Autor: fabio raimondi Data: Asunto: [Cpt] I: Bozza documento del gruppo no-cpt del Tavolo migranti dei
social forum
Questa è la bozza del documento che verrà discussa durante il convegno che
si terrà a Lecce il 31 maggio-1 giugno 2003:
LUOGHI DI SCOMPARSA: immigrati e centri di detenzione
Sala Consiliare della Provincia (Palazzo dei Celestini), Via Umberto I -
Lecce
Organizzano: Tavolo migranti dei social forum, Tavolo migranti regionale
pugliese, Lecce social forum
Per informazioni logistiche e prenotazioni: leccesocialforum@???
In occasione del convegno, sabato 31 maggio, uscirà col quotidiano "il
manifesto" un inserto a cura del gruppo di lavoro contro i Cpt del Tavolo
migranti dei social forum dal titolo STORIE IN GABBIA.
Per il Tavolo migranti
Fabio Raimondi
Documento del gruppo no-cpt
del Tavolo migranti dei social forum
Il gruppo di lavoro contro i Cpt, costituitosi all'interno del Tavolo
migranti dei social forum per organizzare la manifestazione di Torino del 30
novembre 2002, ha lo scopo ultimo di operare, in accordo con altre
organizzazioni europee (come stabilito durante le giornate del Forum sociale
europeo di Firenze), per la chiusura definitiva di tutti i Cpt, per il
riconoscimento del diritto d'asilo e dunque per il diritto alla libera
circolazione delle persone, sulla base di alcuni elementi di analisi
programmatica.
1. Sin dal momento dell'apertura dei primi Centri di detenzione, con la
legge Turco-Napolitano, abbiamo denunciato come la loro esistenza fosse
possibile solo sulla base dell'istituzione di un doppio binario giuridico,
che prevede, accanto al diritto ordinario, spazi di eccezione riservati a
particolari categorie di persone. In tali spazi, che comportano una sorta di
extraterritorialità all'interno del territorio dello stato nazionale,
l'eccezione diventa la regola. La detenzione amministrativa nei Cpt è
l'istituto attraverso cui si è instaurata in Italia tale eccezione. Questa
pratica, come emerge da alcune analisi storiche, politiche e filosofiche, ha
dei precedenti già nel XIX secolo, ma è soprattutto nel XX secolo che è
diventata pratica politica predominante, dapprima nella gestione degli
apolidi nelle democrazie liberali e poi, a partire dagli anni '30,
nell'istituzione dei campi di concentramento nella Germania nazista.
Ricordare i precedenti storici dei Centri di detenzione che stanno
proliferando in Italia e in Europa non significa, ovviamente, promuovere un
discorso che confonda o peggio identifichi tali luoghi con i campi del
nazismo, ma denunciare che se i campi sono stati possibili nel passato e
ritornano ad essere possibili, ciò implica, oggi, l'istituzione di regole
diverse per italiani e stranieri. Non solo, significa anche denunciare che
lo sfondo politico da cui essi nascono si basa essenzialmente su una regola
fondamentale, quella dell'individuazione di una categoria di persone prive
di diritti, prive del diritto ad avere diritti, su cui il potere può
esercitarsi privo di ogni mediazione. Del resto, i quattro anni di
funzionamento dei Centri sono stati accompagnati, in Italia, da non pochi
episodi di violenza, alcuni dei quali finiti addirittura con la morte degli
immigrati detenuti in tali spazi. Significa denunciare, inoltre, tutte le
forme discorsive e di sapere che stanno a monte di tale pratica e che
vengono poi informate da essa. Quella, innanzitutto, dell'uso eufemistico
delle parole, di cui la parola assistenza, per indicare i luoghi di questa
particolare detenzione, è solo l'esempio più evidente. I centri di
detenzione sono, inoltre, luoghi della sospensione della politica, se con
spazio politico si intende anche lo spazio di visibilità in cui i soggetti
parlano e agiscono. Messe al di fuori del diritto e della politica, le
persone detenute nei Centri scompaiono e i luoghi di tale scomparsa
diventano laboratori di una "vita assistita" volti ad eliminare ogni
processo di soggettivazione o di singolarizzazione.
