Autor: Gabriele Focosi Data: Para: forumlucca, forumvalleserchio Asunto: [Forumlucca] su Pasolini... e sul coraggio di Pasolini...
Ieri sera ho assistito al ricordo di Pier Pasolini tenutosi a Villa
Bruguier di Camiglino, reso speciale dalla voce di Eros Pagni e dalle
ottime musiche selezionate per l'occasione.
C'è qualcosa, però, che ritengo abbia stonato nel complesso, forse sarà
pure sfuggita ai molti presenti, ma credo che non si possa rendere omaggio
ad un poeta come Pasolini, tagliando uno dei suoi più coraggiosi scritti.
Mi riferisco all'interpretazione di "IO SO": perchè fermarsi a leggere le
prime 10 righe? Perchè non arrivare fino in fondo? Dopo quel "na non ho le
prove. Non ho nemmeno indizi" c'era molto di più... e penso che avrebbe
valso la pena leggerlo fino in fondo, per ricordare degnamente il coraggio
del grande poeta.
***
Corriere della Sera, 14 novembre 1974
Cos'è questo golpe? Io so
di Pier Paolo Pasolini
Io so.
Io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato "golpe" (e che
in realtà è una serie di "golpe" istituitasi a sistema di protezione del
potere).
Io so i nomi dei responsabili della strage di Milano del 12 dicembre 1969.
Io so i nomi dei responsabili delle stragi di Brescia e di Bologna dei
primi mesi del 1974.
Io so i nomi del "vertice" che ha manovrato, dunque, sia i vecchi fascisti
ideatori di "golpe", sia i neo-fascisti autori materiali delle prime
stragi, sia infine, gli "ignoti" autori materiali delle stragi più recenti.
Io so i nomi che hanno gestito le due differenti, anzi, opposte, fasi della
tensione: una prima fase anticomunista (Milano 1969) e una seconda fase
antifascista (Brescia e Bologna 1974).
Io so i nomi del gruppo di potenti, che, con l'aiuto della Cia (e in
second'ordine dei colonnelli greci della mafia), hanno prima creato (del
resto miseramente fallendo) una crociata anticomunista, a tamponare il '68,
e in seguito, sempre con l'aiuto e per ispirazione della Cia, si sono
ricostituiti una verginità antifascista, a tamponare il disastro del
"referendum".
Io so i nomi di coloro che, tra una Messa e l'altra, hanno dato le
disposizioni e assicurato la protezione politica a vecchi generali (per
tenere in piedi, di riserva, l'organizzazione di un potenziale colpo di
Stato), a giovani neo-fascisti, anzi neo-nazisti (per creare in concreto la
tensione anticomunista) e infine criminali comuni, fino a questo momento, e
forse per sempre, senza nome (per creare la successiva tensione
antifascista). Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno
dietro a dei personaggi comici come quel generale della Forestale che
operava, alquanto operettisticamente, a Città Ducale (mentre i boschi
italiani bruciavano), o a dei personaggio grigi e puramente organizzativi
come il generale Miceli.
Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro ai tragici
ragazzi che hanno scelto le suicide atrocità fasciste e ai malfattori
comuni, siciliani o no, che si sono messi a disposizione, come killer e sicari.
Io so tutti questi nomi e so tutti i fatti (attentati alle istituzioni e
stragi) di cui si sono resi colpevoli.
Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi.
Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire
tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di
immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace; che coordina fatti anche
lontani, che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un
intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove
sembrano regnare l'arbitrarietà, la follia e il mistero.
Tutto ciò fa parte del mio mestiere e dell'istinto del mio mestiere. Credo
che sia difficile che il mio "progetto di romanzo", sia sbagliato, che non
abbia cioè attinenza con la realtà, e che i suoi riferimenti a fatti e
persone reali siano inesatti. Credo inoltre che molti altri intellettuali e
romanzieri sappiano ciò che so io in quanto intellettuale e romanziere.
Perché la ricostruzione della verità a proposito di ciò che è successo in
Italia dopo il '68 non è poi così difficile.
Tale verità - lo si sente con assoluta precisione - sta dietro una grande
quantità di interventi anche giornalistici e politici: cioè non di
immaginazione o di finzione come è per sua natura il mio. Ultimo esempio: è
chiaro che la verità urgeva, con tutti i suoi nomi, dietro all'editoriale
del "Corriere della Sera", del 1° novembre 1974.
Probabilmente i giornalisti e i politici hanno anche delle prove o, almeno,
degli indizi.
Ora il problema è questo: i giornalisti e i politici, pur avendo forse
delle prove e certamente degli indizi, non fanno i nomi.
A chi dunque compete fare questi nomi? Evidentemente a chi non solo ha il
necessario coraggio, ma, insieme, non è compromesso nella pratica col
potere, e, inoltre, non ha, per definizione, niente da perdere: cioè un
intellettuale.
Un intellettuale dunque potrebbe benissimo fare pubblicamente quei nomi: ma
egli non ha né prove né indizi.
Il potere e il mondo che, pur non essendo del potere, tiene rapporti
pratici col potere, ha escluso gli intellettuali liberi - proprio per il
modo in cui è fatto - dalla possibilità di avere prove ed indizi.
Mi si potrebbe obiettare che io, per esempio, come intellettuale, e
inventore di storie, potrei entrare in quel mondo esplicitamente politico
(del potere o intorno al potere), compromettermi con esso, e quindi
partecipare del diritto ad avere, con una certa alta probabilità, prove ed
indizi.
