[NuovoLaboratorio] Testo intervento 20 marzo

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Autor: laura testoni
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Asunto: [NuovoLaboratorio] Testo intervento 20 marzo
Su proposta di Gianni Ferretti spedisco in lista l'intervento pronunciato a nome
del coordinamento Ferimiamo la guerra - Genova durante la manifestazione del 20
marzo
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Giovedi 20 marzo 2003 - mattina successiva al primo attacco contro l'Iraq -
Piazza De Ferrari - Genova
Sciopero contro la guerra

Testo dell'intervento a nome del
Coordinamento Fermiamo la Guerra - Genova
letto di fronte a 40.000 persone

Quello che noi tutti temevamo è successo. Da oggi una nuova guerra insanguina il
nostro pianeta e si va ad aggiungere all'altra settantina di conflitti più o
meno dimenticati in atto.
Anche questa mieterà vite umane. Non importa quante.
Questa guerra però, a differenza delle altre, assume significati particolari,
terribili.
Non mi riferisco alle ragioni ufficiali del conflitto: Saddam è sicuramente uno
dei tanti dittatori in circolazione e certamente si è macchiato di crimini
contro l'umanità e, in particolare, di crimini contro il popolo curdo e contro
le minoranze religiose e politiche irachene.
Non mi riferisco neppure alle ragioni che miliardi di persone ritengono più
verosimili: tutte le guerre, che non siano di liberazione, hanno e hanno avuto
alle spalle ragioni economiche. Che si chiamassero petrolio o conquista di nuovi
mercati, poco importa.
Questa guerra è particolare principalmente per due motivi.
E' la prima delle guerre "preventive", figlia illegittima di altri morti, quelli
dell'11 settembre.
La guerra preventiva giustifica tutto; non necessita di giudici superiori,
soprattutto se invocata dall'unica potenza militare ed economica oggi esistente.
La guerra preventiva non ha termine: lo hanno affermato le stese persone che l'
hanno teorizzata.
Non ammette mediazioni: trasforma le differenze culturali, politiche, religiose
in nemici da abbattere. E questo non solo sul piano internazionale, ma anche
nella vita quotidiana di tutti noi: l'altro, il diverso, è una persona della
quale sospettare. L'immigrato, il musulmano, l'antagonista sono potenziali
terroristi. Null'altro.
La guerra preventiva è la negazione del confronto democratico; spodesta la
politica intesa come luogo di soluzione dei conflitti sociali e al suo posto
promuove la violenza.
Proprio qui, a Genova, ne abbiamo avuto una triste anticipazione. Oggi è il 20
marzo: permettetemi di ricordare qui, per un secondo, Carlo Giuliani.
Proprio perché negazione della politica, la guerra preventiva, prima ancora di
scatenarsi sotto forma di bombe intelligenti e di morti innocenti, ha già
mietuto la sua prima vittima: l'ONU.
Già da molti anni i centri di potere decisionale erano altrove. Basti ricordare
che NON UNA delle risoluzioni delle Conferenze dell'ONU (Kjoto, Johannesburg,
Pechino, ecc.) sono state recepite da FMI, Banca Mondiale, WTO, o che la FAO,
per gli aiuti umanitari ricorreva ultimamente alle sponsorizzazioni delle
multinazionali, magari quelle che inviano il latte in polvere a chi non ha acqua
potabile.
L'ONU, comunque, almeno a livello di immagine, manteneva il suo ruolo di
mediazione politica.
Ora non più. La guerra in Iraq lo ha spazzato via. E' svuotato di ogni suo, più
o meno reale, prestigio. Lo stato delle cose esistente fino a ieri è stravolto.
Non tutti lo rimpiangono. Non lo rimpiangono le vittime delle guerre
dimenticate; non lo rimpiange chi ha la disgrazia di nascere in quell'80% del
pianeta che ha a disposizione il 18% delle risorse; chi è costretto ad emigrare
per sopravvivere o chi, nel ricco mondo occidentale, non riesce a programmare il
proprio futuro, una propria famiglia, perché stretto tra precariato e