2. La Bossi-Fini (come già prima la Turco-Napolitano) dà una lettura
esclusivamente economicistica del fenomeno immigrazione riducendo
l'immigrato a merce, privandolo di ogni altra dimensione dell'esistenza. I
Cpt funzionano come strumento di controllo della forza-lavoro secondo le
esigenze dei padroni: sono l'arma di ricatto contro le richieste di
miglioramento delle condizioni complessive di lavoro e di vita da parte dei
lavoratori migranti (emersione dal nero, salari più alti, condizioni di
maggior sicurezza, diritto alla casa, versamento dei contributi
pensionistici, ecc.). Da un lato, sono una camera di decompressione del
mercato del lavoro, che permette un controllo della forza-lavoro (la loro
capacità di ricatto è assai poco simbolica: quando i lavoratori migranti
prendono la parola o la recessione incalza basta licenziarli e chiamare la
polizia), dall'altro, perpetuano un rituale di umiliazione e sfruttamento
del migrante, che mira a renderlo sempre più clandestino, debole e
ricattabile, nonché a isolarlo socialmente dalla rete della solidarietà
collettiva e degli affetti personali (quando ciò non sia già avvenuto
tramite la violenza che lo sradica dal proprio Paese e lo getta nelle
grinfie dei mercanti di schiave e schiavi). Precarietà che è l'altra faccia
della clandestinizzazione a cui si vorrebbe condannare il lavoro nel suo
complesso, rendendo innanzitutto gli operai, ma via via i lavoratori in
generale (italiani e non), sempre più flessibili, cioè precari e
clandestini, compresa la fascia di coloro che molti si ostinano a chiamare i
'garantiti'. In definitiva, essa punta a clandestinizzare tutti i lavoratori
migranti, regolari e non, e cerca di fare del lavoro-merce-migrante la leva
per una trasformazione complessiva del mercato del lavoro italiano, in linea
con le ristrutturazioni europee e con i dettati degli accordi di Schengen.
Attraverso i Cpt, la Bossi-Fini (come già la Turco-Napolitano) criminalizza
la miseria: nei Centri, infatti, finiscono immigrati che non hanno un
regolare permesso di soggiorno, cioè coloro che non hanno un regolare
contratto di lavoro, pur avendo magari un lavoro in nero. In questo modo si
costringe l'immigrato ad adattarsi al rito dello sfruttamento o a imboccare
le vie della criminalità. Criminalizzando la miseria si criminalizzano i
lavoratori migranti (disposti a tutto pur di lavorare!) e si istiga a un
nuovo tipo di razzismo. I Cpt sono l'emblema del modello segregazionista
che, nelle intenzioni dei governi di destra, dovrebbe caratterizzare la
società del prossimo futuro.
3. Le istituzioni totali sono luoghi chiusi e delimitati che stabiliscono
una differenza netta tra lo spazio del "dentro" e quello del "fuori",
identificando, attraverso regole di omogeneità sociale, gruppi di persone in
categorie altrettanto chiuse e delimitate. Tale sistema totalizzante e
"identificante" che ha caratterizzato e caratterizza l'istituzione
carceraria, l'ospedale psichiatrico e altri luoghi di reclusione, oggi
caratterizza anche l'istituzione Cpt. Utilizzati in primis come zone di
contenimento dei flussi migratori sulla base di problemi gestionali ed
emergenziali, i Cpt sono diventati in pochissimo tempo una regola, un
processo sistemico entro il quale attivare il passaggio dallo Stato sociale
allo Stato penale sino allo Stato emergenziale che consente, attraverso
l'uso della detenzione amministrativa o le politiche sicuritarie e
"preventive", di totalizzare la vita dei migranti che non hanno compiuto
nessun reato, per un determinato periodo di tempo. Ai pazzi, ai poveri, alle
prostitute, alle classi ritenute da sempre "marginali" e "pericolose" si
aggiungono ora anche i migranti i quali, oltre a subire gli esiti delle
politiche segregazioniste sulla base della loro "eccezionalità" giuridica
(non avere il permesso di soggiorno), devono subire anche l'umiliazione
dell'identificazione secondo l'appartenenza etnica. Il successo di parole
quali rischio e sicurezza ha consentito l'applicazione più o meno esplicita
delle procedure della "tolleranza zero", che consente di presidiare le coste
e di compiere retate attivando un meccanismo pervasivo di criminalizzazione
del migrante nell'opinione pubblica. Non è un caso che, accanto alla
reclusione dei migranti, si vedano avanzare disegni e proposte di legge che
azzerano alcuni presupposti importanti delle leggi Merlin e Basaglia. La
situazione italiana è lo specchio della diffusione globale di politiche
neoliberiste che, oltre a produrre la cosiddetta devianza, compresa quella
dei migranti (attraverso la disoccupazione di massa, i licenziamenti facili
e la precarizzazione del lavoro, i tagli alle spese per la sanità, per
l'istruzione e per la casa), identificano e sospendono la vita stessa nelle
nuove frontiere delle istituzioni totali. I Cpt, le strade, le coste, gli
aeroporti, la devianza intesa come identità indotta a esser tale dai
meccanismi d'inclusione e esclusione voluti dai governi, raffigurano le
nuove frontiere delle istituzioni totali, mentre l'implosione di alcuni
ospedali psichiatrici giudiziari e delle carceri rappresenta il logorio di
un sistema di reclusione vecchio nelle dinamiche interne e nuovo per quel
che riguarda il colore e la cultura dei suoi abitanti. Totalizzare le vite
entro spazi altrettanto totali risponde, infine, a un disegno politico
repressivo preciso: impedire qualsiasi processo di soggettivazione,
qualsiasi possibilità di presa di parola diretta rispetto all'azzeramento,
altrettanto totale, dei diritti primari delle persone e dei cittadini.
