Autor: Alessandro Presicce Data: Asunto: [CSSF] Resoconti visite Regina Pacis e Lorizzonte
1. Resoconto delle visite al Cpt Regina Pacis
Sabato 16 novembre 2002 due delegazioni formate da compagni e compagne di
Rifondazione Comunista della federazione di Lecce e del Lecce Social Forum,
insieme al deputato Niki Vendola e al giornalista Stefano Mencherini hanno
visitato due centri di "accoglienza" in provincia di Lecce.
Il primo è stato il Cpt (Centro di permanenza temporanea)Regina Pacis,
diretto da Don Cesare Lodeserto, che non si è fatto trovare e ha affidato la
delegazioni "nelle mani" del vicedirettore e di un nugolo di poliziotti
della Digos e di un nutrito gruppo di carabinieri della legione di Bari.
Il tentativo che i dirigenti del centro hanno fatto di far vedere solo la
parte "lucida" della struttura è stato messo in crisi dalla volontà della
delegazione di non accontentarsi di ciò che erano pronti a mostrare. Di per
sé, in ogni caso, anche solo restando al recinto esterno è spaventosa la
sensazione di essere in un carcere a cielo aperto. I locali interni che
avevamo la libertà di vedere erano tutti tirati a lucido, ma molto poco
accoglienti. Nessuna traccia di una biblioteca o altra struttura in cui i
reclusi del Regina Pacis, possano trascorrere le ore del giorno senza
guardare il mare che dista poche decine di metri, attraverso una rete
metallica alta oltre tre metri e sormontata da filo spinato. Inoltre una
camionetta è posta a serrare l'ingresso principale, ossia quella da dove si
accolgono gli ospiti graditi e ufficiali. Non noi evidentemente che siamo
stati fatti entrare da una porta laterale che immette direttamente in un
corridoio in cui affaccia l'ufficio del direttore (e dove i reclusi hanno
diritto di andare solo "in caso di necessità e accompagnati dagli
operatori") dove Niki Vendola è stato fatto accomodare dal vicedirettore,
che ha descritto una situazione idilliaca, di un centro in cui ci sono pool
di medici e avvocati che "curano" quelli che loro per quietare la loro
coscienza chiamano ospiti ma che in realtà non sono che reclusi. Alle
domande "tecniche" il dirigente ha risposto volentieri. Nel centro Regina
Pacis la "retta" per recluso è di 90.000 vecchie lire giornaliere. Il vitto
non è precotto. I cuochi sono italiani, che cucinano piatti evidentemente
italiani, con l'eccezione di un aiuto cuoco marocchino, abbiamo avuto l'
impressione, messo in "divisa" poco prima che noi entrassimo e soprattutto
piazzato in un punto in cui tutti i membri della delegazione ci parlassero.
Egli giunto dal Marocco due mesi fa per motivi "economici" ci ha raccontato
di essere in "attesa di permesso" (cosa di per sé strana visto che dal Cpt
si esce solo per essere espulsi) e che tra una settimana avrebbe avuto il
permessso di uscire per andare a San Foca (cosa vada a fare in un posto
semideserto d'inverno non si capisce). Dalle cucine siamo stati introdotti
nel laborotorio medico, anche qui tutto lindo e pulito, con annesso
laborotorio odontoiatrico. Qui alle domande un po' più scomode è iniziata la
reticenza. Non si capisce in quanti casi le malattie conclamate e quali
malattie e a che grado abbiano fermato l'iter dell'espulsione. Inoltre ad
una domanda precisa sull'espulsione di oltre cento tamil, avvenuta nell'
aprile scorso, di cui molti ammalati di varicella e a cui fu negato il
diritto di consultare gli avvocati da loro nominati; la reticenza è divenuta
menzogna. Agli iniziali "non ricordo" è subentrato lo scaricabarile con la
questura, con imbarazzo generale. Il risultato è che di quell'episodio
indecente (anche perché all'epoca la Bossi-Fini fu applicata prima della sua
approvazione parlamentare, cosa fatta rilevare al dirigente pallido e ormai
sudato) è stato archiviato e comunque è assolutamente ripetibile. Mentre ci
avviavamo all'uscita dal laboratorio medico nel cortile abbiamo chiesto di
parlare con i reclusi. Subito, come era ovvio, siamo stati assediati da
storie terribili. Un palestinese che dopo aver scontato una pena nel carcere
di San Nicola, è stato trasferito nel Cpt e non sa perché, visto che era
munito di regolare permesso di soggiorno avuto in Francia, ed ora ha la pros
pettiva di essere, tra pochi giorni, rimpatriato a Rafah nella striscia di
Gaza. Mentre ha una figlia in Italia con una donna di Parma ("ma non è
sposato!" si affretta a chiarire un operatore italiano del centro, come se
la cosa cambiasse il dato di fondo), è epilettico ed è entrato in Italia da
Marsiglia per vedere la figlia. Se potesse tornare in Francia la sua
situazione giuridica gli eviterebbe il rimpatrio.
