Autor: rafael@acrobax.org Data: Temat: [Incontrotempo] domande a san precario
segue un contributo ragionato e scritto da piu' mani, per rilanciare nelle liste
il dibattito sul 6, rispondendo alle domande inoltrate da benedetto.
1) Il rapporto tra l'azione di "autoriduzione" e la sua capacità >comunicativa. Provocatoriamente, bisognerebbe avanzare anche il tema
>del rapporto che si stabilisce tra i precari che la fanno e i precari
>che sono dietro le casse....
L'efficacia dell'azione al supermercato avrebbe dovuto rientrare in un
piano complessivo di strategia comunicativa condiviso...
gli obiettivi dell'azione, anche se disattesi, erano i seguenti:
1)colpire l'immagine dell'azienda che arricchisce solo chi gestisce i
profitti mentre precarizza i lavoratori, costringendoli a lavorare nei
giorni festivi. quindi esporre e denunciare la responsabilità di
multinazionali, catene commerciali e grandi brand nel precarizzare la
vita di tutti i lavoratori.
2) creare danni economici all'azienda, risignificando gli spazi
commerciali e rendendoli disfunzionali alla logica profitto/sfruttamento
bloccando le casse per il tempo necessario di riuscita della trattativa,
che consisteva nell'ottenere il 70% di sconto per tutti durante 1ora di
tempo, oppure negoziare (come seconda opzione)l'ottenimento di beni del
'paniere precario' distribuito all'interno del supermercato a tutti i
consumatori e clienti, come dono dell'azienda...
3)comunicare la natura dell'azione di 'contrattazione sociale' ai
lavoratori (precari e stabili) di panorama, ai consumatori e a tutti gli
'utenti-consumatori' presenti nel centro commerciale, spiegare chiaramente
che anche noi siamo prima di tutto lavoratori precari e che l'azione
avveniva in solidarietà con tutti i precari per denunciare la condizione
di sfruttamento e subordinazione che i precari devono subire nelle catene
commerciali. in questa ottica la comunicazione tra precari avrebbe dovuto
essere l'aspetto + importante dell'azione a panorama!
Inoltre l'obiettivo dichiarato 'dell'autoriduzione di massa' era quello di
rendere la lotta contro il caroeuro e la precarietà comunicabile, per
rompere la divisione con i 'consumatori' o 'l'utenza' e stabilire uno
spazio di dialogo e interessi condivisi e quindi anche di pratiche
condivise...
Il risultato sarebbe dovuto essere quello di cui parlava anche Roncone sul
corriere della sera in un intervista ad un lavoratore di Panorama: "altro
che no global, i clienti hanno assalito la merce come le cavallette"
4) rendere chiari gli obiettivi dell'azione a tutti e scegliere una
pratica in grado di attivare una dinamica di RIPRODUZIONE SOCIALE, al
contrario di un'azione esemplare che ha lo scopo di mostrare solo come le
cose andrebbero fatte, evitando di cadere nelle azioni-spettacolo che non
offrono nuovi modi di intendere la realtà e di cambiare la nostra vita
quotidiana (qui bisognerebbe fare una riflessione sull' incapacità di "gestire"
l'iniziativa secondo gli accordi condivisi durante la preparazione del 6...)
5) gestire in maniera condivisa e comune anche la comunicazione
post-azione sui media e verso l'esterno, cooperando in rete nel rispetto
delle differenze.
su alcuni punti nodali delle contraddizioni sociali nessuno si puo'
considerare autosufficiente, ciò significa avere anche una strategia
comunicativa comune e condivisa. Solo innescando un processo reticolare di
collaborazione avremo piu' speranze di dare un quadro piu' forte e
diffuso ai nostri conflitti.
L'incapacità di agire in Rete (era questa la vera scommessa della gap) è
stata la falla + grossa, visto che non siamo stati capaci di far emergere
l'eterogenea composizione sociale dei partecipanti all'azione, che
naturalmente non erano 'Disobbedienti' ma precari, occupanti di case,
studenti, migranti..e purtroppo di conseguenza la gestione della
comunicazione sui mainstream è stata accentrata, senza mandato
dell'assemblea metropolitana e i mainstream sono ricaduti quasi per
istinto pavloviano nelle soluzioni comode dei 'portavoci' e delle
etichette facili, riproducendo un g8 in miniatura.
>2) Cosa vuol dire immaginare una forma di lotta che incide sui rapporti di forza attuale a partire dal dato empirico che riguarda i precari:
diffusi e mobili sul territorio, esposti al ricatto e senza "luoghi
comuni" noti dove incontrarsi e condividere la propria condizione per
cercare di elaborare proposte, vertenze e forme di lotta adeguate a
quella parcellizzazione e principio di individualizzazione del rapporto
lavorativo che la legge 30 eleva a "condizione naturale" della
forza-lavoro....
