segue dal messaggio precedente
Rosario
>Già, Internet. Leggo uno scritto di Naomi Klein sul World Social Forum di
> >un paio di anni fa, dove la nota portabandiera no-logo scrive di una
> >nottata in un camping per giovani a Porto Alegre dove un vasto gruppo
> >riunito attorno a un altoparlante ascoltava una diretta dal World
Economic
> >Forum di New York. La voce era quella di una corrispondente di Indy
Media,
> >e arrivava vibrante e inalterata grazie a Internet. Scrive la Klein: "Per
> >me quello è stato il momento più rappresentativo dell'intero Forum. Ad un
> >certo punto il server americano si è disconnesso, ma all'istante un
server
> >italiano ci ha soccorsi!" Certamente Naomi Klein si rende conto che il
suo
> >"momento più rappresentativo" si è materializzato per gentile concessione
> >del controllore mondiale di Rete che è la Internet Society in Virginia,
> >vale a dire per gentile concessione dei falchi dei Diritti di Proprietà
> >Intellettuale come Microsoft, come Hewlett Packard o IBM, per gentile
> >concessione degli impietosi licenziatori come Nortel & Alcatel (50.000
> >lavoratori a casa), come Hitachi (20.000) o come Intel e Lucent (20.000),
> >per gentile concessione dei vampiri della speculazione finaziaria come la
> >JP Morgan, e infine per gentile concessione dei venditori di morte come
> >Marconi Corp., come (la ex) WorldCom, come Motorola Inc, come la Rand e
> >come la Defense Information Systems Agency. (17) E allora chiedo:
> >l'entusiasmante tecnologia internet che ha soccorso Naomi Klein e i
> >giovani di Porto Alegre sarà ancora possibile nell'Altro Mondo in
> >Costruzione, e cioè in un mondo ripulito dai sopraccitati mascalzoni? Non
> >si può evadere la risposta.
> >
> >Altresì, è sicuramente ben accetto un Movimento che chiede pace e che
> >contesta le nostre interferenze 'imperialiste' nel destino politico di
> >tanti Paesi per assicurarci le loro risorse. Ma questi stessi
> >contestatori, così giustamente motivati, sapranno poi farsi carico dei
> >prezzi conseguenti a ciò che chiedono? E potrà farsene carico la società
> >nel suo insieme? Immaginiamo che il petrolio non sia più un 'sorvegliato
> >speciale', per esempio. Perché è un fatto che "...il costo della
> >protezione delle riserve petrolifere mediorientali, pagato soprattutto
> >dagli Stati Uniti e senza il quale tutta l'economia occidentale
rimarrebbe
> >paralizzata, è di almeno 25 dollari al barile." (18) Ora, tutti d'accordo
> >per l'uscita dei 'falchi' americani (con conseguente caduta dei loro
> >regimi fantoccio) dal Medioriente, ma chi li pagherà quei 25 dollari
extra
> >per ogni barile estratto? E sappiamo quanto questo inciderebbe sul costo
> >di ogni azione che noi occidentali, inclusi i contestatori, compiamo ogni
> >giorno? Sapremo, o meglio, vorremo farcene carico nella pratica?
> >
> >L'Altro Mondo in Costruzione vorrà essere più vicino alla natura, ed è un
> >bene. Ma a quali prezzi? Un piccolo esempio che ha come protagonista un
> >altro Guru anti globalizzazione, José Bové. Il francese denuncia il
> >sistema di nutrizione dei vitelli: il latte che essi potrebbero
> >naturalmente bere dalle vacche gli viene sottratto, poi spedito ad alcune
> >industrie, pastorizzato, decremato, essiccato, e infine ricostituito,
> >impacchettato e ritrasportato dai vitelli. La UE finanzia questo processo
> >con miliardi per tenere il prezzo del prodotto industriale inferiore a
> >quello del latte che i vitelli potrebbero semplicemente succhiare dalle
> >vacche. Aberrante, siamo d'accordo, ma se vogliamo abolire questo ciclo
ci
> >dobbiamo chiedere: a quali prezzi? quanta economia e quanto indotto
> >andrebbero perduti? Soprattutto quanti posti di lavoro si perderebbero? e
> >otterremmo il consenso su questo da chi quel prezzo lo dovrà pagare?