Un gruppo di ragazzi marocchini ci dicono che nelle camerate al piano di
sopra c'è un uomo malato gravemente di cancro. Un componente della
delegazione tenta di salire. E' medico, lo vuol vedere. Viene fermato da un
carabiniere sulle scale. Sembra si debba rinunciare.Ma perché non ci fanno
salire? Il vicedirettore invoca la privacy degli ospiti, cosa un po'
ridicola, in un posto controllato da decine di uomini in divisa e dove le
impronte digitali, "come da norma", le prende la criminalpol. Un lavoratore
indiano, del Punjab, mostra le buste paga che ha dal 1994. L'ultima risale
al luglio 2002. Ci chiede "perché sono qui?". Chiediamo se hanno visto un
avvocato: un coro di no. Il vicedirettore scuote la testa e ripete che gli
avvocati del Cir (comitato italiano rifugiati) vengono due volte a
settimana. E allora perché quel lavoratore è lì? Vendola prende le buste
paga, le guardiamo tutti e restiamo gelati. Con quale criterio vengono
rinchiuse le persone nei Cpt? Ormai ci sfugge. Ci martellano con il fatto
che non hanno visto mai un avvocato (che interesse avrebbero a mentire?
Sanno bene che noi non possiamo farli uscire. Ma sanno che noi usciremo da
lì e possiamo parlare all'esterno. Questa è l'unica spiegazione possibile
della loro insistenza). Intanto un gruppo di ragazzi maghrebini sbarcati in
ottanta a Lampedusa e arrivati al Regina Pacis in quarantasette ci racconta
una cosa strana. Ci chiedono: perché trenta di loro sono stati liberati?
Chiediamo: ma sono stati espulsi? Ci rispondono: no! Sono ancora in nord
Italia e da lì telefonano e mandano pacchi.Ci chiedono: perché diciassette
di loro non possono uscire? Perché il direttore ripete loro "Domani, forse
dopodomani.". Sulla base di quale criterio? Sulla base di quale autorità?
Intanto fra quattro giorni scadono i 60 giorni e loro saranno espulsi ancora
una volta nel silenzio? Il direttore non c'è e il vicedirettore "non sa".!
Mentre ci avviamo all'uscita un ragazzo algerino scende correndo dal piano
superiore prende sottobraccio Vendola e tutti al primo piano. Alcuni
operatori minacciano apertamente il ragazzo.
Il primo piano è l'inferno: materassi di gomma spugna smozzicati e luridi,
latrine indecenti, finestre rotte."Per le loro risse" dice un operatore (o
per tentativi di ribellione a quelle condizioni? pensiamo tutti). E
finalmente vediamo il malato. Soprattutto lo vede il medico che è con noi.
Basta un'occhiata. Non si regge in piedi, consunto dalla debolezza per
camminare deve essere sostenuto da entrambi i lati. Può essere una malattia
della pelle come dice il vicedirettore? Può un uomo in quelle condizioni
aver firmato le dimissioni volontarie dall'ospedale Vito Fazzi di Lecce? Non
sembra possibile, né verosimile. Da quando non vede un medico? Da settimane.
Aspettano che muoia, un altro modo di espellerlo.
