repressive. Alla fine del 2001, dopo l’attentato alle Torri Gemelle, il clima di lotta internazionale al terrorismo legittima un inasprimento ed un’estensione dell’articolo 270bis che arriva ad includere le “associazioni con finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico, anche internazionale”. Ciò in un contesto segnato dall’emanazione di tutta una serie di norme appositamente pensate per  colpire l’ immigrazione islamica attraverso la criminalizzazione
della solidarietà tout court.
In tutti questi anni, contro la pesante aria di repressione, si sono svolte iniziative anche pregevoli, ma non si è mai riusciti ad attivare una protesta continuativa per denunciare l’uso di leggi di emergenza contro le libertà di espressione e di dissenso. Non solo, non si è neanche riusciti a mantenere una base di resistenza nei confronti di quei diritti che erano stati acquisiti attraverso le lotte, ma che sono stati disgregati e ormai quasi polverizzati da uno stillicidio di eccezioni, emergenze, patti sociali scellerati, crisi economiche, leggi razziste, nonché dallo strapotere di mafie e potentati di varia natura.
Considerato che ancora oggi, di continuo, si assiste ad arresti arbitrari, teoremi processuali assurdi e pesanti condanne, rimane intatta la necessità di affrontare il problema e trovare soluzioni condivise ed efficaci per contrastare le modalità, variegate ed in costante evoluzione, attraverso cui si attuano una repressione feroce ed un controllo sociale sempre più pervasivo.
Esiste anche un altro pericolo incombente, che è connesso al fatto che gli attacchi repressivi colpiscono volta per volta soggetti sociali e politici diversi. Il punto è che spesso riesce il tentativo di isolare le vittime di queste tristi operazioni di polizia, provocando tra i diversi gruppi che le subiscono delle forme di autoreferenzialità, che rischiano di fornire alibi al disinteresse di chi momentaneamente non è nel mirino e non si rende conto che potrebbe finirci ben presto . Le continue vessazioni che rischiamo tutti i giorni di subire, dovrebbero portare ad una linea forte di denuncia e di resistenza, a cominciare però da un dibattito approfondito sulle modalità in cui le lotte, in questa precisa fase storica, possano portare a dei risultati reali.

Sono tante le linee politiche che mancano di incontrarsi attorno ad un obiettivo condiviso, ma solo partendo dalla necessità di fare fronte comune e utilizzare tutti gli scarsi strumenti in nostro possesso, si può pensare di incidere veramente e cambiare lo stato delle cose.
Per questi motivi, la nostra battaglia, più che muovere dalle priorità dei gruppi politici, dovrà essere interna ai diversi settori sociali, riallacciandosi ai problemi che si registrano nei quartieri, nei posti di lavoro, nelle scuole. La stragrande maggioranza dei detenuti nelle carceri italiane viene dalle periferie: sono migranti, giovani tossicodipendenti, disoccupati, emarginati della società.
L’unico strumento possibile è quello della rivendicazione del proprio diritto a ribellarsi, e si può partire attraverso una lotta dal basso per l’abolizione dell’art. 270bis  dal codice penale.
Questo può essere il momento giusto per organizzare una protesta reale, per richiamare l’attenzione sulle manovre ormai neanche più tanto occulte di usare il potere come arma mortale contro il dissenso politico.

Assemblea pubblica
Venerdì 18 giugno, a partire dalle ore 15.30, presso l’Università di Roma la Sapienza (piazzale della Minerva)

Comitato Massimo Papini libero!
www.massimopapinilibero.info