> >Infatti sembra ormai chiaro che uno dei costi più amari che noi ricchi
> >dovremmo sostenere per un Altro Mondo in Costruzione è la perdita di
> >centinaia di migliaia (se non milioni) di nostri posti di lavoro, se
> >veramente vogliamo permettere al Sud di sbarcare sui nostri mercati ad
> >armi pari o di ricevere i nostri agognati investimenti nel rispetto dei
> >loro diritti. Un costo, questo, che sarà assai arduo proporre. Ne è un
> >esempio lampante ciò che è accaduto nell'aprile del 2000 in seno alla più
> >potente economia del mondo, gli Usa. Era quello il periodo in cui il
> >governo federale stava proponendo di concedere alla Cina la clausola del
> >Permanent Normal Trade Relations, con pieno appoggio all'entrata di
> >Pechino nel WTO. Contro queste misure, Washington DC vide massicce
> >proteste dei più potenti sindacati americani, AFL-CIO in testa con John
> >Sweeney, ma anche James Hoffa e i suoi, fianco a fianco ai falchi della
> >destra nazionalista e ultraprotezionista di Pat Buchanan. Il motivo di
> >tanto clamore? Il timore, assai fondato, che il regalo concesso alla Cina
> >significasse massicce perdite di posti di lavoro americani a favore dei
> >più competitivi lavoratori di quel mondo più povero. Più recente è
> >l'esempio dell'Outsourcing, la pratica da parte di grandi aziende di
> >affidare a Paesi terzi un settore di produzione che prima veniva
> >soddisfatto in sede domestica. Il 30% di tutta l'industria
> >dell'Information Technology americana è oggi 'outsourced' in India, dove
> >il lavoro costa assai meno. Ma in India quelli sono fra i posti di lavoro
> >più ambiti in assoluto. Dare a quei lavoratori paghe e diritti di livello
> >superiore - come il Movimento auspica - significa mandarli tutti sul
> >lastrico in 24 ore. Allora, ci sono qui due contraddizioni: vorremmo che
> >lavorassero con pieni diritti e paghe piene, ma così gli sottraiamo il
> >'competitive edge', e cioè l'unica vera risorsa che hanno, la
> >competitività sul lavoro. Infatti a Doha proprio i Paesi in via di
> >sviluppo hanno accusato i promotori dei diritti globali di essere
> >l'involontario strumento di un "protezionismo occidentale di segno
> >contrario", che dietro la bella facciata dei diritti per tutti in realtà
> >mirerebbe a sottrarre al Sud l'unica sua vera risorsa, la forza lavoro
> >competitiva. La seconda contraddizione è che per permettere al Sud di
> >avere standard di vita e di lavoro dignitosi ma al contempo di mantenere
> >gli investimenti dei 'ricchi' dovremmo non solo accettare massicce
perdite
> >di impiego domestico ma anche pagare le merci assai di più. Su questi
> >problemi sono in imbarazzo tutti i sindacati occidentali, che balbettano
> >slogan come "gobalizzazione dei diritti" per non affrontare il grande
nodo.
> >E noi che risposte diamo? Si tratta di far accettare all'occidente prezzi
> >inaccettabili per i nostri contadini, metalmeccanici, operai, impiegati,
> >trasportatori, con relative famiglie, e per le aziende di tutti quei
> >settori che verrebbero penalizzati se l'Occidente permettesse ad omologhi
> >del Sud di veramente competere sui nostri mercati. Io chiedo agli
> >economisti di Porto Alegre di studiare, calcolare e divulgare i PREZZI -
> >in termini di MEZZI RICHIESTI PER LA FATTIBILITA', PREZZI E RINUNCE AL
> >CONSUMO, MUTAMENTI DI STILI DI VITA, PERDITA DI OCCUPAZIONE E STRATEGIE
> >PER RICONVERTIRLA, EQUILIBRI POLITICI, CRESCITA ECONOMICA (sia qui che al
> >Sud) - di ognuno dei punti di lotta listati al termine delle
Dichiarazioni
> >Finali dei World Social Forum, e dei tanti altri slogan dell'Altro Mondo
> >in Costruzione. Non conoscere quei prezzi, non divulgarli, non farsene
> >carico e non convincere la gente ad accettarli è precisamente ciò che
> >condannerà Porto Alegre a parlare al vento, tante belle parole ma nessun
> >seguito fra la gente. Dunque il fallimento.
> >
> >Per dare solo un'idea di quanto noi ricchi dovremmo pagare di tasca
nostra
> >per eliminare la sperequazione della ricchezza su scala globale, cito qui
> >una cifra: un trilione e mezzo di dollari all'anno, ovvero 3 milioni di
> >miliardi di vecchie lire annui. Chiediamoci: questa montagna di soldi
> >garantirebbe il benessere a tutto il Terzo Mondo? Neanche per sogno.
> >Eliminerebbe almeno la povertà? Neppure. Forse ridurrebbe la denutrizione
> >infantile. Purtroppo no. Tre milioni di miliardi di lire sarebbero appena
> >sufficienti per dare ai due miliardi di abitanti più disgraziati del
> >pianeta due miseri dollari di sussistenza al giorno! (19) Vi lascio
> >immaginare cosa ci costerebbe un mondo assai migliore.
