Autor: Tuula Haapiainen Datum: Betreff: [Cerchio] x Ivan, Paolo e Casarini & Co.
Cominciamo dal maschile....e dalla nomratività della virilità che nel
movimento vien fuori da tutte le parti..e che impernia di sé la buona parte
delle visioni...
STEFANO CICCONE: RIPENSARE IL MASCHILE OLTRE LA POLARITA'
NORMA-TRASGRESSIONE
[
Stefano Ciccone, impegnato da sempre nella riflessione e
nell'agire per la pace e i diritti umani, partecipa da alcuni anni ad una
rete informale di riflessione sul maschile e di iniziativa politica di
uomini su temi inerenti le relazioni tra i generi e la rimessa in
discussione dei modelli normativi di virilita']
Mentre revisiono questo testo la televisione rimanda immagini di massacri e
insensate rappresaglie, i commentatori ripetono le giustificazioni
dell'inevitabilita' della guerra ed elencano i mutevoli obiettivi
dell'azione militare ma non riescono a nascondere l'immagine di due bambini
afgani menomati dalle bombe occidentali; e questa notte migliaia di civili
palestinesi innocenti subiranno la brutale rappresaglia ordinata dal
criminale di guerra Sharon per il criminale gesto suicida contro civili
israeliani innocenti ad opera di terroristi di Hamas.
Le regole della guerra come nobile arte di confronto virile si rivelano
nella loro vera natura di macelleria di civili. Sempre piu' le guerre
moderne uccidono civili, dopo aver avvelenato le relazioni tra le persone e
le coscienze, sempre piu' spesso tornano a mescolare appartenenze arcaiche
con moderni strumenti tecnologici di morte.
Verrebbe da dire che attardarsi a riflettere sul maschile sia una colpevole
divagazione di fronte alle urgenze della storia, alla ridefinizione di
poteri e relazioni a dimensione mondiale, al degrado delle democrazie a cui
assistiamo.
Eppure trovo proprio nella riflessione sul maschile uno spunto per ascoltare
con orecchie diverse le parole della televisione e per pensare possibile
un'alternativa.
La guerra come estrema trasgressione e nello stesso tempo estrema conferma
di un ordine sociale e simbolico che ad ogni crisi sembra riaffermare la
propria forza. Proprio quando a noi appare un residuo del passato riemerge
nei campi profughi e nelle stanze buone delle democrazie occidentali la
retorica della patria, dell'onore, la demonizzazione del nemico e dunque
delle differenze al proprio interno, la riduzione del dubbio a tradimento o
oggettiva complicita' con il nemico.
La guerra come inevitabile intervento regolativo di un mondo impazzito ed in
preda a conflitti arcaici incomprensibili.
La guerra fatta da uomini che si rappresentano come difensori dell'onore dei
padri, custodi della purezza del sangue e delle tradizioni ma anche da altri
uomini convinti di essere portatori di una razionalita' astratta che afferma
la propria superiorita' proprio per essersi affrancata dalle pulsioni del
corpo e della natura, per essere portatrice di regole e tecniche valide ad
ogni angolo della terra.
La modernita' si presenta fino in fondo come luogo di tensione del maschile:
frutto del mito razionale di emancipazione dell'individuo astratto e
dall'altro crescita di istituzioni che mettono in discussione i modelli di
genealogia maschile basati su saperi resi obsoleti dalla mobilita' sociale e
dall'innovazione tecnologica.
Insomma la guerra che torna nella nostra quotidianita' e che torna ad essere
descritta come ineluttabile, "normale", ha molto a che fare con la storia
degli uomini e il loro collocarsi entro la polarita' di ordine e
trasgressione. Una polarita' che attraversa i corpi, li reinterpreta, li
ridisegna. E proprio il corpo maschile, le sue pulsioni e la loro
regolazione, i suoi limiti e le protesi simboliche, razionali o tecnologiche
per rimuoverli, credo sia al fondo di questa tensione. Una tensione che mi
appare sempre piu' nella sua carica distruttiva ma anche al tempo stesso
nella sua potenza e nella forza seduttiva che ancora riesce ad esercitare su
milioni di uomini (1) ad ogni latitudine geografica e culturale.
*
Ma cerco di riprendere con ordine il filo del rapporto che lega la virilita'
col tema della trasgressione.