Con questo stratagemma, che speriamo che il ragazzo algerino non paghi
troppo caro, siamo riusciti a vedere anche la parte del Regina Pacis non
tirata a lucido per l'occasione. Mentre usciamo, ormai siamo dentro da oltre
due ore, arriva in gran fretta Cesare Lodeserto, il direttore. Non risponde
al buongiorno e si chiude con Vendola nel suo studio per un colloquio
privato che dura oltre mezz'ora. Chi avrà confessato cosa a chi? Riteniamo
che il ruolo di confessore questa volta sia toccato a Vendola e non a Don
Cesare, nonostante l'abito che indossa.
All'uscita dal "colloquio privato" ci introduce personalmente nel settore
dove alcuni miniappartamenti prefabbricati ospitano le donne "salvate" dalla
strada e che oggi sono nel progetto di recupero. Ancora una "zona lucida".
Ma non serve a cancellare la domanda di fondo: che succede veramente nel
Regina Pacis? Quali abissi di non-diritto vivono coloro che vi finiscono?
Le nostre menti, di tutti, sono sconvolte dagli sguardi dei reclusi, senza
reato, che ci inseguono fino all'uscita dall'inferno.
Le proposte che ci vengono in mente sono:
- introdurre una sorta di "difensore civico" nei Cpt;
- le visite con deputati disponibili devono essere regolari, se possibili
mensili.
Quelle persone rinchiuse nel Regina Pacis devono essere protette. E' un
luogo violento, nel senso profondo della parola.
Deve essere imposto ai Cpt un giorno di apertura settimanale, in cui su
prenotazione, anche le persone singole impegnate nella solidarietà possano
entrare a visitare i reclusi. E' necessario e possibile.
2. Resoconto della visita al Centro accoglienza per richiedenti asilo
Lorizzonte
Nel pomeriggio di sabato 16 novembre, dopo aver visitato il Cpt Regina
Pacis, la delegazione si è portata verso le 16 e 30 presso il centro di
accoglienza per richiedenti asilo Lorizzonte (sic, si chiama proprio così,
senza apostrofo). La composizione era più o meno uguale alla mattina con l'
aggiunta di due compagni del Lsf (un'insegnante e un avvocato).
Lorizzonte è in aperta campagna tra Squinzano e Casalabate, in provincia di
Lecce. Il centro è gestito da operatori del Ctm-movimondo, il direttore
Vinicio Russo, non c'è (un'abitudine dei direttori?). Veniamo accolti da un
nutrito gruppo di operatori che immediatamente (si erano ben preparati.) ci
descrivono le loro attività, soprattutto la dottoressa direttrice del centro
sanitario. Cosa strana: l'unica emittente televisiva presente è Top Video,
creata dal Ctm, che intervista, inevitabilmente, Niki Vendola. La telecamera
di Stefano Menchierini, però, deve restare spenta. Evitiamo di fare troppa
polemica, perché in ogni caso le cose che vedremo in otto non le
dimenticheremo. La presenza militare, anche se più discreta nei nostri
confronti, è forte e si tratta di guardia di finanza.
All'arrivo troviamo il questore di Lecce in persona, che, al solito, vuole
un colloquio privato, anche se all'aperto, con Niki Vendola. Sembra che sia
la giornata dei misteri e delle confessioni. Pazientemente aspettiamo circa
un quarto d'ora prima di muoverci. Veniamo fatti entrare direttamente nel
settore dove i reclusi (anche qui in definitiva gli "ospiti" non possono
uscire, gli esterni possono entrare col contagocce) hanno le loro "stanze".
I migranti dormono in androni disadorni su letti a castello (dieci per
stanza) con materassi in stato relativamente migliore che al Regina Pacis,
in ogni caso impregnati di umidità e senza coperte e guanciali. Alla domanda
sulla mancanza di lenzuola, la dottoressa e la vicedirettrice del centro si
lanciano in una spiegazione arzigogolata su "abitudini diverse", per le
quali i migranti userebbero le lenzuola come accappatoi.Ci assicurano che
ogni giorno (!?) i materassi vengono messi all'aria e trattati in modo
particolare.
