[NuovoLab] Gli incubi dei torturati al G8-Genov mentre i con…

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Author: Antonio Bruno
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Subject: [NuovoLab] Gli incubi dei torturati al G8-Genov mentre i condannati della Diaz tornano al lavoro
Gli incubi attuali dei torturati al G8 di Genova
Genova 2001. Sedici anni fa le proteste contro il vertice. Torture, impunità e risarcimenti statali risibili

«Dai un calcio al G8» era intitolato il torneo che vedeva fronteggiarsi Attac Italia e Attac Francia il 18 luglio 2001 in Piazza Fontana Marose a Genova. Con tutte quelle reti una partita ci stava bene. Quando erano arrivati i poliziotti Attac Francia vinceva 2 a 1. Per questo, nella speranza i «nostri» pareggiassero, gli agenti avevano chiuso un occhio e consentito continuasse la partita.

UN CLIMA di relativa disponibilità come quello che si respirava il giorno successivo in occasione del corteo dei migranti, mi racconta Roberto Mapelli ¬ presidente dell’associazione culturale Punto rosso e presente a Genova 2001 con Attac Italia. Poi il buio. Il 20 luglio Roberto Mapelli, fermato per identificazione, finisce nella caserma di Bolzaneto insieme a Mark Christopher Harrison.

Entrambi sono stati malmenati, tanto che l’Harrison, ripetutamente colpito alla testa, fatica a reggersi in piedi e finisce col perdere i sensi. Al loro arrivo una persona in divisa grigia grida «frocio di merda, comunista bastardo, appena entri ti spacco la faccia».

MAPELLI È IL PRIMO A SALIRE i tre gradini di Bolzaneto e ad attraversare due file di agenti tra insulti e sputi. All’ingresso è condotto in una stanza con Mark Harrison, Roberto Michele, due ragazze tedesche e un ragazzino italiano. E a riceverli due energumeni dall’accento romano in divisa. Urla, canti fascisti, confusione, euforia nei corridoi, carabinieri e poliziotti che corrono. «Bastardi», «ebrei», «troie» rivolto alle donne, sono il benvenuto. Chi chiede di andare in bagno nel percorso per arrivarci riceve calci e pugni dagli agenti.

Gli energumeni iniziano dal ragazzino, vestito di nero, un black block a loro dire. Gli battono la testa al muro, lo colpiscono alla nuca, con la fronte che, a ogni colpo, batte contro la parete, fin quando il ragazzino crolla a terra dove continua a ricevere colpi in testa e alle costole. Hanno tutti avuto incubi nei mesi successivi i torturati di Genova, mi dice Mapelli a proposito di quel che è rimasto. E terribili per molti sono ancora i contatti, sebbene occasionali, con le forze dell’ordine, che generano attacchi di panico.

CHI È MORTO SUICIDA anni dopo, chi ha avuto un aneurisma che ha portato alla paralisi, chi ha subito traumi cronici gravi con conseguente abbandono della professione, chi ha interminabili incubi, chi disturbi post traumatici da stress e depressioni. Due terzi dei dimostranti di Genova era alla prima grande manifestazione, ricorda Mapelli, e molti, la maggioranza, in manifestazione non ci vanno più.

LA REPRESSIONE ha funzionato e di quei giorni si parla per le violenze e non per le decisioni ratificate e che hanno dato origine al nostro presente. E anche di questo si è parlato ieri sera in Fondazione Giangiacomo Feltrinelli in occasione di «Pensare Genova luglio 2001». Per quanto riguarda le conseguenze processuali di quelle giornate, il governo italiano ha riconosciuto le proprie colpe nei confronti di sei cittadini torturati nella caserma di Bolzaneto il 21 e 22 luglio 2001 e gli verserà 45 mila euro ciascuno per danni morali e materiali e spese processuali. Lo ha reso noto la Corte europea dei diritti umani in due provvedimenti in cui «prende atto della risoluzione amichevole tra le parti» e stabilisce di chiudere i casi.

