Autor: ANDREA AGOSTINI Data: Para: forumgenova Asunto: [NuovoLab] la riforma della portualità deve partire da genova
dal secoloxix di sabato 6 settembre 2008
La riforma della portualità deve ripartire da Genova
michele marchesiello
Solo un accordo sulle regole può condurre fuori delle secche chi detiene oggi il potere dello scalo
"Il porto di tutti" : è il mantra che si sente ripetere davanti allo spettacolo dello scempio scoperchiato brutalmente dall'indagine della Procura genovese. Come sempre, ci si ripete ciò che si vorrebbe fosse, quando non si è capaci di reagire a una realtà ben diversa .
"Wishful thinking" lo chiamano gli inglesi : "pensiero desiderante ma impotente", si potrebbe tradurre.
Purtroppo, il porto di Genova non è di tutti, ma dei pochi che se ne sono impossessati per fini diversi dal perseguimento del bene pubblico (che vuol dire appunto "di tutti").
Ed è ancora un esercizio di 'wishful thinking' pensare che quei pochi si rassegnino o, addirittura, si convincano da soli a rinunziare alle consolidate posizioni di privilegio e controllo acquisite, sul porto e nel porto, durante anni di sostanziale abdicazione dell'Autorità che per legge vi doveva essere preposta.
I detentori dei poteri di fatto non vi rinunzieranno senza battersi: tra di loro, come non hanno mai smesso di fare, e tutti insieme contro il comune avversario, individuato nella legalità, magari cercando di tirarla dalla propria parte. Lo faranno - anche - unendosi al coro di quanti invocano una riforma del sistema che essi stessi sono riusciti per anni ad eludere .
"Occorre una nuova legge portuale". Ecco allora il nuovo mantra: ecco di nuovo il "wishful thinking" fatto proprio da quanti sono riusciti a eludere la "vecchia" legge, convinti che anche con la "nuova" riusciranno a proteggere e perpetuare i loro privilegi, mai abbastanza vecchi .
È questo il cerchio perverso, è questa l'illusione che occorre spezzare.
Non esistono in realtà leggi buone o cattive, come non ne esistono di vecchi o nuove, se non in senso cronologico. Le leggi non sono formule dagli effetti magici, ma riposano - per così dire - sulla buona volontà e sulla lealtà di chi le deve applicare, osservare, far rispettare.
Se non si comprende questo, anche una ipotetica nuova e "perfetta" legge portuale è condannata a una vita precaria.
Le leggi non sono più atti d'imperio di una mente illuminata ( il mito del 'legislatore'), ma il risultato di un equilibrio raggiunto tra interessi contrapposti e di un'intesa intervenuta tra i portatori di quegli interessi, che la legge deve garantire. Non gesto autoritario, quindi, ma atto di buon senso, buona volontà, reciproco impegno in vista di un vantaggio riconosciuto comune: 'di tutti'. " Ne cives ad arma veniant", dicevano i romani, e le armi sono anche, soprattutto, quelle più infide e brutali della corruzione, della prepotenza, dell' "inciucio".
Si lavori pure a una nuova legge portuale, tenendo presente che una riforma della portualità italiana deve partire necessariamente dal 'caso' Genova, caso clamorosamente patologico ma sintomo -anche - di un malessere diffuso. Se non si vuole correre il rischio di fare un'opera inutile o, addirittura, di favorire chi pretende di 'tutto cambiare perché nulla cambi' , occorre ristabilire , a monte della futura legge , un'intesa sulle regole, un piccolo new deal tra i principali attori della scena portuale, le forze politiche, del lavoro e quelle economiche, sotto il coordinamento di un'Autorità finalmente ristabilita e lealmente riconosciuta nel suo ruolo. Occorre, soprattutto, convincere i detentori dei vari segmenti di potere che si contendono lo scalo genovese, oggi spaventati o perplessi, che solo un accordo generale sulle regole può condurli fuori delle secche in cui rischiano di fare naufragio, e noi con loro.
In caso contrario, il porto di Genova non solo ricadrebbe - insensibilmente ma in modo irreversibile - nella situazione di extra-legalità che lo ha contraddistinto nel corso di questi anni , ma sarebbe condannato - in contrasto con la propria vocazione e potenzialità? a una posizione di seconda fila anche nel quadro della portualità nazionale.
Solo ritrovando - con orgoglio - il senso di una comune lealtà, di una comune disposizione al bene collettivo, sino a oggi mancati , anche i legittimi interessi coltivati da quanti operano nel porto potranno trovare una legittima protezione.
È un' operazione di democrazia e trasparenza alla quale, nel nome di un'autentica "governance" , ogni protagonista dovrà partecipare e sottostare, in vista della auspicata riforma legislativa. Anche la giustizia, liberata dall'incubo di una impossibile supplenza, sarà in grado di proseguire il suo corso fisiologico.
Solo a questa condizione si potrà dire con ragione che, a Genova, "il porto è di tutti".