> >
> >Capita di rendersi conto, seguendo la vita italiana, che tanti di noi non
> >sono disposti a pagare alcunché. Emblematica è una lettera pubblicata il
> >12/11/2002 dal quotidiano il Resto del Carlino, in seno a una iniziativa
> >di 'acquista il made in FIAT' per sostenere la traballante azienda e i
> >suoi lavoratori. Scrive un cittadino di Chiaravalle: "Aiutare la FIAT mi
> >sta bene, ma la mia vecchia auto straniera con un litro fa oltre 17 km.
Mi
> >risulta che la Panda è ancora lontana da questi traguardi." Tradotto
> >significa: 'nel nome di un paio di chilometri in più al litro, per me che
> >vadano pure in fumo i redditi di migliaia di famiglie italiane'. Ora
> >immaginate di chiedere a questa persona di far rinunce per i poveri del
> >Sahel! E siamo in tanti con questa mentalità. Non ce n'è per tutti, e
> >questo ci fa paura.
> >
> >Terza ragione. Il fatto è che il Primo Mondo si sta metaforicamente
> >svenando per continuare a garantire non solo i margini di profitto delle
> >multinazionali, ma soprattutto il nostro standard di vita. Porto Alegre
> >dovrà saper convertire almeno la maggioranza di quegli 800 milioni di
> >persone il cui benessere oggi più che mai è minacciato da ogni parte. E
> >quelle persone hanno paura. Guardiamo alcuni dati. L'agenzia di rating
> >Standard & Poor ha calcolato che entro il 2050 il sistema fiscale dei
> >maggiori paesi industrializzati collasserà, con indebitamenti del 200%
sul
> >PIL, e questo signifca la disintegrazione delle previdenze sia pubbliche
> >che private. Negli Usa: dal 1973 al 1993 la retribuzione media è crollata
> >dell'11% - in Virginia, nella culla della New Economy, la lista d'attesa
> >per un posto al dormitorio è di 70 famiglie al giorno - l'organizzazione
> >Living Wage è nata per chiedere il salario di sopravvivenza(!) per
milioni
> >di famiglie americane - il numero di coloro che vivono sotto la soglia di
> >povertà è di 33 milioni, mentre la povertà infantile oggi è superiore a
> >quella di 20 anni fa (13 milioni di bambini) e questo è dovuto agli
> >stipendi stagnanti e all'alto costo della vita - il numero di cittadini
> >americani senza copertura sanitaria è cresciuto nel 2001 di 1.400.000
> >unità, per un totale di 44 milioni di individui. In Gran Bretagna: gli
> >ultimi dati sulla povertà parlano ufficialmente di 1 povero su 4
> >cittadini, mentre gli esperti della previdenza integrativa britannica
> >hanno già affermato che neppure i fondi pensione privati potranno
> >garantire una sopravvivenza decente a milioni di futuri pensionati. Il
> >numero di studenti inglesi dei ceti medio-bassi che hanno oggi accesso
> >alle 'Grammar Schools', e cioè all'istruzione che più garantisce
> >occupazione, è ai minimi storici. In Giappone: il 3% delle imprese
> >giapponesi si trova oggi a mantenere a galla l'87% dell'economia al
> >collasso, il debito nazionale è al 130% del PIL, i consumi sono alla
> >paralisi, la deflazione è in agguato. La Germania ha toccato il tetto
> >storico di 4 milioni di disoccupati, perché oggi assumere in Germania
> >costa il 40% in più che in Olanda o in GB. E anche la ridente Italia si
> >ritrova con 2.600.000 famiglie ufficialmente povere (l'11%), mentre la
> >Fiat calava del 10% all'anno nelle vendite, col risultato che si è visto.
