[Lecce-sf] chi vuol dividere il movimento? LIBERAZIONE 8/1/0…

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Autor: Antonella Mangia
Data:  
Asunto: [Lecce-sf] chi vuol dividere il movimento? LIBERAZIONE 8/1/03
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Da “Liberazione” dell’8 gennaio 2003

Il "partito di Cofferati" pronto al battesimo. Ma con quali obiettivi?

Chi vuol dividere il movimento?





Gennaio è un mese molto intenso di meeting, nazionali e internazionali: potremmo parlare, perfino, di un mese-laboratorio, che avrà il suo culmine nel Forum Sociale Mondiale di Porto Alegre. Ma molto si muove anche qui, nell'italica provincia. Per dopodomani, per esempio, al Palacongressi di Firenze, è convocata un'assemblea, a presumibile ampia partecipazione di massa, che i media hanno già battezzato come la nascita del "partito di Cofferati". Il titolo formale suggerisce ambizioni un po' diverse: vi si parla, più o meno, di un incontro-confronto tra l'ex-segretario della Cgil e i movimenti. I movimenti quali? I promotori dell'iniziativa (che sono poi il correntone ds, l'associazione dei professori fiorentini e l'Arci) hanno intanto scelto un coordinatore del dibattito dall'identità inconfondibile, come il regista-leader Nanni Moretti. Su questa base, alcuni protagonisti della sinistra sono stati invitati a prender la parola: tra di essi, esponenti della Cgil, del Tavolo della Pace, dei "girotondini", della sinistra interna della Quercia. Mancano, nel senso che non sono previsti, quelli che nel movimento no global hanno portato avanti le posizioni più radicali - non sono previsti né quelli di Attac nè i disobbedienti, né il sindacalismo di base. In sintesi: per questo appuntamento fiorentino, si è deciso di praticare il gioco "sottile" delle presenze e delle assenze in modo da rendere chiara una intenzionalità politica, non esplicitamente dichiarata. Il «partito di Cofferati» - la formula che meglio riassume, sia pur schematicamente - questa intenzionalità - è, in realtà, un pezzo del movimento che si separa dal movimento più generale. Che cioè ne esprime una parte - l'anima politicamente più "moderata" - ma tende ad assumerne la rappresentatività piena, data anche la forza mediatica della quale dispone. E che punta a conquistarne, fino in fondo, l'egemonia. Un primato nel movimento che sarà poi utilizzato, speso, giocato, nella sfera politica: cioè nell'Ulivo.

In questo progetto (che conoscerà una ulteriore e solenne tappa il 21 gennaio, con uno "Sciuscià" realizzato in piazza da Michele Santoro, e doppio collegamento, con Cofferati e con Gino Strada a Kabul), è visibile una sorta di "anomalia" storico-politica: di solito, nei movimenti di massa è l'estrema sinistra a scegliere la scissione. Questa volta, a quanto pare, l'unità del movimento, che ha raggiunto a Firenze il suo momento più alto e più radicale, è minacciata da "destra". Perché? Per rispondere, dobbiamo riprendere il ragionamento da quel complesso e irrisolto intreccio che è il rapporto tra movimenti e politica

Il fattore M
Il fattore M - non va mai dimenticato - ha ridislocato, in profondità, l'intera geografia delle sinistre italiane. Tutte le forze politiche e sindacali, ivi comprese quelle che inizialmente hanno reagito con ostilità aperta o indifferenza, hanno dovuto fare i conti con l'esplosione, prima di tutto internazionale, dei no global. Un fatto che, a sua volta, ha inciso sul panorama della "società civile", determinando altri movimenti e sommovimenti, inducendo contaminazioni, rimettendo in moto il conflitto sociale e di classe, imbastendo nuove alleanze. I percorsi della sinistra Ds e di Sergio Cofferati, per esempio, si collocano qui, in questo allargamento del campo e in questo "mischiarsi delle carte". Dove, appunto, i confini tra la politica nazionale e quella internazionale si fanno di colpo più labili e ricompare la centralità dell'America latina (tutti da Lula, tutti "lulisti", come dicevano ieri Corriere della sera e Stampa, annotando, tra le altre, l'improvvisa conversione antiliberista di Massimo D'Alema). Dove, ancora, tende a mutare, fino a rovesciarsi, il rapporto tra Politico e Sociale: l'autonomia del movimento - che, in realtà, ha solidissime radici nella sua storia e nelle sue scelte concrete - può esser piegata ad esiti politici "compatibili". Ulivisti, per dirla in poche parole. Ulivisti nel senso già molte volte ripetuto da Sergio Cofferati, oltre che da molti "girotondini": un centrosinistra diverso da quello attuale, più capace di vivere se stesso come soggetto "reticolare" e della società civile, con una sinistra interna più forte e più dotata di capacità contrattuale. Vedete dove può arrivare la critica (per altro sincera) della forma-partito? A ipotizzare la divisione del movimento, e l'unità della politica in chiave riformista. Là dove sarebbe bene, se mai, lavorare per l'esatto opposto: l'unità del movimento, e l'identità, cioè la divisione della politica.