flessibilità.
Ma è altrettanto certo che il mondo disegnato da Bush, Blair, Berlusconi e dagli
altri comprimari è sicuramente peggiore.
Come scardinare questa morsa? Come lottare per quel mondo diverso?
La strada è ovviamente lunga ed impegnativa ma certamente deve obbligatoriamente
passare attraverso la sconfitta della cultura della violenza, della cultura
della guerra.
I milioni di persone che hanno detto NO alla guerra illegittima (come se ci
fossero delle guerre legittime) non lo hanno fatto solo per il sacrosanto dovere
di provare a salvare delle vite umane. Lo hanno fatto anche per loro stessi, per
il loro futuro, per la democrazia.
E per difendere le nostre ragioni usiamo pacificamente quello che abbiamo a
disposizione.
La Costituzione e il suo articolo 11, che va usato non solo per non mandare
militari in Iraq o per non concedere basi e spazi aerei a chi ci va, ma anche
per non mandare ditte italiane in un fantomatico protettorato
iracheno-americano, esito del dopoguerra.
La Costituzione non si svende per un barile di petrolio.
Usiamo i nostri corpi, in modo non violento, in operazioni di disubbidienza
civile generalizzata. E qui esprimiamo solidarietà a chi ha bloccato i treni e,
soprattutto, alla pacifista americana, morta per difendere una casa palestinese
e, più in generale, quel poco di civiltà che ancora si oppone allo strapotere
militare ed alle strategie di morte del governo israeliano.
Facciamo crescere il movimento contro la guerra. Ogni lavoratore, ogni cittadino
deve sentire il dovere di comunicare agli altri la propria avversione alla
guerra.
Usiamo la nostra intelligenza. Chiediamo che la nuova Carta Costituzionale
europea contenga il rifiuto della guerra ed il diritto alla pace. Che le armi di
distruzione di massa vengano poste al bando ovunque e non solo in Iraq. Che le
spese per gli armamenti vengano dirottate sullo stato sociale, sui servizi alla
persona; che vengano usate per riconvertire le industrie belliche. Non si uscirà
da questa spirale di violenza finché ambiente e lavoro, pace e lavoro, non
diverranno sinonimi.
Come movimento che, ricordo, è in piazza da anni non solo contro questa guerra
ma anche contro le guerre precedenti, magari travestite da missioni umanitarie,
come movimento ci ascriviamo il risultato di aver condizionato la posizione di
molti Stati che, in seno all'ONU, hanno dichiarato la loro contrarietà all'
intervento. Forse abbiamo anche evitato un intervento militare diretto in Iraq.
Il milione di Firenze, i 3, 4 milioni di Roma erano sicuramente tanti anche per
i sondaggisti di Berlusconi.
Ma se è vero quello che dice un autorevole giornale americano, che le
superpotenze attuali sono 2, gli USA e l'opinione pubblica, non dobbiamo
fermarci.
Invitiamo tutti a partecipare alla nuova giornata internazionale contro la
guerra, che sarà presto convocata. Chiediamo uno sciopero generale che blocchi
realmente l'Italia. Ma invitiamo tutti a partecipare anche a quella miriade di
iniziative che metteremo quotidianamente in campo nei quartieri come nei piccoli
comuni.
Dobbiamo arrivare a discutere, a ragionare con ogni cittadino, con ogni
lavoratore. E' questa la nostra arma.
Siamo già maggioranza, in Italia e nel mondo. Per far vincere la pace, per
sconfiggere l'imbarbarimento delle relazioni tra Stati, tra popoli, culture,
religioni, generi e persone dobbiamo, ora, diventare maggioranza rumorosa.
Questo governo fantoccio deve restare assordato. Non deve avere dubbi sulla
volontà, sulle intenzioni della stragrande maggioranza degli italiani.
La manifestazione, lo sciopero di stamani deve rappresentare solo l'inizio di
una mobilitazione generalizzata.
Il Coordinamento di Fermiamo la Guerra, il movimento, faranno la loro parte.
Siamo sicuri che i lavoratori, i sindacati confederali e di base ne diverranno
protagonisti.