> >Nel nostro Paese negli ultimi due anni i salari degli operai sono
> >aumentati appena dello 0,25 per cento, mentre quelli dei colletti bianchi
> >sarebbero addirittura diminuiti dell'1,1 per cento (come potere
> >d'acquisto). I fallimenti aziendali nel Primo mondo sono all'apice, i
> >licenziamenti pure: Ford, Motorola, Consigna, Fiat, France Telecom,
> >Alcatel, Hitachi, General Motors e Philips hanno in pochi mesi licenziato
> >un totale di 222.000 lavoratori. Di fronte alla PAURA che ciò crea in
noi,
> >i politici occidentali hanno deciso di proteggere il nostro standard di
> >vita in una lotta senza esclusione di colpi e con l'arma del
> >Protezionismo. Un dato: il Protezionismo delle merci americane voluto da
> >Reagan e da Clinton è stato superiore a
> >Soffermiamoci sulla paura. La giusta idea (e tema noto a Porto Alegre)
> >secondo cui la vera prevenzione dei conflitti sta nella giustizia sociale
> >ed economica globale non tiene conto di una cosa: che di fronte alla
> >paura, la parte meno evoluta della natura umana diventa 'di destra' e
> >chiede a gran voce soluzioni semplicistiche a problemi complessi (che è
il
> >classico impianto della mente conservatrice). E' precisamente per questo
> >che di fronte all'11 Settembre, che di fronte a Richard Reid con
> >l'esplosivo nelle scarpe, che di fronte all'orrore della scuola di
Beslan,
> >che di fronte allo spaccio di droga e alla violenza urbana, che di fronte
> >alle convulsioni dei miliardi di disperati del mondo, il politico che
> >propone tali semplicistiche soluzioni ottiene ampi consensi. Berlusconi,
> >Blair e Bush l'hanno capito e in questo sono stati geniali. Porto Alegre
è
> >tutto il contrario. E' moralità, intelligenza, dedizione, elasticità
delle
> >analisi, creatività, e soprattutto un lungo paziente lavoro per ottenere
> >risultati duraturi a lungo termine. Ma sapremo comunicare e convincere
800
> >milioni di persone spesso impaurite che è meglio la gallina domani
> >piuttosto che l'uovo oggi? E nel frattempo? Perché anche se magicamente
> >potessimo spegnere oggi stesso i mefitici motori (che noi alimentiamo)
del
> >Fondo Monetario, del WTO, delle bolle speculative, del Pentagono, della
> >Commissione Europea, del Neoliberismo e dei nostri consumi, l'abbrivio
> >dell'odio contro di noi che abbiamo creato al Sud e la corsa dei poveri
al
> >materialismo a tutti i costi durerebbe ancora decenni, e ancora per
> >decenni i benestanti del Nord dovrebbero fare i conti con i Bin Laden,
con
> >i rapimenti, con i fanatismi, con le mafie globali, con tutto quello da
> >cui ci sentiamo minacciati oggi. E la domanda è: in quei lunghi anni di
> >attesa saprà Porto Alegre tenere vivo il consenso per le soluzioni
> >intelligenti e a lungo termine? Sappiamo benissimo che oggi, e in futuro,
> >ogni qual volta ci sarà un altro Daniel Pearl (21) assassinato dai
> >fanatici o un'altra Beslan, milioni di persone qui da noi
riprecipiteranno
> >nell'ansia e nella vecchia convinzione che il dialogo non paga. Meglio le
> >bombe. E infatti le macerie delle Torri Gemelle non erano neppure state
> >rimosse che già Thomas Friedman scriveva sul New York Times: "Abbiamo
> >ascoltato gli europei e abbiamo optato per il Dialogo Costruttivo. I
> >nemici dell'America hanno sentito in ciò puzza di debolezza, e per questo
> >noi abbiamo pagato un prezzo enorme... Quale è l'alternativa degli
> >europei? Aspettare che Uday Hussein, che è ancor più psicopatico di suo
> >padre Saddam, possegga armi biologiche per colpire Parigi? No, Bush sta
> >dicendo a questi Paesi e ai loro terroristi: 'Sappiamo cosa state
ordendo,
> >ma se credete che staremo ad aspettare un altro attacco vi sbagliate!
> >Siete dei folli? Incontrate Donald Rumsfeld, è ancor più folle di voi!'
> >... L'intenzione di Bush di essere almeno folle come i nostri nemici è
ciò
> >che di giusto sta facendo." (22)
> >
> >Non è la cecità di queste parole che conta qui, quello che conta è che
> >riflettono il consenso di milioni di occidentali impauriti. E noi non li
> >ASCOLTIAMO! Non sappiamo ascoltare la paura delle persone comuni, quelle
> >che così spesso ignoriamo e anzi, che scartiamo con un certo disprezzo
> >come rappresentanti di una bieca via di comodo, egoista e insensibile ai
> >drammi dei poveri. Ma che errore. Dovremmo fare il contrario e imparare
ad
> >accoglierli con le loro paure, ascoltandole innanzi tutto, prima di
> >proporgli ogni altro discorso. E dovremmo saper rispondere efficacemente
a
> >fatti come questo: la Commissione USA per l'11 Settembre nel suo rapporto
> >finale ha puntato il dito contro l'Amministrazione Clinton perché nel
> >maggio e nel dicembre 1998 il presidente americano cancellò due
operazioni
> >per catturare Bin Laden in Afghanistan, per il rischio di vittime civili
e
> >per non essere criticato internazionalmente come 'aggressore'. L'agente
> >della CIA Mike Scheuer scrisse allora "Ci pentiremo di non aver agito"
...
