[Forumlucca] un nuovo inizio

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Autor: Massimiliano Piagentini
Data:  
Para: forumlucca
Asunto: [Forumlucca] un nuovo inizio
*Alla sinistra di classe serve un nuovo inizio. Anticapitalista. *

di Salvatore Cannavò

Ho letto l'articolo di Claudio Grassi sulla necessità di ricomporre
all'interno del Prc la «diaspora» provocata dalle varie e ripetute scissioni
proponendo alle varie anime «della sinistra anticapitalista e comunista di
entrare o rientrare nel Prc». Sentendomi interpellato dalla proposta, e
anche per il rispetto che porto verso un compagno che ha assunto una
posizione sempre molto limpida all'interno di Rifondazione comunista, vorrei
articolare una prima risposta.

Premettendo subito che questo dibattito, qualora dovesse svilupparsi, non
deve avere nulla a che fare con scadenze elettorali più o meno imminenti e
con eventuali accordi di cartello di cui pure si è discusso. La questione è
profondamente legata alla prospettiva, per noi tutti inaggirabile, della
costruzione di una soggettività anticapitalista e comunista, in grado di
produrre uno strumento utile alla ricomposizione di un nuovo movimento
operaio e di riporre all'ordine del giorno il progetto di un'alternativa
socialista. Questo orizzonte, però - ed è questo il primo rilievo che faccio
alle argomentazioni di Grassi - non può eludere un bilancio serrato e
stringente sulla storia del Prc, passata e recente, sulle scelte operate e
sulla cesura compiuta da questo soggetto politico con la propria missione
storica. La domanda su "come è potuto accadere tutto questo?" deve essere
posta drasticamente e costituire oggetto di una riflessione approfondita che
né il recente congresso del Prc né l'attuale dibattito della sinistra tutta
sembra volersi porre. Una riflessione che riguarda tutti e sulla quale
dovremo ancora produrre materiali approfonditi ma che, nell'ambito di un
breve articolo, si può riassumere nel limite incontrato dalla "rifondazione
comunista", intesa quindi come processo, in ordine a tre nodi: il governo,
il radicamento sociale e lo strumento-partito. A mio giudizio Rifondazione
ha fallito su tutti e tre questi ambiti. Sulla questione del governo
Rifondazione non è andata oltre, nella migliore delle ipotesi, al patrimonio
culturale e politico del togliattismo italiano, cioè di un riformismo
"forte" che, però, nell'epoca della globalizzazione e della crisi del
capitalismo è arrivato al punto di cadere nella trappola che ha distrutto la
sinistra socialdemocratica: l'illusione di poter governare il capitalismo
stesso. Illusione e miraggio che ha prodotto scempiaggini come "l'alternanza
propedeutica all'alternativa" o come "il governo sbocco politico della
stagione dei movimenti". Il partito che doveva rifondare il comunismo si è
ucciso di riformismo, tra l'altro il più stantio e spregiudicato come quello
visto in opera durante il governo Prodi 2. Lo stesso sul radicamento.
Rifondazione ha sostanzialmente vissuto della rendita elettorale che la
parte migliore della storia del Pci - molto meno della nuova sinistra - le
ha lasciato in eredità. E si è occupata di gestire questa rendita non
curandosi, o curandosi poco, di investire nella politica "reale", quella
dell'insediamento sociale, della costruzione paziente e lenta dei movimenti
e di forme associate, anche mutualistiche, che ridessero smalto
all'auspicato "nuovo movimento operaio". Dopo 17 anni scontiamo tutti una
distanza siderale dai "soggetti" sociali, una estraneità dai luoghi di
lavoro, una difficoltà di linguaggio e di comunicazione con le nuove forme
dell'agire politico.

In ultimo, la questione del partito. Il Prc per molti, troppi, anni è stato
il partito di "un uomo solo al comando", gestito da un gruppo dirigente
ossequioso e incapace di costruire formazione politica, dibattito plurale,
rispetto interno, democrazia dal basso. Lo scontro politico si è spesso
imbarbarito oppure è sfociato in tante scissioni. La concezione dl partito
ha concesso moltissimo all'elettoralismo e pochissimo alla costruzione
molecolare dell'iniziativa sociale. Centinaia di migliaia di persone hanno
frequentato Rifondazione e se ne sono poi allontanante, deluse,
demoralizzate, passivizzate. i moventi all'agire di una grande parte dei
suoi gruppi dirigenti hanno risentito di collocazioni personali, di
istituzionalismo pragmatico, a volte di carrierismo. E gli antidoti a questi
processi materiali non sono mai stati messi in azione (rotazione incarichi,
limite ai mandati, stipendi in linea con i lavoratori, parità di genere,
etc.)

Sono tutti questi fattori ad aver prodotto una perdita di credibilità che mi
sembra il problema principale di cui soffre il grosso dell'attuale sinistra
antagonista. Perdita di credibilità che si traduce in sfiducia e in mancanza
di passione politica, quando invece la passione aveva costituito la forza
del progetto iniziale.

Per tutte queste ragioni io penso che la pellicola non possa essere
riportata all'indietro per far ripartire un film che è finito. Un ciclo si è
esaurito, una stagione conclusa. Il rientro in Rifondazione, per quanto mi
riguarda, impossibile. Altra cosa è immaginare una ri-partenza, una nuova
fase costituente, quale quella che proponiamo da tempo. Ma per questa serve
una discussione di fondo, programmatica e strategica, che consenta a un
"nuovo" soggetto politico di costruirsi e crescere senza l'ansia di dover
scavalcare nodi politici essenziali. All'inizio del percorso di Rifondazione
nessuno di noi si preoccupò del programma perché troppo evidente era
l'importanza di resistere alla Bolognina e al mutare dei tempi. Oggi una
"costituente della sinistra anticapitalista" dovrebbe preoccuparsi di
definire le coordinate essenziali - a partire da quella che il capitalismo
si contrasta e non si governa - per reggere nel medio periodo; di definire
una progettualità politico-sociale, a partire dal nodo essenziale del nuovo
sindacato di classe, per "stare" nel conflitto; di individuare un
linguaggio e un profilo culturale che sia per lo meno in grado di
interloquire con soggetti come "l'onda" o con i nodi politici posti
dall'ambientalismo radicale o da soggettività come quella lgbt.

Un nuovo inizio, dunque, che sia in grado di rimuovere le macerie del
recente passato, di operare gli "azzeramenti" necessari e che, soprattutto,
dia voce e protagonismo a una nuova generazione politica, non per forza
anagrafica, in grado di affrontare di petto la sfida del XXI secolo.

Salvatore Cannavò

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