Il percorso che ha portato alla costruzione della giornata del 6 è un
percorso fatto di conflitti, strategie di comunicazione esemplari e
soprattutto è un percorso di autorganizzazione del precariato sociale...il
6 si sono messi in comunicazione diversi percorsi di lotte che rivendicano
nuovi diritti producendo pratiche di liberazione d'autonomia in una
dimensione di riappropriazione: occupazione di case, autoriduzione di
trasporti e cultura, autogestione dei media, diffusione di materiali
protetti dal copyright...
il 6 si e' tentato anche di mettere in comunicazione le diverse forme ed
esperienze d'intervento territoriale come gli sportelli metropolitani che in
piu' parti stanno divenendo concreti punti di riferimento e di aggragazione
sociale contro la precarieta'. Sportelli metropolitani concepiti come strumento
di lotta e possibile spazio comune di soggettivazione. In definitiva come luoghi
dove è possibile sperimentare una prima forma di ricomposizione sociale a
partire dai bisogni e dai desideri comuni.
Sportelli metropolitani concepiti come uno strumento agile e flessibile,
modulato sugli interstizi della frammentazione metropolitana. Come la risposta
minimamente adeguata alle stratificazioni prodotte dalle privatizzazioni e
dalle speculazioni che hanno irregimentato e ridisegnato il territorio
metropolitano attraverso lideologia del profitto. Ovvero, in un contesto
dominato dai processi produttivi immateriali e dai velocissimi processi di
intellettualizzazione del lavoro, gli sportelli di lotta agiscono sul piano
dello scambio relazionale delle informazioni, producendo quelle forme di
conflitto e di cooperazione autonoma che si vanno attestando adeguatamente sui
livelli più avanzati della trasformazione e della ristrutturazione
capitalistica.
>3) Cosa significa un sistema di garanzie e diritti sociali per una forza
>lavoro gioco forza flessibile. E come immaginarli nell'epoca della
>cancellazione del welfare state....
Bisogna ribaltare la flessibilità e rompere la gabbia del ricatto, rendendo
la flessibilità non un ricatto ma una scelta..
i movimenti sociali di precari, intermittenti, migranti.. stanno
inventando pratiche di riappropriazione e forme di conflitto
riproducibili, mettendo in piedi nuove alleanze sociali e percorsi di
liberazione che rompano con la ricattabilità del bisogno.
Abbiamo davanti una precarieta' esistenziale contro la quale rivendicare
nuovi diritti dentro la riconfigurazione di un'avanzata cittadinanza
sociale. A partire da un reddito garantito e incondizionato, slegato dalla
prestazione lavorativa, attraverso una quota monetaria diretta e una
indiretta sotto forma di "servizi": casa, salute, saperi, trasporti, etc.
Un reddito di cittadinanza per combattere il ricatto e l'emarginazione,
ma anche e soprattutto per ricompensare la produttivita' permanente di cui
siamo quotidianamente portatori. Un reddito di mille euro al mese, per
tutti i disoccupati, precari, migranti e garantiti, per rifiutare il
lavoro e scegliere i desideri, per rifiutare la nocivita' e scegliere la
qualita' della vita, per rifiutare di lavorare per la guerra globale e
scegliere la cooperazione sociale...
>4) Si può parlare di precarietà solo in un'ottica lavorista classica,
>oppure bisogna partire dalla constatazione che l'erogazione della
>forza-lavoro investe facoltà dell'essere umano quali il linguaggio,
>capacità relazionali, inventiva, spirito innovativo....
la seconda: qualunque riflessione sulla precarietà rimane "monca" se non
include tra i suoi presupposti la presa d'atto che nel sistema economico,
almeno in occidente, la dimensione linguistica della produzione è tanto
importante quanto quella "materiale". In questo senso si fa spesso
riferimento a concetti come "lavoro immateriale" e "economia
dell'attenzione". All'interno di questo tipo di organizzazione economica
le nostre vite nella loro interezza producono valore: qualunque produzione
discorsiva, innovazione linguistica, pratica sociale o moda culturale
subisce una sorta di "privatizzazione", gli viene sovrapposta una marca
per venire rivenduta agli stessi che l'hanno prodotta. Non è più tanto una
questione di monopolio dei mezzi di produzione, quanto della capacità di
trarre profitto dalla creatività sociale diffusa, di trasformare in un
brand qualunque fenomeno prodotto dall'immaginario sociale. In questo
senso il lavoro creativo e immateriale diventa un aspetto centrale della
produzione. Ma in virtù della sua natura particolare il lavoro creativo è
un lavoro socialmente diffuso, collettivo e che nonostante la
riorganizzazione dei luoghi esplicitamente deputati alla produzione mirata
a irregimentare
tale aspetto, non è collocabile all'interno di un orario di lavoro
predefinito. Si tratta di una produzione collettiva sistematicamente
espropriata dalle imprese, dall'economia senza alcuna contropartita o
concessione di sorta a chi realmente, si tratta di un lavoro vero e
proprio ma che non è retribuito in nessun modo.
Una risposta a tutto questo è la richiesta di un reddito per tutti, ma non
sarebbe male cominciare a capire che per affrontare ciò non è il caso di
riprodurre le stesse dinamiche all'interno dei movimenti stessi, in cui
troppo spesso vengono messi dei brand sulle pratiche sociali e sui
linguaggi più innovativi. Il tutto a vantaggio dei padroni del brand e a
discapito
di quegli attivisti sociali che si vedono continuamente espropriati della
loro vita da coloro i quali parlano poi a nome degli espropriati. Insomma
se i portavoce vogliono continuare a trarre profitto in termini politici
dai percorsi altrui che almeno tirino fuori il denaro e paghino il
servizio elargito!