Ma a tale obiezione io risponderei che ciò non è possibile, perché è
proprio la ripugnanza ad entrare in un simile mondo politico che si
identifica col mio potenziale coraggio intellettuale a dire la verità: cioè
a fare i nomi.
Il coraggio intellettuale della verità e la pratica politica sono due cose
inconciliabili in Italia.
All'intellettuale - profondamente e visceralmente disprezzato da tutta la
borghesia italiana - si deferisce un mandato falsamente alto e nobile, in
realtà servile: quello di dibattere i problemi morali e ideologici.
Se egli vien messo a questo mandato viene considerato traditore del suo
ruolo: si grida subito (come se non si aspettasse altro che questo) al
"tradimento dei chierici" è un alibi e una gratificazione per i politici e
per i servi del potere.
Ma non esiste solo il potere: esiste anche un'opposizione al potere. In
Italia questa opposizione è così vasta e forte da essere un potere essa
stessa: mi riferisco naturalmente al Partito comunista italiano.
È certo che in questo momento la presenza di un grande partito
all'opposizione come è il Partito comunista italiano è la salvezza
dell'Italia e delle sue povere istituzioni democratiche.
Il Partito comunista italiano è un Paese pulito in un Paese sporco, un
Paese onesto in un Paese disonesto, un Paese intelligente in un Paese
idiota, un Paese colto in un Paese ignorante, un Paese umanistico in un
Paese consumistico. In questi ultimi anni tra il Partito comunista
italiano, inteso in senso autenticamente unitario - in un compatto
"insieme" di dirigenti, base e votanti - e il resto dell'Italia, si è
aperto un baratto: per cui il Partito comunista italiano è divenuto appunto
un "Paese separato", un'isola. Ed è proprio per questo che esso può oggi
avere rapporti stretti come non mai col potere effettivo, corrotto, inetto,
degradato: ma si tratta di rapporti diplomatici, quasi da nazione a
nazione. In realtà le due morali sono incommensurabili, intese nella loro
concretezza, nella loro totalità. È possibile, proprio su queste basi,
prospettare quel "compromesso", realistico, che forse salverebbe l'Italia
dal completo sfacelo: "compromesso" che sarebbe però in realtà una
"alleanza" tra due Stati confinanti, o tra due Stati incastrati uno nell'altro.
Ma proprio tutto ciò che di positivo ho detto sul Partito comunista
italiano ne costituisce anche il momento relativamente negativo.
La divisione del Paese in due Paesi, uno affondato fino al collo nella
degradazione e nella degenerazione, l'altro intatto e non compromesso, non
può essere una ragione di pace e di costruttività.
Inoltre, concepita così come io l'ho qui delineata, credo oggettivamente,
cioè come un Paese nel Paese, l'opposizione si identifica con un altro
potere: che tuttavia è sempre potere.
Di conseguenza gli uomini politici di tale opposizione non possono non
comportarsi anch'essi come uomini di potere.
Nel caso specifico, che in questo momento così drammaticamente ci riguarda,
anch'essi hanno deferito all'intellettuale un mandato stabilito da loro. E,
se l'intellettuale viene meno a questo mandato - puramente morale e
ideologico - ecco che è, con somma soddisfazione di tutti, un traditore.
Ora, perché neanche gli uomini politici dell'opposizione, se hanno - come
probabilmente hanno - prove o almeno indizi, non fanno i nomi dei
responsabili reali, cioè politici, dei comici golpe e delle spaventose
stragi di questi anni? È semplice: essi non li fanno nella misura in cui
distinguono - a differenza di quanto farebbe un intellettuale - verità
politica da pratica politica. E quindi, naturalmente, neanch'essi mettono
al corrente di prove e indizi l'intellettuale non funzionario: non se lo
sognano nemmeno, com'è del resto normale, data l'oggettiva situazione di fatto.
L'intellettuale deve continuare ad attenersi a quello che gli viene imposto
come suo dovere, a iterare il proprio modo codificato di intervento.
Lo so bene che non è il caso - in questo particolare momento della storia
italiana - di fare pubblicamente una mozione di sfiducia contro l'intera
classe politica. Non è diplomatico, non è opportuno. Ma queste categorie
della politica, non della verità politica: quella che - quando può e come
può - l'impotente intellettuale è tenuto a servire.
Ebbene, proprio perché io non posso fare i nomi dei responsabili dei
tentativi di colpo di Stato e delle stragi (e non al posto di questo) io
non posso pronunciare la mia debole e ideale accusa contro l'intera classe
politica italiana.
E io faccio in quanto io credo alla politica, credo nei principi "formali"
della democrazia, credo nel Parlamento e credo nei partiti. E naturalmente
attraverso la mia particolare ottica che è quella di un comunista.
Sono pronto a ritirare la mia mozione di sfiducia (anzi non aspetto altro
che questo) solo quando un uomo politico - non per opportunità, cioè non
perché sia venuto il momento, ma piuttosto per creare la possibilità di
tale momento - deciderà di fare i nomi dei responsabili dei colpi di Stato
e delle stragi, che evidentemente egli sa, come me, non può non avere
prove, o almeno indizi.
Probabilmente - se il potere americano lo consentirà - magari decidendo
"diplomaticamente" di concedere a un'altra democrazia ciò che la democrazia
americana si è concessa a proposito di Nixon - questi nomi prima o poi
saranno detti. Ma a dirli saranno uomini che hanno condiviso con essi il
potere: come minori responsabili contro maggiori responsabili (e non è
detto, come nel caso americano, che siano migliori). Questo sarebbe in
definitiva il vero Colpo di Stato.