> >... Poi ci fu l'11 di Settembre, con la tragedia che è stato in USA e per
> >tutto il mondo dopo (e con la manna che ha rappresentato per
> >l'establishment della destra militare). E dunque di fronte a un'opinone
> >pubblica che ora sa che Bin Laden e la catastrofe globale che ha
innescato
> >furono lasciati essere per 'qualche scrupolo' di legalità internazionale,
> >cosa rispondiamo noi? Forse qualche slogan garantista totalmente inadatto
> >a placare la loro frustrazione e rabbia, tanto meno a convincerli?
Farcela
> >qui sarà durissima.
> >
> >Porto Alegre tiene conto nelle sue pubbliche manifestazioni e nelle sue
> >strategie comunicative dell'insormontabile muro di insicurezze e di paure
> >dietro cui sempre più l'Occidente si va barricando?
> >
> >Quello che ci necessita sono strategie formidabili di comunicazione e di
> >creazione di consenso, ma che siano nuove, perché, come ho già detto, i
> >fallimenti a catena del passato ci impongono un radicale ripensamento dei
> >nostri metodi di impegno e di lotta. La domanda è: Porto Alegre sta
> >comunicando con la gente, sta creando consenso?
> >
> >Porto Alegre sta comunicando?
> >
> >Quarta ragione. Come si crea consenso? O forse è meglio formulare la
> >domanda con maggior precisione: quali sono i metodi migliori per
> >comunicare con la mira di creare consenso? Se assumiamo come vicina al
> >vero la descrizione che ho fatto degli 800 milioni di
consumatori-elettori
> >benestanti del Primo mondo, e cioè gente in maggioranza assai restia al
> >cambiamento del loro standard di vita per il bene comune, la provocatoria
> >risposta che mi viene di getto è: non i metodi di Luca Casarini. Casarini
> >è un uomo di grande talento, scrive benissimo, come oratore non è da meno
> >ed è figura indispensabile nel panorama odierno, per tenacia e per
> >creatività, guai mancasse. Ma la sua comunicazione è, a mio parere, un
> >disastro. La sua lotta "all'Impero", ho già scritto, è deviante e
> >fallimentare rispetto alla realtà, ma ciò che è anche insidioso nella sua
> >ideologia sono il concetto di 'disubbidienza' e il fervore 'epico' con
cui
> >sia lui che coloro che lo condividono la mettono in pratica, come se
> >avessero ricevuto una investitura di paladini di giustizia globale. Mi
> >soffermo brevemente sulla sua retorica. Scrive Casarini: "Siamo disposti,
> >per cambiare il mondo, a metterci in gioco fino a questo punto, sfidando
> >la violenza dell'Impero? Questa è la domanda e il contrasto è fra chi è
> >disposto a combattere pagando prezzi altissimi e chi invece arriva fino a
> >un certo punto e poi lascia perdere". (23) Sottolineo proprio
quest'ultima
> >frase perché mi sembra sia arrogante e discriminante porre un limite
> >'virile' sotto il quale un impegno minore contro le ingiustizie va
> >considerato con un certo spregio; saremmo fortunati, e ci sarebbe da
> >esserne grati, se tutte le persone anche solo una volta nella vita
> >facessero con noi un pezzettino della strada. Ma nel brano che ho citato
è
> >soprattutto evidente la retorica epica con cui Casarini pone se stesso e
> >chi lo condivide sulle perigliose barricate della lotta ai malvagi
> >("...chi è disposto a combattere pagando prezzi altissimi..." - sarebbe
> >stato auspicabile qui un po' di rispetto sia per i luoghi del mondo dove
> >veramente si pagano prezzi altissimi nella lotta 'all'Impero', sia per
> >coloro che li hanno pagati, da Bhopal all'Ogoniland). I toni sono da
> >guerra santa, e non abbiamo forse già imparato dove esse ci portano?