La virilita' e' innanzitutto un modello normativo a cui ogni uomo deve
rapportarsi pena non il suo successo, o la sua gratificazione, ma la sua
stessa identita'.
Quale uomo non si e' sentito incalzare sin da piccolo ad essere un uomo? A
quanti non e' stato chiesto con ostentata delusione se per caso non fossero
delle femminucce per il fatto di piangere? Tutti hanno conosciuto la fatica
di controllare di continuo il proprio grado di approssimazione ad un modello
di virilita' tanto indefinito quanto ferreo nella capacita' di esclusione.
Ed anche lo scherno, quando non la discriminazione, verso gli omosessuali e'
un continuo monito verso ogni uomo, un avvertimento dell'abisso in cui
potrebbe precipitare chi non corrispondesse al modello di virilita', una
minaccia per chi volesse trasgredire ai canoni della mascolinita' dominante.
Ma se da un lato la virilita' agisce come modello normativo e la minaccia
all'identita' verso ogni uomo che non corrisponda a cio' che ci si aspetta
da lui e' sempre incombente, la "trasgressione" appare come parte
costitutiva dei processi di definizione della virilia' che si sostanzia
anche con la rappresentazione di una natura maschile che sfugge ai vincoli
ed alle regole sociali (2).
I maschi devono essere esuberanti, i loro corpi devono mal sopportare le
angustie degli spazi, dei banchi scolastici, hanno bisogno di abiti comodi
che permettano di essere scomposti. Devono fare battute volgari, devono
ubriacarsi, calarsi (3), mangiare eccessivamente, fare giochi pericolosi,
godere nello sfidare i limiti ed il rischio.
Questo apprendistato giovanile (condito anche da comportamenti sessuali
"estremi" ed eccessivi o dal loro semplice vagheggiamento) portera' ad
un'eta' della maturita' in cui le trasgressioni o gli eccessi saranno
relegati a momenti marginali (magari consumati lungo i viali delle stazioni
una volta a settimana, o in qualche serata tra uomini, o in qualche litigio
a un semaforo per uno sgarbo) per far posto alla qualita' virile del
controllo, dell'autoregolazione, dell'emancipazione dalle emozioni (4).
Quelle emozioni che tanto segnerebbero i comportamenti femminili fino a
renderli inaffidabili e incapaci di autonomia e serenita' di giudizio.
L'esuberanza del corpo trovera' istituzioni di disciplinamento dei corpi
maschili: il servizio militare impone un'uniforme ed al tempo stesso insegna
il processo di delega della propria identita' e responsabilita' al gruppo o
al capo, la ripetitivita' del lavoro imporra' al corpo vincoli forse ancora
piu' pesanti.
La trasgressione collettiva degli ultra' negli stadi, l'esperienza quasi
fusionale di rimozione dei limiti del proprio corpo nello scontro con la
massa avversaria e' al tempo stesso conformismo di gruppo e "fedelta'".
Anche un film che ha segnato il mio immaginario come quello di molti della
mia generazione, Animal house, ripercorre ironicamente questo modello.
Esperienze di subalternita' e al tempo stesso domande di senso e ricerche di
liberta' che non trovano parole nuove per dirsi.
Questa polarita' tra generazioni non e' una semplice sequenza temporale di
esperienze diverse ma e' una polarita' interna al maschile che continuamente
ridisloca identita' individuali e collettive. Produce una forma di
trasgressione che riconosce un ordine, che lo conferma, che ne rappresenta
un'articolazione necessaria.
Non e' un caso che nella destra sciovinista e nazionalista questa domanda
d'ordine e fedelta' alle tradizioni patrie ed il mito dell'individuo ribelle
alle regole ed ai conformismi borghesi si intreccino non solo culturalmente
ma anche nei processi storico politici.
Non ho ne' lo spazio ne' la competenza per sviluppare un'analisi del
rapporto tra identita' maschile, nazionalismi, modelli di appartenenza
etnica e pensiero reazionario, come semplici esempi credo possa essere utile
notare come il libro di George Mosse su sessualità e nazionalismo (5) abbia
come sottotitolo Mentalita' borghese e rispettabilita', o che Angus McLaren
scelga di intitolare il suo testo su "l'identita' maschile tra ottocento e
novecento" Gentiluomini e canaglie (6).