Le sinistre sono tre
Il fatto è, come è già stato autorevolmente scritto (e come ribadiva ieri sul Riformista Giuseppe Caldarola), in campo ci sono oramai tre sinistre. Alla ormai nota configurazione che vede da un lato la sinistra di alternativa, dall'altro lato la sinistra "liberal-riformista", va aggiunta la sinistra di Cofferati, nel senso che abbiamo cercato di descrivere. Ma quali sono le prospettive possibili?

Tra sinistra anticapitalistica e "riformisti", autentici o fasulli che siano, l'alterità strategica e politica è evidente: il dialogo è sempre possibile (e talora auspicabile), così come le convergenze o le concrete alleanze, ma radicalmente divergenti restano tanto la lettura della fase quanto gli obiettivi e di breve e di lungo termine. Le cose sono più complesse, per quanto attiene al rapporto tra i due "riformismi", quello, per schematizzare, dalemian-fassiniano e quello cofferatiano. Poiché si collocano ambedue all'interno della medesima opzione strategica - il centrosinistra, il sistema dell'alternanza, insomma, la logica del maggioritario - il loro scontro è destinato ad essere, in parte è già, al calor bianco: basti scorrere quotidianamente il Riformista, dove Cofferati è tacciato di massimalismo, movimentismo, strumentalismo, fino all'ultima e più grave accusa, quella di peggiorismo. Solo in parte si va svolgendo una classica lotta per l'egemonia: la partita vera è sulla guida effettiva dell'Ulivo. I leader attuali dei Ds puntano, per le prossime elezioni politiche, su di un asse che non delega alla Margherita la rappresentanza dell'elettorato moderato e neoliberale del centrosinistra: sono perciò attenti a tracciare tra sè e il movimento - tutti i movimenti, luoghi per definizione del disordine e del dilettantismo - una barriera nettissima. Una piattaforma dichiaratamente centrista che ha il suo corollario naturale nel'autonomia della politica, ovvero nel suo rivendicato carattere professionale.

Il "partito di Cofferati", invece, punta ad egemonizzare l'Ulivo su di una piattaforma ("neoriformista"?), che in parte lo sposta a sinistra, ma in parte, e soprattutto, lo assume come «minimo comun denominatore» dei più disparati fermenti che animano la società civile. In questo percorso, l'ex-segretario della Cgil risponde a suo modo alla crisi della politica e alla diffidenza diffusa verso i partiti: la sua visione dell'Ulivo futuro è, se così si può dire, più moderna e perfino più americana di quella dei leader ds. Ma perciò ne è tappa essenziale, strategica, la marginalizzazione della sinistra alternativa: nel movimento, la sconfitta della sua componente radicale (ridotta comunque a necessità fisiologica), nella politica la "sussunzione dissolvente" di una forza come il Prc. E' chiaro altresì: la forza (contrattuale) di Cofferati (e il suo carisma) non possono prescindere dalla connessione politica ed emotiva con il movimento, realizzata nella grande stagione iniziale del 2002. Ma se il movimento stesso, nelle sue tappe fondamentali, si dà una prospettiva che, comunque, non è "riformista", nè poco nè tanto? Se la sua cifra dominante resta quella di un'alternativa di sistema, di un altro mondo possibile? Torniamo agli appuntamenti di gennaio, e alla traccia che delineano. Non vorremmo che, per tutte le ragioni dette, essa accreditasse l'esistenza dei buoni e dei cattivi, del movimento ragionevole e di quello "irresponsabile". Il bene più prezioso - qui ed ora - resta l'unità di chi si batte, appunto, per un mondo diverso da questo.

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<P><SPAN style="FONT-SIZE: 9.5pt; FONT-FAMILY: Verdana"><FONT color=#333333>Tra sinistra anticapitalistica e "riformisti", autentici o fasulli che siano, l'alterità strategica e politica è evidente: il dialogo è sempre possibile (e talora auspicabile), così come le convergenze o le concrete alleanze, ma radicalmente divergenti restano tanto la lettura della fase quanto gli obiettivi e di breve e di lungo termine. Le cose sono più complesse, per quanto attiene al rapporto tra i due "riformismi", quello, per schematizzare, dalemian-fassiniano e quello cofferatiano. Poiché si collocano ambedue all'interno della medesima opzione strategica - il centrosinistra, il sistema dell'alternanza, insomma, la logica del maggioritario - il loro scontro è destinato ad essere, in parte è già, al calor bianco: basti scorrere quotidianamente il Riformista, dove Cofferati è tacciato di massimalismo, movimentismo, strumentalismo, fino all'ultima e più grave accusa, quella di peggiorismo. Solo in parte si va svolgendo una classica lotta per l'egemonia: la partita vera è sulla guida effettiva dell'Ulivo. I leader attuali dei Ds puntano, per le prossime elezioni politiche, su di un asse che non delega alla Margherita la rappresentanza dell'elettorato moderato e neoliberale del centrosinistra: sono perciò attenti a tracciare tra sè e il movimento - tutti i movimenti, luoghi per definizione del disordine e del dilettantismo - una barriera nettissima. Una piattaforma dichiaratamente centrista che ha il suo corollario naturale nel'autonomia della politica, ovvero nel suo rivendicato carattere professionale. <o:p></o:p></FONT></SPAN></P>
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