> >
> >Cosa fa credere a Casarini che 'disubbidire' sia ancora oggi la strada
più
> >efficace? La precarietà di questa posizione è presto dimostrata se ci
> >immaginiamo la stessa 'disubbidienza' praticata, con altrettanta fervente
> >convinzione di essere nel giusto, dalla Destra conservatrice. E infatti
> >essa lo fa: Bush sta 'disubbidendo' ai seguenti trattati internazionali e
> >alle seguenti istituzioni 1) Biological Weapons Convention 2) Anti
> >Ballistic Missile Treaty 3) Small Arms Treaty 4) International Criminal
> >Court 5) Kyoto Protocol 6) UN Convention Against Torture 7) Comprehensive
> >Test Ban Treaty 8) Organization for the Prohibition of Chemical Weapons
9)
> >United Nations Charter (24). Oltre all'Iraq, i governi di Israele,
> >Turchia, Marocco, Croazia, Armenia, Russia, Sudan, India, Pakistan, e
> >Indonesia stanno 'disubbidendo' a 91 diverse risoluzioni del Consiglio di
> >Sicurezza dell'ONU. (25) Di Silvio Berlusconi è superfluo scrivere. Ma
> >attenzione: tutti costoro sono ferventemente convinti che la loro
> >'disubbidienza' sia un sacro dovere per il bene delle rispettive comunità
> >o del mondo intero. Se è legittimo per Casarini disubbidire, lo è per
> >Bush, poiché non esiste sentenza divina che aprioristicamente legittimi
la
> >giustezza della causa del primo rispetto a quella del secondo; è solo una
> >questione di individuali convinzioni. E allora va chiesto: 'disubbidire'
è
> >un diritto solo se si 'disubbidisce' dal basso?
> >
> >E' una strada questa che rischia di aggrovigliare il Movimento, più che
> >spianarci la strada. Fare a pezzi i centri di 'accoglienza' temporanea
per
> >immigrati, i Mac Donalds, tentare di penetrare la Zona Rossa di Genova o
> >di incatenare le saracinesche della Adecco non hanno portato a nessuna
> >efficace comunicazione con la pubblica opinione, non hanno creato
consenso
> >sui temi della fame, delle guerre o dell'ambiente ecc., e di questo non
> >mancano purtroppo le evidenze. Ma soprattutto nasce qui il sospetto che
al
> >'metodo' Casarini interessi assai poco penetrare le anime degli 800
> >milioni di consumatori-elettori benestanti del nostro mondo; si ha
> >l'impressione che la prima preoccupazione di coloro che sposano questo
> >metodo sia di soddisfare un proprio bisogno di emozioni forti,
> >quell'adrenalina che viene dagli
> >slancidiDonChisciottianamemoria,'noigliidealistiarrabbiaticontrol'Impero
> >del Male..'. Dov'è il canale di comunicazione e creazione di consenso fra
> >il fervore dei centri sociali e i consumatori dell'Esselunga o delle
> >Ipercoop, fra le truppe dei 'disubbidienti' e i tifosi di Luna Rossa o i
> >giovani in carriera, fra le tute bianche e i milioni di italiani che si
> >informano al bar, guardando le reti televisive, o, peggio, per sentito
> >dire? E si tratta dei commercianti, delle casalinghe, dei giovani dei
call
> >center, dei lavoratori più svariati, degli anziani, milioni di anziani,
> >che votano, consumano e che certamente ancora non abbiamo informato a
> >sufficienza, tanto meno convinto. Provate a sparpagliarvi fra loro e a
> >chiedergli chi sono i 'no-global'. Io ho sentito riposte da brividi. Ve
ne
> >do un esempio emblematico: alla recente partenza delle Carovane della
Pace
> >comboniane a Limone sul Garda (07/09/04), abbiamo vissuto l'aperto
> >ostruzionismo organizzativo da parte sia delle autorità locali che del
> >parroco del paese. Perché? Semplice, erano terrorizzati dall'arrivo dei
> >"no-global che avrebbero sfasciato tutto" (!). Ecco come abbiamo saputo
> >comunicare chi veramente siamo, noi del Movimento. Qui la responsabilità
è
> >nostra. Punto. E' essenziale smettere di parlarci addosso: i nostri
> >convegni, incontri, dibattiti, vedono riunirsi ormai sempre gli stessi
> >volti, lo stesso 'popolo' di gente già sensibilizzata che parla
> >sostanzialmente a se stesso, con rare eccezioni.
> >
> >Lo stesso vale per tutte le anime del Movimento, che hanno il dovere di
> >spingere lo sguardo oltre l'immediata gratificazione del proprio agire
per
> >verificare quanto realmente quelle azioni (marce, occupazioni, slogan,
> >disubbidienze ecc.) stiano penetrando e convincendo la nostra immensa
> >quanto statica collettività. Come ho già scritto, finora l'evidenza dei
> >risultati è sconsolante.
> >Dobbiamo porci due domande: 1) Come tramutare l'ampio consenso che la
> >società civile occidentale dà al suo benessere - col suo corredo di
> >ottusità morale, egoismo, diffidenza di ciò che è nuovo, pigrizia
mentale,
> >tendenza conservatrice del gruppo - in un consenso verso l'esatto
> >contrario, verso l'autocritica, l'altruismo intelligente, il desiderio di
> >sperimentare, la creatività, e una radicale rivoluzione dell'essere
> >'gruppo', che sono l'essenza del pensiero di Porto Alegre?
