[NuovoLab] ingrao su afganistan

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Autor: antonio bruno
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Asunto: [NuovoLab] ingrao su afganistan
Da La Stampa del 20/07/06, pag. 3

POLITICA

IL NOVANTUNENNE LEADER DELLA SINISTRA COMUNISTA «UNA FORZA ONU? PRIMA
BISOGNA CHIEDERSI SE L’ONU ESISTE ANCORA, E A ME PARE CHE ESISTA POCO»

Ingrao: «Anch’io avrei votato sì al rifinanziamento

Non possiamo spaccare la sinistra su questo»

Riccardo Barenghi

ROMA. La Camera dei deputati ha appena votato il disegno di legge che
rifinanzia le missioni militari all’estero, compresa quella in Afghanistan.
Un gruppetto di deputati della sinistra radicale e pacifista ha votato no,
nonostante al governo ci siano Prodi, il centrosinistra e pure il loro
partito (Rifondazione). Nonostante tutto insomma, pacifisti senza se, senza
ma e senza governi amici. Anche Pietro Ingrao, novantuno anni e storico
leader della sinistra comunista italiana, è un pacifista senza se e senza
ma. Ma stavolta...



Stavolta Ingrao, se fosse ancora in Parlamento come voterebbe?



«Voterei sì. Penso che questo strappo compiuto da alcuni compagni di
Rifondazione non sia una cosa buona, francamente non sono affatto d’accordo
con questo atto di dissenso. E spero ardentemente che in Senato, dove la
maggioranza ha pochi voti di scarto, questo dissenso rientri. Considererei
grave affossare o anche ferire seriamente il governo di centrosinistra
appena nato, ridando spazio a Berlusconi. Sarebbe un assurdo».



Eppure lei ha fatto una battaglia di quarant’anni per affermare il diritto
al dissenso nel Pci e nella politica in generale.



«Un momento, prego. Io ho sempre difeso e difendo anche oggi il diritto al
dissenso, e non credo che i dissidenti siano “traditori” da cacciare. Penso
però che il loro sia un pesante errore politico. L’errore cioè di guardare
solo all’Afghanistan, di fermarsi lì. Intendiamoci, io resto un pacifista
assoluto, ho forti dubbi su quella guerra e sulla nostra missione, non penso
affatto sia un’impresa giusta. Ma oggi la questione afghana va messa dentro
un contesto più ampio, dall’Iraq a Israele al Libano, alla Palestina. Io
inviterei questi compagni dissidenti a guardare la sostanza e l’insieme
della nuova politica estera italiana».



E lei che giudizio dà di questi primi atti di Prodi e di D’Alema?



«Un giudizio buono. Mi sembra che la posizione del governo e del ministro
degli Esteri in particolare abbia buone ragioni. Io non ho mai sentito
posizioni critiche così nette come quelle espresse da D’Alema nei confronti
della politica israeliana. Come faccio a non capire che questa è una novità
largamente positiva? Come posso pensare all’Afghanistan senza considerare
l’Iraq, una guerra dalla quale finalmente ce ne andiamo? Come si fa insomma
a non vedere che mentre la situazione mediorientale peggiora di ora in ora,
il governo italiano prende una posizione saggia?».



Lei nota una discontinuità con la politica estera del governo precedente?



«Eccome se la noto. Prima c’era Berlusconi che ha gettato l’Italia mani e
piedi nell’aggressione americana all’Iraq. Oggi appoggiare il governo
significa appoggiare una svolta netta rispetto a prima, dall’Iraq dove il
conflitto è sempre in atto alla tragedia scoppiata in Medio Oriente. La mia
posizione critica sull’Afghanistan la devo allora misurare guardando alla
scena mondiale, altrimenti perdo la bussola e non vedo più l’orizzonte. Se
invece guardo lontano, vedo che il governo italiano si sta muovendo cercando
un equilibrio difficile tra posizioni sanguinosamente in urto, per aiutare
soluzioni di pace. Ecco, il valore del mio voto lo devo misurare su tutto
questo, non su Kabul».



Una parte del movimento pacifista e ovviamente gli stessi dissidenti fanno
però un richiamo alla coerenza: abbiamo sempre votato no, perché dovremmo
cambiare oggi? Solo perché c’è un governo amico?



«Non è una questione di governi amici o nemici, ma di come interveniamo
efficacemente sul nuovo incendio che dilaga in tutta l’area mediorientale. E
allora la coerenza non c’entra, perché più si restringe la vicenda a un solo
aspetto (l’Afghanistan), più si creano divisioni in uno schieramento che
invece deve restare unito per poter pesare sul nuovo dramma che si è aperto.
Se in questo nuovo tragico scenario non ci si adopera per costruire una
solida iniziativa del governo, sostenuto da un’Unione compatta, mancheremmo
sulla prima questione cruciale che ci troviamo di fronte dopo la vittoria
elettorale, rischiando addirittura di ridare carte allo sconfitto
Berlusconi. Questo è il sale della politica».



Nell’estate del 1990, quando il Pci (ancora c’era) si astenne sulla
risoluzione dell’Onu che dava sostanzialmente il via libera alla prima
guerra del Golfo, lei si dissociò dal suo partito. Fece un appassionato
intervento alla Camera e votò contro. I dissidenti di oggi non sono come
quel dissidente di allora?



«Ripeto che non metto in discussione il loro diritto a dissentire. Ma c’è un
merito del problema, e il merito di allora è molto diverso da quello di
oggi. Mettiamola così, un po’ brutale: io avevo ragione mentre loro hanno
torto. La mia ragione la si è vista dopo, con tutto quello che è successo e
sta succedendo ancora nel mondo. Il loro torto è invece di non guardare il
mondo ma solo la questione afghana, che a questo punto mi pare secondaria
dal punto di vista generale. Secondaria anche per la politica estera
italiana: che razza di governo di centrosinistra sarebbe se non si misurasse
prima di tutto con la nuova tragedia che abbiamo di fronte agli occhi?».



A proposito, lei è favorevole a una forza multinazionale dell’Onu, con
caschi blu italiani, in quelle zone?



«In via di principio ovviamente sì. Ma prima bisogna chiedersi se l’Onu
esiste ancora, e a me pare che esista poco. Annichilita, cancellata, ridotta
spesso a un pupazzo nelle mani del Presidente degli Stati Uniti. Magari
allora si riuscisse a restituire all’Onu quel ruolo che le è stato tolto,
anche con la nostra complicità. Dovrebbe essere l’Onu stessa a ritrovare una
sua autonomia, una sua purezza. Cominciando proprio dall’Iraq, dove c’è o
dovrebbe esserci ma non si vede e non si sente».