4. In tali strutture l'accesso alle associazioni e agli enti di tutela è
ostacolato soprattutto se avvertito come potenzialmente conflittuale. La
condizione di trattenimento e in taluni casi di segregazione incide in modo
molto pesante sulla possibilità effettiva del richiedente asilo di poter
adeguatamente motivare le ragioni che stanno alla base della sua domanda (si
pensi alla difficoltà di reperire documentazione di supporto, o a tutta la
dimensione psicologica della rielaborazione del trauma subito dal
richiedente che è stato vittima di tortura o di trattamento disumano e
degradante). All'esito negativo della valutazione della domanda che rischia
di essere sommaria, segue la parte più aberrante, ovvero il fatto che
l'eventuale presentazione del ricorso (in forme e con procedure non chiare e
che, forse verranno definite) non sospende l'esecuzione del provvedimento di
allontanamento al territorio nazionale. La mancanza di un effetto sospensivo
del ricorso giurisdizionale toglie un'ulteriore possibilità (l'ultima) per
il richiedente asilo di veder esaminata la propria richiesta di protezione
(accertamento della sussistenza del diritto soggettivo all'asilo) di fronte
a un'autorità terza e indipendente da quella che ha assunto la prima
decisione negativa. Si vede quindi come elementi quali: trattenimento con
caratteristiche di possibile segregazione; impossibilità di godere di una
tutela legale; mancanza di trasparenza della procedura; esame veloce e
sommario delle domande; sottrazione della possibilità che un'autorità terza
e indipendente possa riesaminare il caso; sottrazione della vittima di
possibili abusi tramite il suo veloce allontanamento, siano tutti elementi
che delineano un quadro coerente con gli elementi che caratterizzano
un'istituzione totale.
5. Con riferimento alle donne migranti, i Cpt rappresentano solo la punta
più avanzata di un modello di respingimento nel privato e riproduzione
dell'invisibilità che informa la condizione di tutti i migranti e delle
donne in particolare. All'invisibilità pubblica - determinata dalla
clandestinità e da un livello di discrezionalità amministrativa che, nella
gestione dei flussi migratori, si rivela strumentale al comando dei corpi,
totalmente oggettivati perché possono, indifferentemente, essere respinti
alle frontiere, confinati nei campi profughi, nei Cpt, o messi a valore nel
mercato del lavoro del paese d'arrivo - si aggiunge infatti l'invisibilità
domestica e il respingimento nella famiglia patriarcale. La sanatoria
conclusasi in novembre, specificando la posizione di colf e badanti, è
l'esempio più lampante del criterio sessuato di divisione del lavoro che
informa la Bossi-Fini, che risponde alla destrutturazione del welfare
attivando un processo di "sostituzione", che consente la gestione salariata
delle necessità riproduttive attraverso l'asservimento delle donne migranti.
Legando a doppio filo la posizione della donna a quella del maschio
capofamiglia, la legge ne definisce lo status a partire dal ricongiungimento
familiare, ratificando così il ruolo della famiglia come veicolo di un
diritto che assume sempre più i tratti di un privilegio. Il ricongiungimento
familiare è consentito solo laddove sussista un rapporto matrimoniale, e in
questo modo la dipendenza della donna dal proprio marito, soprattutto se
ricongiunta, viene istituzionalizzata.