CONTA POCO che appena sei dei 65 cittadini italiani ed europei abbiano accettato questa transazione. Certamente – come riferisce Laura Tartarini, legale di una ventina di persone tra le vittime della scuola Diaz e della caserma di Bolzaneto – «Quella che offre lo stato è una cifretta. Ha accettato chi, tra cui due dei miei assistiti, ha necessità economiche e personali. Per gli altri il ricorso continua».
L’avvocato afferma «sono passati 16 anni e non mi stupisco che alcuni di loro decidano di accettare l’offerta. Ma lo stato si sta comportando in modo davvero poco consono, tanto che gli accordi in sede civile davanti ai giudici di Genova ancora non si trovano. Questo accordo certo non rappresenta una soddisfazione morale».

«ALCUNE DELLE PARTI CIVILI costituite per il processo sui fatti di Bolzaneto» racconta Sara Busoli, avvocato di alcune di queste nel processo G8/Bolzaneto, «hanno fatto ricorso, in due successive tornate, alla Cedu (Corte europea dei diritti dell’uomo). Nel dicembre 2015 e gennaio 2016 il Governo italiano ha fatto pervenire due analoghe proposte per il regolamento amichevole della vertenza proponendo sostanzialmente di rinunciare al ricorso in cambio di un risarcimento forfettario a ciascuno dei ricorrenti».

E, continua l’avvocato, «Nella proposta il governo rappresentava il fatto che oramai era in via di approvazione una legge per perseguire il reato di tortura e che per altro lo stato italiano avrebbe adempiuto ai suoi doveri attraverso adeguate indagini e provvedimenti successivi che avrebbero condotto all’identificazione e la condanna dei responsabili ad una pena proporzionata ai delitti commessi. Alcuni dei ricorrenti hanno, legittimamente, ritenuto di accettare la transazione, chiudendo definitivamente un capitolo triste e doloroso della loro vita. Altri, direi la maggioranza, hanno scelto di continuare l’azione intrapresa rifiutando la transazione, ritenendo che qualunque proposta poteva essere presa in considerazione soltanto dopo l’effettiva approvazione della legge e dopo la verifica del contenuto effettivo della medesima. Il comportamento tenuto dallo stato e dai suoi rappresentanti fino a quel momento – dice Busoli – non testimoniava certo a favore della loro credibilità. Mi pare che l’iter della legge sulla tortura e i contenuti proposti, diano purtroppo loro ragione. Al contrario, casi come quelli di Cucchi e Aldrovandi hanno dimostrato quale fosse e quale sia lo stato delle cose e le relative vicende giudiziarie hanno ribadito le medesime risposte da parte dello stato».

IL GIORNALISTA Lorenzo Guadagnucci, picchiato alla Diaz da uomini che ancora non hanno un nome, è uno di quelli che ha rifiutato il risarcimento. «Ho rifiutato» ha dichiarato «perché il ricorso alla Corte di Strasburgo non l’ho fatto per avere un risarcimento economico ma perché credo che il governo italiano debba fare i conti con le proprie responsabilità, che sono avere negato giustizia alle vittime di Genova, non avere preso sul serio gli abusi commessi, non avere fatto nulla per prevenire il ripetersi di tali violazioni in futuro». «Per quanto mi riguarda» conclude Sara Busoli, «rappresento nel ricorso alla Cedu quattro parti civili già costituite nel processo penale in Italia e nessuno di loro ha accettato la transazione. Tre di loro venivano dalla Diaz, la quarta era giovanissima all’epoca ed è stata portata a Bolzaneto quasi per caso. Lei è quella che mi ha stupita di più. Mi ha chiesto tempo per pensare, poi mi ha chiamata quasi scusandosi per il fatto che proprio non le sembrava giusto accettare».

