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«Io, assolto per il G8 Trattato da boia senza sapere perché»
di Diego Pistacchi
da Genova
Tre anni e mezzo di carcere. Per essere responsabile di tutti i reati commessi a Bolzaneto, nella caserma trasformata in carcere per il G8. Lui, il colonnello delle guardie carcerarie, diventato generale di un corpo militare destinato a sparire per esaurimento, era uno dei «pezzi grossi» contro cui avevano puntato l’indice i pubblici ministeri. Assolto. Con la formula più piena. Assolto, ma dopo sette anni.
Generale Oronzo Doria, come li ha vissuti?
«Le racconto solo un episodio. È accaduto cinque o sei mesi fa. Mia figlia ha aperto un sito internet di anarchici, che non sono più riuscito a rintracciare. C’era la hit parade dei boia. Be’, ero messo bene».
Come l’ha presa sua figlia?
«Per fortuna ha 27 anni. Comunque per la famiglia è stato un momento difficilissimo».
Ora è finita.
«C’è soddisfazione per la sentenza, e per aver trovato un giudice sereno, è chiaro. Ma anche tanta amarezza, per essere entrato in una storia senza neppure sapere perché».
Be’, non era il più alto in grado a Bolzaneto?
«No, assolutamente. C’era il responsabile del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. E due colleghi che avevano il grado di generale. Io avevo ancora sulle mostrine quello da colonnello. E comunque avevo altri compiti, non certo quello di trattare i detenuti».
Quale compito aveva?
«Di fare da collegamento con le altre amministrazioni. Io sono entrato nel G8 perché prima del vertice c’era da organizzare tutto l’aspetto logistico, e io ero la persona che su Genova poteva sistemare tutto».
Ma a Bolzaneto quanto c’è stato in quei giorni?
«Diciamo 10-13 ore in tutto. In tre giorni. Mi ci sono soffermato maggiormente il venerdì, dalle 18 alle 22.30».
E in quel momento avrebbe fatto tutto quello di cui l’accusavano?
«In quel giorno, in quelle poche ore, abbiamo ricevuto quattro detenuti e durante il dibattimento quelle quattro persone hanno sempre detto di non essere mai state maltrattate».
Si è tanto scritto del terribile Gom, il nucleo dei cosiddetti picchiatori.
«Infatti non un solo appartenente al Gom è stato condannato, né processato, né indagato. E comunque il Gom aveva il compito di “traduzione” dei detenuti, una sorta di compito di viabilità, e aveva un suo comandante, il generale Mattiello».
Ma perché è finito nel mezzo?
«Sono stato tirato in ballo quando qualcuno ha detto che ero l’alter ego di Alfonso Sabella, il responsabile del dipartimento penitenziario».
Il quale è stato indagato un po’ in ritardo e scagionato un po’ in anticipo dai suoi colleghi magistrati. Lei invece passa per quello che è stato promosso generale per «meriti» del G8.
«Anche su questo facciamo chiarezza. Io avevo maturato la promozione 8 mesi prima del G8. Poi la nomina da colonnello a generale è avvenuta dopo, ma solo per questioni procedurali. Invece hanno detto che mi hanno promosso perché ho coordinato i picchiatori».
Ma da colonnello o generale, aveva la possibilità di dare ordini ai suoi sottoposti?
«No, proprio perché le guardie carcerarie sono un corpo disciolto e diverso dalla polizia penitenziaria. Tra i due non c’è rapporto gerarchico. E io avevo un compito assai diverso, ripeto ero un coordinatore tra istituzioni».
La sentenza di assoluzione dove l’ha attesa?
«A casa. Non ce l’avrei fatta a stare in tribunale. C’era una brutta aria su questo processo. Appena l’ho saputa ho chiamato le mie due figlie. I primi a chiamarmi sono stati i miei due avvocati».
Ennio Pischedda e Andrea Costa, che ora siedono davanti a lui. Soddisfatti, a fine processo, ma non proprio del tutto. «Ascoltando tutto il dibattimento e quanto è emerso c’è stato stupore e delusione nel momento in cui due pm molto rigorosi e seri hanno comunque chiesto la condanna del generale», osservano. Dopo sette anni, la prima verità è arrivata.
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Carlo
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