6. Le esperienze maturate negli anni passati ci fanno considerare essenziale
la realizzazione di gruppi di monitoraggio attivo nei centri. Escludendo
qualsiasi volontà o disponibilità alla collaborazione con gli enti che li
gestiscono, la presenza di gruppi di lavoro che periodicamente siano messi
in condizione di verificare quanto avviene in ogni centro, può rappresentare
una delle modalità con cui se ne dimostra la totale irriformabilità. Ad oggi
l'ingresso nei Cpt è condizionato alla presenza di parlamentari o
consiglieri regionali. Riteniamo necessario operare una pressione politica
affinché questo diritto venga esteso ad organismi indipendenti e svincolati
da qualsiasi difficoltà o disposizioni governative. I gruppi di monitoraggio
devono potersi muoversi in totale autonomia, rapportarsi e aprire vertenze
con le istituzioni locali e nazionali, promuovere il lavoro degli
amministratori locali e dei parlamentari, garantire - in caso di carenza o
di inosservanza dell'ente gestore - assistenza legale e socio sanitaria ai
reclusi, denunciare ogni forma di abuso e di maltrattamento subita dagli
stessi, garantendo inoltre, periodicamente, la realizzazione di dossier
informativi. Non si tratta di ragionare attorno a esperienze più o meno
brutali o disumanizzanti né di limitarsi alla denuncia dei casi più
eclatanti di abuso (è infatti assodato che in tali istituzioni il rispetto
dei diritti umani è negato per principio), ma divenire granello di sabbia
che ne renda difficoltoso il funzionamento a regime. Pestaggi, rivolte, atti
di autolesionismo, tentativi di fuga, vanno documentati proprio allo scopo
di confermare alla pubblica opinione l'esistenza di luoghi in cui il diritto
è sospeso e discrezionale. A ciò s'aggiunga che le modalità con cui si
determina la loro gestione sono affidate a una convenzione che il ministero
dell'Interno stipula con un ente gestore, tramite una normale gara
d'appalto. Lo Stato versa una somma quotidiana per ogni ospite. Inevitabile
che questo abbia scatenato appetiti d'ogni tipo: la gestione di un centro
conviene, le spese reali sono basse, spesso molti dei servizi promessi non
vengono elargiti e scarso è il controllo sulla qualità dei prodotti
utilizzati. Il risultato è visibile nel sovraffollamento delle strutture,
nel degrado in cui versano, nella scarsa professionalità del personale
preposto (spesso volontari o soci lavoratori di cooperative sorte ad hoc o
riciclatesi per l'occasione). Denunciare tale forma di speculazione non
significa accettarne o augurarsi una gestione più oculata, ma sottolineare
che queste istituzioni sono utili solo a rimpinguare le casse di enti,
diocesi e cooperative. Gare d'appalto e convenzioni meriterebbero poi
ulteriori verifiche. Il monitoraggio dei Centri, che dovrà continuare nei
prossimi mesi, e per il quale chiediamo anche la collaborazione dei
parlamentari e delle associazioni, ha inoltre lo scopo di cercare di capire
più dall'interno il funzionamento dei Centri stessi, le modalità della loro
gestione, i linguaggi e i saperi che i gestori mobilitano per giustificarli,
così come quello di raccogliere tutti i dati sul loro funzionamento a
partire dall'anno della loro istituzione, nel tentativo di rompere quel muro
di non trasparenza che sinora è stato modalità comune tanto dei gestori dei
Centri quanto delle prefetture e del Ministero dell'interno. Ai
parlamentari, alle associazioni, ai sindacati, chiediamo di impegnarsi
insieme al nostro gruppo affinché tali dati siano resi finalmente
disponibili, tanto per quanto riguarda il passato, quanto per il futuro. Si
chiederà ai gestori dei Centri, così come le Prefetture e il Ministero
dell'Interno, di fornire, per ogni Centro, i dati della gestione mensile, in
modo da poter controllare e denunciare tutti i cambiamenti che di volta in
volta si attuano rispetto alle vere funzioni dei Centri. Questo non
significa voler collaborare con chi ha scelto di operare all'interno dei
Centri. Non vogliamo l'umanizzazione della loro gestione, ma la loro
chiusura.
Gruppo no-cpt del Tavolo migranti dei social forum