IL MANIFESTO Stefano Valenti 19.07.2017
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Per i poliziotti condannati per la scuola Diaz, fine interdizione via al reintegro

Processi. Tra i potenziali riammessi nella polizia figurano l’ex capo dello Sco Gilberto Caldarozzi, l’ex dirigente della Digos genovese Spartaco Mortola e il funzionario di polizia Pietro Troiani

La metà dei poliziotti condannati per l’irruzione alla scuola Diaz, potrà a breve chiedere il reintegro nella Polizia di stato. L’altra metà è semplicemente già in pensione. La legge italiana lo permette; si tratta di un evento che non stupisce, benché confermi l’impunità di cui hanno goduto nel tempo gli elementi delle forze dell’ordine responsabili dei nefasti eventi del G8 di Genova.

L’interdizione dai pubblici uffici scattata con le pene inflitte cinque anni fa ad alcuni poliziotti condannati dopo i fatti della scuola Diaz, a breve, scadrà. La notizia è stata anticipata dal quotidiano genovese Il Secolo XIX e da Repubblica. la metà dei condannati potrà dunque essere reintegrata; tra i potenziali riammessi nella polizia figurano l’ex capo dello Sco Gilberto Caldarozzi, l’ex dirigente della Digos genovese Spartaco Mortola e il funzionario di polizia Pietro Troiani mentre Massimo Nucera, il poliziotto che raccontò di aver ricevuto una coltellata nella scuola Diaz, era già stato reintegrato. I tempi brevi del reintegro dipendono anche dalla pena subita dai poliziotti, condannati per il reato di falso, relativo alla firma sotto al verbale in cui si dichiarava che all’interno della scuola erano state ritrovate alcune molotov. Le indagini e il processo avrebbero poi dimostrato che quelle molotov (poi sparite dai reperti della questura di Genova) erano state introdotte proprio da poliziotti per giustificare la propria azione.

A sedici imputati sono state inflitte pene tra i 2 e i 14 anni, la gran parte per 3 anni e 8 mesi. Vennero colpiti anche alcuni tra i massimi dirigenti di allora finiti per un certo tempo ai domiciliari, come Francesco Gratteri e Giovanni Luperi. Dei 16 condannati la metà ha potuto andare in pensione, mentre per gli altri è concreta la possibilità di rientrare in servizio.

La notizia non poteva che riportare nel dibattito politico polemiche e recriminazioni. Vittorio Agnoletto, già portavoce del Gsf e Lorenzo Guadagnucci, co-fondatore del Comitato Verità e Giustizia hanno espresso così il loro parere sulla notizia: «La rimozione da parte dei vertici della polizia degli agenti condannati non c’è stata e infatti oggi è possibile il loro rientro in servizio, ma non possiamo sorprenderci di questo, visto che stiamo parlando di un corpo di polizia che si è “rifiutato impunemente” di collaborare con i magistrati. La notizia di oggi non aiuta certo la polizia di stato a recuperare la credibilità perduta in quei giorni».

«Una vergogna, uno schiaffo alla democrazia: chi si macchiò di quelle violenze non dovrebbe più rappresentare lo Stato» ha detto Maurizio Acerbo, segretario nazionale di Rifondazione Comunista.

Il comitato Piazza Carlo Giuliani organizza una tre giorni di eventi: oggi dalle ore 17,30 presso la Sala Camino di Palazzo Ducale , a un anno dalla «Carta di Genova», Antonio De Lellis torna per presentare il suo libro: «Il muro invisibile. Come demolire la narrazione del debito».

Domani 20 luglio, dalle 14.30 in piazza Alimonda con la musica tra gli altri di Lele Ravera della LRB Liberdade, Marco Rovelli con Rocco Marchie le parole della Compagnia Teatro degli Zingari della Comunità di S.Benedetto al Porto, di don Gallo e alcune delle Madri antifasciste

Info sul sito www.piazzacarlogiuliani.it


IL MANIFESTO Simone Pieranni 19.07.2017
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"Eppure il vento soffia ancora ...." Pierangelo Bertoli, (Sassuolo, 5 novembre 1942 – Modena, 7 ottobre 2002)

antonio bruno http://benincomune.weebly.com/ 339 3442011