Quello che voglio chiedermi e' dove si intreccino le diverse significazioni
della tensione tra norma e trasgressione, tra conformismo ed enfatizzazione
del gesto estremo individuale: rischio del pericolo, eccesso, perdita di
controllo, sovversione delle regole linguistiche.
Dove nasce questo bisogno di messa alla prova del proprio corpo?
Un volantino di un movimento cattolico studentesco sovrapponeva la frase
"esistere vuol dire appartenere" ad un'immagine di giovani isolati tra loro
su una grande scala di marmo. Rappresentava in modo plastico la condizione
di solitudine e la domanda di senso a cui logiche - appunto - di
appartenenza proponevano una soluzione.
Perche' questo bisogno di appartenenza? E perche' esercita sui maschi di
ogni eta' e ogni luogo un cosi' forte richiamo?
Credo esista nella costruzione del corpo maschile un nodo profondo che
accomuna queste domande: un corpo rispetto al quale il maschile appare aver
ingaggiato una guerra per superarne i limiti, un corpo che ci porta a
definire la nostra identita' fuori di noi, che ha prodotto l'illusione di
poter costruire soggettivita' a prescindere dalla dimensione della
corporeita' percepita come luogo di instabilita' dell'identita'. La
rappresentazione dello scacco del corpo maschile, una elaborazione che
agisce nell'immaginario rielaborando dati biologici come l'impossibilita' a
generare, credo abbia fondato una identita' del maschile continuamente
sottoposta ad una tensione "fuori di se'" alla ricerca di verifiche.
*
"Felice chi e' diverso
essendo egli diverso
ma guai a chi e' diverso
essendo egli comune".
Non so se questa poesia di Sandro Penna volesse rappresentare cio' che le ho
sempre attribuito ma le poesie piu' di altro si prestano ad essere
"distorte ed usate da noi lettori.
Nei tanti livelli di lettura che permette io ci ho voluto vedere anche una
continua domanda che costringe ad andare oltre l'autocompiacimento
dell'"essere contro" ed a guardare senza accondiscendenza le sotterranee
complicita' che legano spesso movimenti di opposizione all'universo che
tentano di porre a critica.
La pervasivita' di un modello che attraversa culture che si pongono
all'opposizione e' rappresentata ad esempio dall'immagine del film Novecento
in cui il padre della famiglia proletaria appare cosi' prossimo e simile al
patriarca proprietario pur nella irriducibile conflitto tra oppresso e
oppressore.
Anche il bel libro di Sandro Bellassai sulle rappresentazioni dei ruoli e
dei rapporti di genere nel PCI degli anni '50 (7) illustra come sia
difficile per un partito che si propone per molti versi come "societa'
altra" e che si candida a rappresentare un'alternativa di sistema
destrutturare i modelli di "rispettabilita'" e trasgressione tradizionali.
L'uomo comunista, pur impegnato in una sincera lotta per l'emancipazione
femminile e contro lo sfruttamento tra i sessi, e' per molti versi il
maggior difensore di un modello di autocontrollo virile a fronte di una
degenerazione dei costumi borghese.
Questa prossimità con modelli tradizionali di virilita' l'ho sentita ancora
oggi in tutto il suo stridore quando molti uomini di un movimento che
sceglie di dire che "un altro mondo è possibile" (8) "giocavano alla
guerra". Non rompendo le vetrine ma inseguendo una strategia di
legittimazione basata sul mettere in scena uomini in divisa con i loro scudi
contrapposti ad altri con divise diverse ma con scudi speculari a
distinguere i due campi, che paiono giustificarsi a vicenda in un gioco di
rimandi di identita' amplificati dai media e osservanti lo stesso ordine
simbolico. Un rincorsa esplicita alla simmetria con le forme e degli
eserciti giunta alla "dichiarazione di guerra al g8", esito plastico della
perpetuazione di vecchie culture gerarchiche e di potere che tradiscono la
subalternita' alle logiche patriarcali del pensiero unico, e la cui
efficacia politica - al di la' della conquista di qualche copertina - e'
tutta da verificare.
Ho scelto, con altri, di pormi "lontano dai militari e da chi li imita"
seguendo percorsi paralleli di critica della politica e delle sue forme, dei
rischi di subalternita' alle culture dominanti ed ai modelli di dominio e
gerarchia che anche movimenti antagonisti rischiano di riprodurre anziche'
di sovvertirne le regole. Ma il fatto per me nuovo e' stato di farlo in
quanto uomo, ed affermando la valenza politica di questa collocazione.