Queste spiegazioni convincono poco. Quei materassi non sembrano essere stati
all'aria poche ore prima. Due componenti della delegazione si avvicinano ad
una finestra, tentano di aprirla, resta loro in mano! Evidentemente, almeno
in quel dormitorio (non ne vedremo altri), le persone che ci vivono e
dormono, non possono aprire la finestra (immaginiamo che in estate debba
essere un vero problema col caldo). I muri sono stracolmi di scritte, in
diverse lingue, molto sporchi. Alla domanda: che costerebbe una
riverniciata? Una risposta poetica: possiamo impedire loro di "fare murales"
? Però osserviamo noi i locali della mensa sono stati riverniciati molto di
fresco. Ancora è fortissimo l'odore di vernice, che prende alla gola. A quel
punto la dottoressa ci invita a non "credere ai cattivi reportages su di
loro" in cui si è detto anche che nelle toilettes non c'era carta igienica.
La carta non c'era, sostiene, perché "hanno l'abitudine di buttare i rotoli
nel water". Insistiamo, e allora? Allora hanno preferito dare un rotolo a
testa. Domanda cattiva: e che cambia? Non possono ugualmente gettarlo nel
water? Gesto insofferente della vicedirettrice, che ci spiega che
addirittura hanno tentato inizialmente di installare dei water che poi "loro
hanno rotto perché hanno una cultura diversa" (!!), sicché hanno dovuto
rimettere i bagni alla turca. Anche qui però il dubbio che le latrine siano
state rotte per reagire a condizioni di vita inaccettabili si insinua nelle
nostre menti. Altre volte Lorizzonte è stato teatro di rivolte interne, c'è
anche una denuncia penale di due ex reclusi. A questa vita sono costretti
anche molti bambini. Alcuni piccolissimi. Che fanno durante il giorno?
Giocano, ci dicono. Dove? Qui. Con cosa non si capisce. I più grandicelli
vanno a scuola? No. Aiutano. Chi e a fare cosa? Nessuna risposta. Tutti ci
facciamo la stessa domanda: ma per questi bambini vivere in questi
condizioni non equivale a crescere in una cella? Loro e i loro genitori di
cosa sono colpevoli?
Veniamo invitati a parlare con un gruppo, scelto da loro, di ragazzi
iracheni. Parlano poco italiano, scarso inglese, quindi aspettiamo che
arrivi il "mediatore culturale", ossia un marocchino che ha deciso di
restare a lavorare nel centro. Alla domanda se hanno chiesto l'asilo
politico in Italia, i ragazzi rispondono in coro di no. Ma soprattutto non
hanno intenzione di chiederlo. Ci dicono di essere scappati per fame e non
per sfuggire alla dittatura di Saddam Hussein. Non vogliono chiedere l'asilo
politico perché se non lo ottenessero per loro tornare in Iraq
significherebbe finire in carcere, se lo ottenessero non potrebbero tornare
in patria per cinque anni. Sono convinti di poter ottenere un foglio di via
che gli consenta di raggiungere la Germania. Ci guardiamo frastornati: ma lo
sanno che il foglio di via con la Bossi-Fini è stato cancellato e che esiste
solo l'accompagnamento alla frontiera? Che oggi la legge "entro cinque
giorni" impone l'espulsione? E che se vengono catturati finiscono in un
carcere italiano e poi vengono espulsi, con tanto si segnalazione alle
autorità del loro paese? Significativamente non rispondono, mentre un'altra
operatrice si affretta a "chiarire" che per loro anche se chiedessero l'
asilo politico si aprirebbe una prospettiva da incubo: anche se ascoltati
dalla commissione nazionale fino al riconoscimento definitivo dello status
di rifugiato non possono lavorare, né sposarsi, né fare alcunché (le strade
che restano loro aperte sono quelle del lavoro nero o del delinquere per
sopravvivere). Hanno diritto teoricamente a un sussidio miserrimo (circa
duecentomila delle vecchie lire al mese) che in pochi, inoltre, ottengono e
riscuotono con regolarità. Che possono fare una volta che la commissione
dice si ? O tornare nel centro (per sopravvivere: in molti casi sono intere
famiglie con bambini piccoli) o "arrangiarsi". Che futuro hanno se la
commissione dice di no? Nessuno. L'espulsione.