> >2) E come dialogare con miliardi di esseri umani del Sud del mondo, che
> >oggi dopo secoli di strazianti privazioni sono in corsa verso un
> >materialismo che difficilmente ammette mediazioni, affinché non
replichino
> >il nostro scempio economico e interculturale?
> >
> >Una precisazione è importante
> >Comunicare e creare consenso oggi è opera di difficoltà estrema,
> >soprattutto per un motivo, eccolo: si chiama velocizzazione della vita di
> >tutti noi. E', per il cittadino medio, forse il principale ostacolo
> >all'adozione di stili di vita sostenibili, equi e solidali, in altre
> >parole il principale ostacolo all'adozione dei principi di Porto Alegre.
I
> >ritmi di crescita economica desiderati ci tolgono il respiro, l'impegno
> >del lavoro oggi è una spirale in crescita continua. L'economia britannica
> >vola ben al di sopra della media europea, ma Londra è esente dal rispetto
> >della Direttiva Europea sul Tempo di Lavoro e molti inglesi stanno a
> >lavorare più di 48 ore alla settimana. Tony Blair se ne vanta. Ed
> >Campodonico, giovane rampante della New Economy di Seattle, lavora 84 ore
> >alla settimana, e il suo ex datore, la Microsoft, lo portava come
modello.
> >(26) Stiamone certi, questo è il futuro dei nostri giovani, ma anche il
> >presente non ci lascia spazi. Il fatto è che per aderire al progetto di
> >Costruire un Altro Mondo bisogna 1) informarsi 2) dibatterne 3)
> >partecipare 4) farsi carico dei PREZZI e tanto altro. Le giornate della
> >nostra vita sono fatte di 24 ore; se togliamo il lavoro, la famiglia, il
> >sonno, il mangiare, e la fatica di vivere di ciascuno di noi, non rimane
> >più nulla, anzi, già non è rimasto nulla a metà strada di questo calcolo.
> >Come faremo a comunicare con persone che non hanno lo spazio di vita per
> >ascoltarci? Porto Alegre ha affrontato questo tema?
> >
> >Credo che la 'nuova' comunicazione per creare consenso debba accantonare
> >come secondari - nel senso di utilizzabili come seconde scelte anche se
> >ancora utili in particolari frangenti - gli strumenti che per
quarant'anni
> >abbiamo privilegiato (manifestazioni, marce, sit-in, occupazioni,
> >disubbidienze ecc.) e che appaiono ormai spuntati, per le ragione che ho
> >spiegato in questo scritto. Credo fermamente che vada trovato un modo
> >diverso di chiedere alla gente di sensibilizzarsi verso i mali globali e
> >di assumere comportamenti che concretamente li combattano. Certamente
> >appellarsi al senso morale, al rispetto dei diritti dei più deboli va
> >bene, ma abbiamo visto che non basta. Far leva sull'orrore che suscitano
> >le immagini di bimbi in agonia, di donne che si cibano di radici, di arti
> >amputati dalle bombe, va bene, ma abbiamo visto che non basta. Recitare
> >all'infinito le cifre della grottesca sperequazione della ricchezza nel
> >mondo o dell'ingordigia delle multinazionali va bene, ma ancora non
basta.
> >Tutto ciò è stato fatto alla nausea e siamo a questo punto.
> >
> >Trovare nuove arti per comunicare i temi di Porto Alegre e per creare
> >consenso attorno ad essi, e farlo proprio fra la maggioranza meno
> >sensibilizzata, è la sfida principale, assolutamente la più ardua, che
> >tutto il Movimento deve affrontare. Non farlo, e cioè reiterare i vecchi
> >metodi, condannerà Porto Alegre all'infelice destino delle rivoluzioni
> >naufragate degli scorsi decenni.
> >
> >Il 'nuovo' lavoro di comunicazione va svolto capillarmente, casa per
casa,
> >scuola dopo scuola, piazza su piazza, in tv, sui giornali, presso le
> >associazioni professionali o di categoria, ipermercato per ipermercato,
> >con iniziative pacate, originali, in associazione con chiunque ci porga
> >una mano. E' un lavoro poco 'adrenalinico', ma darà frutti duraturi, ma
> >soprattutto offre una speranza di far breccia fra tutti coloro (la
> >maggioranza) che di fronte ai milioni di appelli alla giustizia e alla
> >solidarietà non hanno trovato motivi per agire.