*
La "trasgressione", dunque, mi appare spesso come una scorciatoia, una
conflittualita' in libera uscita che si limita a frequentare gli spazi
concessi per l'ora d'aria pronta a rientrare nei ranghi o a confermare la
necessita' delle leggi che regola il proprio campo e quello del potere
contro cui si e' scagliata.
Ma, appunto, anche chi si pone come "anti sistema" sembra subire la
seduzione di modelli identitari non riducibili al maschile ma che la lettura
critica della maschilita' mi fa vedere in modo piu' chiaro, direi più
stridente.
Trasgredire alle regole di solidarieta' maschile vuol dire anche non
concedere un sorriso complice o compiaciuto quando si incontra lo sguardo di
un altro uomo dopo il passaggio di una donna.
Il percorso di riflessione e di presa di parola pubblica sul maschile
avviato in questi anni tra uomini al quale partecipo puo' essere anch'esso
letto come un atto di trasgressione, di rottura di una complicita' maschile
su piccoli e grandi aspetti dei processi di costruzione dell'identita' e di
riconoscimento reciproco (9).
Oggi posso dire che anche questa rottura e' maturata diventando percorso
collettivo e quindi articolandosi, costruendo una nuova comunicazione
E' ormai una realta' consolidata la rete di relazioni, di parole prodotte
collettivamente a cui voglio dare valore (10). Non una trasgressione
individuale, con tutte le ambiguita' che cio' puo' comportare, ma il
riconoscimento della costruzione di uno spazio collettivo.
In questi anni ho spesso avuto il dubbio di oscillare tra un'enfatizzazione
ingiustificata di una storia individuale e la produzione di
universalizzazioni poco verificabili. Quasi poco dicibili. Molte volte ho
vissuto la difficolta' di spiegare questa riflessione senza la sensazione di
esporre una stranezza.
La costruzione di uno spazio di comune tra uomini mi ha aiutato ad andare
oltre il limite della trasgressione ed a cogliere forse in modo piu' pieno
il senso del partire da se' che non e' ne' il fermarsi alla propria
esperienza assolutizzandola ne' cercare una impossibile corrispondenza ma
scoprire che le singolarita' e la loro irriducibilita' messe tra loro in
relazione possono costruire un senso che le risignifica, che propone ad
ognuno di fare un'altra esperienza della propria storia e di dare alla
propria esperienza il valore di occasione per leggere le storie degli altri.
*
Il nostro gruppo e piu' in generale la rete che si e' costituita ormai negli
ultimi due anni sono caratterizzati da una grande eterogeneita' di
esperienze, di eta' e culture.
Un'eterogeneita' che riguarda anche scelte sessuali o "modi di interpretare"
il proprio essere uomini. Ci sono padri e ci sono figli, uomini
"responsabili" e altri che sfuggono ruoli e responsabilita'.
Ci sono uomini che amano le donne e uomini che amano altri uomini, uomini
contenti del proprio corpo e altri che difficilmente riescono ad accettarlo,
laici e religiosi, politicizzati e delusi.
Eppure ho la sensazione che queste siano diverse coniugazioni di una comune
esperienza. Per me non e' stato del tutto banale scoprirlo. Credo che, ad
esempio, questo suggerisca la possibilita' e forse la necessita' di un
confronto ed un percorso comune tra uomini omosessuali ed eterosessuali
perche' accumunati dall'esperienza di un corpo che ognuno risignifica in
modo diverso ma che rappresenta per tutti un dato imprescindibile.
La scarsa articolazione di una riflessione collettiva degli uomini sulla
propria esperienza sessuata ha finora fatto si' che ogni intervento
assumesse un carattere generico. Come se si dovesse, e come se fosse
possibile, parlare "del maschile" senza aggettivi, senza specificazioni o
ancoraggi alle esperienze individuali ed all'irriducibile differenza
rappresentata dalle individualita'.
E questo ha portato con se il rischio di un continuo fraintendimento: a
rischio di un eccessivo schematismo credo sia importante chiarire che ogni
riflessione non puo' che essere riferita alla parzialita' della propria
esperienza individuale e di come questa si sia intrecciata con una
rappresentazione storica del maschile.