Anche qui le risposte alle questioni tecniche sono più rilassate: la retta
giornaliera è di trentacinquemila delle vecchie lire. Chiediamo perché tanta
differenza col Cpt? Come colmate la differenza, che evidentemente significa
meno servizi? Col volontariato. E' una risposta? No.
La discussione con gli operatori prosegue: non vi sembra un carcere? Si, ma
cerchiamo di renderlo più umano. Perché il Ctm, una Ong, ha accettato di
gestire un centro di detenzione? Perché altrimenti finiva in mani peggiori.
Ma cosa c'è di peggio di un carcere con dentro anche minori dagli zero anni
ai diciassette? Colpevoli solo di essere venuti al mondo?
Le risposte tecniche, sono l'alibi. Ne sono passati 24.000 di richiedenti
asilo dal centro. Che fine hanno fatto? Molti sono stati espulsi, altri,
pochi, hanno ottenuto l'asilo politico, altri sono riusciti, per loro
fortuna a fuggire dall'Italia.
La vicedirettrice insiste sul fatto che si sono battuti per rendere più
"umano" il centro. Hanno rifiutato di mettere le sbarre alle finestre del
piano terra. A quelle del primo piano, escluso dalla nostra visita (nessuno
riesce a chiamarci e a farci salire come al Regina Pacis), le hanno messe
per sicurezza, ci dicono. O per evitare tentativi di fuga o suicidio?
Resta la sensazione fortissima che a Lorizzonte, la nostra "protezione" sia
stata organizzata in modo capillare. Ci si sente come i giapponesi in gita
organizzata.
Il fiore all'occhiello de Lorizzonte è il centro Don Milani per i minori non
accompagnati. Nell'avviarci vediamo un immenso campo di carciofi. Chi li
coltiva? Fanno finta di non sentire. Si vendono? Si, sono i "carciofi della
solidarietà". A chi vanno i proventi delle vendite? Al centro. Chi li
coltiva? Il dubbio che i cosiddetti ospiti vengano trasformati in contadini
forzati resta.
Il centro per i minori è sicuramente più accogliente, di recente
costruzione. Anche qui i responsabili chiedono un colloquio privato con
Vendola che dura una ventina di minuti. Cosa gli hanno chiesto? Forse di
intercedere presso chi ha fatto denuncia contro di loro?
Anche qui resta il buco nero del rapporto con gli avvocati. Anche qui
assicurano che il Cir gestisce le pratiche dell'asilo. E per coloro che non
intendono chiedere asilo? Perché non ci fanno rispondere da loro?
Altra questione: gli operatori si rendono conto che tra poco, dopo l'
estinzione dei centri di seconda accoglienza, quel centro si trasformerà in
Cpt? Come intendono muoversi? Non lo sanno. Tirano a campare. E la
militarizzazione sempre più evidente del centro? Non sanno. La visita si
conclude dopo circa due ore. Cosa abbiamo visto? Un altro carcere a cielo
aperto. Dove, per carità, siamo stati invitati a tornare e dove noi
torneremo. Anche lì e come in Palestina per fare un'azione di "protezione di
civili".
Le considerazioni finali sono che tra il Cpt e il centro per richiedenti
asilo non c'è differenza sostanziale. La cosiddetta "politica dell'
accoglienza" in realtà altro non mira che all'espulsione.
Le proposte che ci vengono in mente a fine giornata sono:
- a livello nazionale deve essere preso contatto con il Cir e l'Acnur per
capire bene che tipo di rapporto esiste fra i reclusi e gli avvocati, che
sembrano ombre;
- al livello parlamentare, dopo la raccolta di materiale specifico,
occorrerà fare una battaglia per risolvere il problema dei richiedenti asilo
e del limbo indecente in cui sono costretti a vivere per anni;
- richiesta anche per Lorizzonte di visite a "sorpresa", con l'obbligo da
parte del centro di far entrare le persone delle associazioni impegnate
nella solidarietà;
- monitoraggio anche per Lorizzonte, come per il Cpt, da parte di un gruppo
stabile di parlamentari del nostro partito, innanzitutto (senza escludere
chi si rende disponibile di altri gruppi), sistematico e possibilmente
mensile.
Cinzia Nachira (responsabile provinciale immigrazione Prc federazione di
Lecce)
17/18/11/02