> >
> >A chi sta storcendo il naso, ricordo che sono quarant'anni che ci
agitiamo
> >nelle piazze, che ci parliamo addosso, ma la pensionata di Leeds, il
> >camionista di Cuneo, l'avvocato di Brema, la segretaria di Madrid o il
> >poliziotto di Atene non li abbiamo mai veramente raggiunti, mai convinti,
> >forse mai veramente considerati. E sono i milioni di consumatori-elettori
> >che poi spostano il mondo, e il cui potere di conservazione può
travolgere
> >noi e i nostri ideali come l'uragano con la pagliuzza.
> >
> >
> >
> >Conclusione
> >
> >Sulla via per Costruire un Altro Mondo abbiamo dunque ostacoli immensi,
> >forse insormontabili, forse oggi è troppo tardi per fermare la locomotiva
> >neoliberista. Ma almeno una certezza io l'ho: dobbiamo 1) Farci carico
che
> >il Neoliberismo ("l'Impero") siamo anche noi, tutti noi. 2) Conoscere,
> >divulgare e farci carico degli esatti COSTI di un mondo migliore, e
> >ottenere consenso su di essi. 3) Scoprire nuove arti per comunicare e per
> >creare consenso attorno alle nostre speranze, imparando innanzi tutto ad
> >ascoltare persone sempre più impaurite, senza giudicarle.
> >
> >Se non lo faremo, anche Porto Alegre si dissolverà in una inezia della
> >nostra storia.
> >
> >Paolo Barnard
> >dpbarnard@???
> >
> >
> >
> >Bibliografia
> >
> >1) Stockholm International Peace Research Institute, Recent Trends in
> >Military Expenditure.
> >2) Global Exchange, 10 Ways to Democratize the Global Economy.
> >3) Stime Banca Mondiale, 1999.
> >4) a. Jan Pronk, UN envoy to Johannesburg 2002.
> >b. John Vidal, The Guardian, 2/9/2002.
> >c. Keith Ewing, Tearfund.
> >d. Mark Townsend, The Observer, 18/8/2002.
> >5) Friends of the Earth Summit Wrap Up, 4/9/2002, The Guardian.
> >6) UNDP's Human Development Report.
> >7) Alan Schriesheim, PhD, Argonne National Laboratory, 11/1997.
> >8) Geoffrey Lean, Environment Editor, The Independent 01/09/2002.
> >9) Un debito senza Fondo, Report, RAI3, 08/12/1999. 10) Ann Pettifor,
> >Campagna Jubilee 2000, Londra, & International Cotton Advisory Committee,
> >rapporto 2002.
> >11) Campagna Stop Millennium Round, 15/11/2001.
> >12) Behind Consumption and Consumerism, Global Issue/ONU, 12/10/2002.
> >13) Vandana Shiva, Export at Any Cost, Znet, 14/05/2002.
> >14) Corporate Europe Observatory, Amsterdam.
> >15) I Globalizzatori, Report,RAI3, 09/06/2000.
> >16) a. Corporate Europe Observatory, Amsterdam.
> >b. I Globalizzatori, Report,RAI3, 09/06/2000.
> >17) The Federation of American Scientists, Arms Sales Monitoring,
02-2002.
> >18) Peter Hain, speech at the Royal United Services Institute London,
> >17/10/2002.
> >19) Dean Baker, Center for Economic and Policy Research, Washington DC.
> >20) a. Kevin Phillips, The Politics of Rich and Poor.
> >b. Homeless Oversight Committee.
> >c. NCCP, Columbia Univ.
> >d. Maria Scott, The Observer, 2002.
> >e. ISTAT.
> >f. HSBC.
> >g. Guardian Special Reports.
> >h. IMF World Economic Outlook 2001.
> >i. UNDP.
> >21) Giornalista del Wall Street Journal assassinato nel feb. 2002 da un
> >gruppo di terroristi pakistani.
> >(22) Thomas Friedman, NYT 16/02/2002.
> >(23) Un altro mondo in costruzione, Baldini & Castoldi, 2002.
> >(24) George Monbiot, Logic of Empire, 06/08/2002, & The Guardian 02/2002.
> >(25) Stephan Zunes, Foreign Policy in Focus, 03/10/2002.
> >(26) Report, E-conomy, 10/2000.
> >
> >
> >
> >Paolo Barnard è giornalista, ha lavorato per tutte le maggiori testate
> >italiane ed è autore di inchieste, fra cui I Globalizzatori - Un Debito
> >senza Fondo - Little Pharma Big Pharma - Perché ci Odiano - L'Altro
> >Terrorismo (REPORT, RAI 3), e della pubblicazione Due pesi due misure,
> >riconoscere il terrorismo dello Stato d'Israele.
> >
> >
> >sabato 4 dicembre 2004.
>
>
>
> Per annullare l'iscrizione a questo gruppo, manda una mail all'indirizzo:
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> Link utili di Yahoo! Gruppi
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