Giungere a costruire una posizione politica maschile vuol dire dare conto di
questa articolazione.
Nel confronto che ormai in modo stabile sperimento nel gruppo di uomini con
cui condivido un percorso di riflessione ho scoperto che molte delle
rappresentazioni su cui ho costruito la mia elaborazione su questi temi
negli scorsi anni e' spesso molto legata alla mia esperienza personale e che
spesso altri hanno costruito interpretazioni e modelli diversi per narrare
il proprio rapporto con l'essere uomini.
Ma al tempo stesso ci troviamo a scoprire insieme che queste differenze non
inficiano la possibilita' di un discorso comune.
Ho, oggi posso dire abbiamo, scelto di interpretare il percorso di
distanziamento dai modelli e comportamenti tradizionali dell'universo
maschile non come negazione e rimozione ma come "attraversamento". Abbiamo
cioe' tentato di evitare una lettura "ideologica" e riduttiva delle
relazioni sotterranee tra il nostro immaginario, l'idea di noi che ci siamo
costruiti ed il complesso universo di regole, aspettative e modelli che
"costruiscono" la mascolinita'.
Vuol dire riconoscere in noi aspetti che ci accomunano all'esperienza di
molti altri uomini, ascoltare questi aspetti della nostra esperienza
interiore senza rimuoverli frettolosamente e senza schiacciarli in una
dinamica di colpevolizzazione e connotazione negativa.
*
Note
1. AA. VV., La fine del patriarcato, "Via Dogana", n. 23, settembre/ottobre
1995.
2. Rise' Claudio, Il maschio selvatico. Ritrovare la forza dell'istinto
rimossso dalle buone maniere, Red/Studio redazionale, Como 1993.
3. "Identita' di genere e abuso di sostanze nell'attuale fase postmoderna",
Atti del convegno: Carcere e tossicodipendenza, prospettive di ricerca, Ussl
18, Brescia, marzo 1996.
4. Testi Arnaldo, Una storia da veri uomini; perche' gli storici (maschi)
non usano il genere per leggere il passato, "Il manifesto" del 16 giugno
1990.
- Idem, L'Autobiografia di Theodore Roosevelt: la faticosa costruzione di un
forte e maschio carattere, "Rivista di Storia Contemporanea", n.1/1991.
5. Mosse George L., Sessualita' e nazionalismo, Laterza, Roma-Bari 1996.
- Idem, L'immagine dell'uomo. Lo stereotipo maschile nell'epoca moderna,
Einaudi, Torino 1997.
6. Mc Laren A., Gentiluomini e canaglie. L'identita' maschile tra '800 e
'900, Carocci, Roma 1999.
7. Bellassai Sandro, La morale comunista. Pubblico e privato nella
rappresentazione del Pci (1947-1956), Carocci, Roma 2000.
8. Ciccone S., Citoni M., in "Marea' n. 3, anno 2001, Erga Edizioni, Genova.
9. Ciccone S., Sebastiani R., Una proposta di riflessione "al maschile"
sulla violenza sessuale, "Noidonne", n. 4/1988.
10. Vedi il sito http.web.tisclinet.it/uominincammino, mail
maschileplurale@???
*
Di seguito altri testi per chi voglia orientarsi nella riflessione sul
maschile:
- AA. VV., Ridefinirsi donna, ridefinirsi uomo. Itinerari nella differenza,
numero monografico della rivista "Alfazeta", n. 40, dicembre 1994, Parma.
- Gallelli R. (a cura di), Corpo e identita', Progedit, Bari 1999.
- Gilmore David D., La genesi del maschile. Modelli culturali della
virilita', La Nuova Italia, Firenze 1993.
- Connel Robert W., Maschilita'. Identita' e trasformazione del maschio
occidentale, Feltrinelli, Milano 1996.
- AA. VV., Sezione monografica sulla storiografia sul maschile, curata da
Maurizio Vaudagna, "Rivista di storia Contemporanea", Loescher, Torino,
1/1991.
- Ballabio Luciano, Virilita'. Essere maschi tra le certezze di ieri e gli
interrogativi di oggi, Franco Angeli, Milano 1991.
- Seidler Victor J., Riscoprire la mascolinita'. Sessualita', ragione,
linguaggio, Editori Riuniti, Roma 1992.